Nella rivolta dei giovani c'è del buono e del cattivo

Nella rivolta dei giovani c'è del buono e del cattivo DISTINGUERE LA POLEMICA SERIA DAL NICHILISMO Nella rivolta dei giovani c'è del buono e del cattivo Nelle scorse settimane i giornali a vari propositi parlavano di giovani. C'erano quelli, di cui scrisse Adellì, che spalavano fango nelle zone alluvionate, o faticavano ad estrarre libri dalle cantine allagate della Biblioteca di Firenze; lavoro penoso, specie per chi non sta avvezzo ad operare di braccia o di schiena, sì che talora le palme si piagavano; e c'era il dormire su paglia in locali di fortuna, il freddo, la molestia dell'antitetanica cui molti si sono sottoposti. Lavoro compiuto silenziosamente, senza pretendere ad assurgere a benemeriti del paese, a veder fatto il proprio nome, o ricevere diplomi. Negli stessi giorni, le cronache dicevano di cacce alle matricole nei cortili degli atenei, di burle goliardiche, come il rapimento di un « pontefice » o console di associazione studentesca. Episodi che mi danno la nota di lieve melanconia che mi desterebbe il vedere quattro signori ancora nel vigore degli anni, vestiti alla moda di scttant'anni fa, che ad un tavolino di caffè, con dinanzi le consumazioni di allora, capillaire, marsala, rosolio, si sganasciassero dalle risa ripetendo le freddure di Gandolin che deliziavano i nostri nonni. Le cronache dicevano ancora di scene isteriche di devastazione di un negozio in cui era entrata non so che ragazzucola assorta alla breve fama di « cantatrice », di prodezze di capelloni, ed altresì di numerose fughe di ultraminorenni dei due sessi. Pennellate di colore molto diverso, che mostrano ancora una volta quanto sia arbitrario parlare di generazioni, e giudicarle come se fossero un tutto omogeneo. Né mi attenterei di dire che l'una piuttosto dell'altra di queste note rappresenti il vero volto della giovinezza. Sono tutti volti autentici. La coscienza, quasi istintiva, d fare parte di un tutto, di essere membri di una società, debitori di questa, che ci avrà dato e ci darà ogni giorno dispiaceri, ma ci fornisce i mezzi per conoscerci, per cresce re, per apprendere, e cui quin di siamo debitori. Un certo grado di pigrizia, per cui anche nella celia, in quella che benevolmente si dice esuberanza giovanile, si ripetono i gesti dei padri e dei nonni. Una più radicale pigrizia, che perché tale non può non essere fortemente intinta di melanco nia, che porta all'abbandono dei freni, al lasciare libero sfogo agl'istinti primordiali; ero tismo e violenza, insieme con la trascuratezza nei vestiti; a disinteressarsi, fingendo il di sprezzo, di quanto è religione o politica o cultura (parlo na turalmente de' veri capelloni, non di chi ostenta, non dei furbi che sfruttano una moda, ma sono nel fondo veri artisti e domani saranno forse accademici). Per quanto la mia regola di vita sia di cercar di tutto comprendere e quasi tutto perdonare, mi sembra grave ed ingiusto l'atteggiamento degli adulti o dei vecchi che di fronte alla rivolta dei giovani si battono il petto, e fanno atti di contrizione: grave perché significa credere che la propria generazione sia vissuta invano, non abbia saputo affermare alcun valore; ingiusto perché questo non è vero: basterebbero il rifiorire di vita religiosa, non solo la Resistenza, ma la passione politica che ha animato gli anni dal 1945 al 1960, il confronto tra il quadro della cultura, in ogni campo, qual è oggi, e qual era nel 1940, per dimostrare che gli uomini che oggi hanno i capelli grigi o bianchi non han no poi del tutto demeritato. I giovani non li abbiamo compresi... Cos'abbiamo dato loro? La più gran parte dei genitori ha dato amore, forse troppo, forse cieco; ma in ogni tempo l'amore intelligente, la giusta proporzione tra rigore ed indulgenza, sono stati rari E l'incomprensione — relativa — tri generazioni è del pa rz o o e ri fenomeno perenne. Se si prendono libri di ottanta o no vant'anni or sono, L'età preziosa di Emilio De Marchi, la novella Furio di De Amicis, sentiamo risuonare questo tema della incomprensione, non. solo, ma rifarsi a testi di generazioni precedenti ch'essi pure lo accolgono. E' costante, ed è un bene sia così, la reazione dei figli verso i padri; e nulla di allarmante se appare anche esteriormente, nei modi di vestire. Non più capelli a coda, non più cipria, non più tricorno, nei giovani del tardo Settecento che vedevano il modello ideale in Beniamino Franklin; pizzi, baffi arricciati, capelli lunghi, bando al cilindro nei giovani del 1848; cappelli a larghe falde, cravatte svolazzanti, nei giovani socialisti del principio del nostro secolo. Sempre l'opposizione ed il disprezzo per il « giovane di buona famiglia », azzimato, ordinato, che vuole soltanto ripetere quanto hanno fatto padri ed avi, mantenere ciò che essi hanno conquistato. Solo, in tutti questi la reazione alla generazione precedente, ai valori ch'essa aveva coltivato, l'avversióne al coetaneo che voleva continuare nele vie già battute, si accompagnava alla visione di un mondo migliore da costruire: il culto a volta a volta di Rousseau, di Mazzini, di Marx. Che la civiltà del benessere; il primato assoluto dato ai valori economici; la messa in sordina di tutti i sogni di palingenesi che avevano acceso i cuori di altre generazioni; l'accantonamento dei motivi di lotta politica per guardare soltanto a problemi sindacali, di miglioramenti; governi c sindacati tacitamente d'accordo per smussare ogni angolo in politica internazionale, perché le esportazioni e le importazioni, il movimento turistico, non siano ostacolati, ponendo da parte ostracismi verso de stra e verso sinistra: — che tutto questo dispiacesse ai gio vani, sarebbe in sé consolante Ma a patto che sapessero con cepire qualcosa di diverso, vo lere, e fortemente volere, un mondo differente: tenendo pur conto che le strutture, politi che ed economiche, non sono in numero infinito, e che se la storia non si ripete mai esat tamente, la teoria vichiana de; corsi e ricorsi ha la sua gran parte di verità. Abbraccerei il giovane che mi dicesse che per reazione vorrà essere povero, avere l'ideale della tavolata di otto figli dove si mangia polenta vivere in un paesello, dove ancora si possa avere la carretta ed un cavallo, essere pollicultore od artigiano; o quell'altro che dandosi allo studio, mi dicesse che preferisce essere mae stro elementare che professore universitario, convinto che nes suno più del maestro può tracciare orme incancellabili. Ma sarei anche indulgente per chi mi segnasse vie utopistiche, inattuabili, però proponendosi di agire, di costruire un nuovo tipo di civiltà. Non so invece avere indulgenza per il giovane che si adagia nel diniego, o che passa le giornate nelle più inutili meditazioni (peccato che gli italiani abbiano così poco ap preso da Croce, le cui grand lezioni erano la chiarezza delle idee, che è poi onestà mentale e sincerità con noi stessi e la messa in guardia contro i problemi inesistenti: la reazio ne anticrociana ha invece rimesso questi in onore). E naturalmente trovo più ancora che accoramento, indignazione allorché dal diniego del presente vedo scivolare verso il diniego di tutti i valori che lentamente, faticosamente, l'umanità ha conquistato nel suo cammino: nulla di più penoso dell'incontro tra un adolescente ed una adolescente dove al richiamo della carne non si accompagna tenerezza, desiderio di protezione e di aiuto reciproco, vagheggiamento di un domani comune, aspirazione, magari da respingere, ma sentita, di dare origine ad una nuova vita, di creare una famiglia. 11 rifiuto di considerare tutto il patrimonio di cultura, di meditazione formatosi da secoli, per vedere se qualcosa almeno non sia salvabile, il rifiuto delle virtù che prime staccarono l'uomo dall'animalità — l'amore per la famiglia, a preoccupazione degli altri, ed anche il vivere non alla giornata, il proposito di costruire, di produrre, di dire qualcosa — sono altrettanti sci- olamenti indietro, verso l'ani inalila. Comprendere, aiutare: sì, ma è difficile afferrare qualcosa dove c'è il vuoto, dare una mano a chi la rifiuta. Il miglior aiuto direi sia ancora la sincerità: distinguere tra chi .olge le spalle al vecchio mondo avendone in mira uno nuovo che vede già con sufficiente chiarezza, di cui sa già come costruire i muri maestri, e chi non accompagna al diniego alcun proposito di ricosttu zione. E dove c'è l'infingar daggine e l'ignavia, chiamarle con il loro vero nome; la sin cerità e la riprovazione sono pur essi mezzi pedagogici. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Beniamino Franklin, De Amicis, Emilio De Marchi, Marx, Mazzini, Rousseau