La rivalità tra due famiglie in Sicilia provoca undici omicidi in cinquant'anni

La rivalità tra due famiglie in Sicilia provoca undici omicidi in cinquant'anni Il processo iniziato a Viterbo per legittima suspicione La rivalità tra due famiglie in Sicilia provoca undici omicidi in cinquant'anni In Assise 6 imputati: 4 di una fazione, 2 dell'altra - La tragica serie di delitti ebbe inizio nel 1918 quando un giovane di Baucina sedusse e non sposò una ragazza di Godrono (due paesi vicino a Palermo) - Da allora l'odio si scatenò tra i parenti - Finalmente una donna si decise a ricorrere alla polizia (Dal nostro inviato speciale) Viterbo, 23 novembre. Undici omicidi in circa cinquant'anni perché un ragazzo, nell'ormai lontano 1018, sedusse una ragazza e non volle poi sposarla: questa storia terribile di due famiglie palermitane in lotta fra loro da mezzo secolo e della quale oggi hanno preso ad interessarsi i giudici della Corte d'Assise cominciò con l'incendio di una stalla per vendetta e la spirale d'odio si è conclusa, almeno per il momento, soltanto quando una donna, Serafino Battaglia, madre di una delle vittime, si decise a parlare facendo i nomi di coloro che, nei tempi più recenti, avevano ucciso, avevano aggredito, avevano sparato. Ma per quanto divisi fra loro, i sei imputati — quattro appartengono alla fazione di Baucina e due a quella di Godrono, due paesini alle porte di Palermo — non si accusano, né mostrano di odiarsi anzi sostengono di non conoscersi: si difendono ciascuno per conto proprio chi negando, chi dicendo di avere agito per legittima difesa. I carabinieri hanno fatto sedere sul banco più basso gli imputati Vincenzo Corrado, suo figlio Vincenzo, Antonio Rustici e Salvatore La Gattuta; sul banco più alto i loro avversari, Salvatore Maggio e Francesco Miceli. Ma è stata una precauzione inutile. « Questi non parleranno mai — ?ia commentato alla fine della prima udienza il P. M. dottor De Fenu —, preferiscono farsi uccidere ». La storia è complessa e difficile a ricostruirsi in tutti i suoi dettagli. L'origine è una € questione d'onore»: uno'dei Lorello, una famiglia di Baucina, sedusse una ragazza della famiglia Barbaccia di Godrono e non volle mantenere gli impegni assunti. Si scatenò la guerra: le due famiglie andarono praticamente distrutte hi questa lotta senza quartiere, ma subentrarono altre famiglie. Subito dopo la guerra, i Barbaccia assoldarono tre « picciotti »: Francesco e Salvatore con il cugino Francesco Miceli, che aggredirono i Percoraro. i quali, nel frattempo si erano alleati con la famiglia Lorello: ucci sera il padre in campagna, poi andarono a casa ed uccisero i due figli neanche ventenni. I Lorello allora chiesero l'aiuto di un'altra famiglia: quella di Vincenzo Corrado che, insieme con un noto esponente mafioso, Stefano Leale, tese un agguato agli avversari, ma Francesco e Salvatore Maggio e Francesco Miceli li precedettero ed uccisero a Palermo in pieno centro il 9 aprile I960 Stefano Leale. E si andò avanti in questo continuo alternarsi di vendette sino a quando Serafino Battaglia non parlò. Serafino Battaglia ha circa 55 anni, è venuta a Viterbo dove il processo viene celebrato perché in Sicilia i giudici avrebbero potuto essere turbati dall'ambiente, non è entrata in aula, sarà interrogata} come testimone venerdì mar- o e e . i Una. I carabinieri non la per-\dono di vista un'istante: tutti sono contro di lei. Le sono\ostili coloro che lei accusa: gli altri la disprezzano perche viene considerata una traditrice. Tre su sei sono stati gli imputati che oggi i giudici hanno interrogato: uno, il più anziano, Vincenzo Corrado ha negato di avere avuto mai un ruolo in questa storia; suo figlio, ha spiegato di avere ucciso Stefano Leale a Palermo ma soltanto per legittima difesa perché intuì che il suo avversario stava per cavare di tasca la pistola; il terzo, Antonio Rustici, già consigliere comunale democristiano di Campofelice, si è difeso esibendo un alibi. Vincenzo Corrado senior, ha quasi settant'anni, è un ricco possidente di Baucina. Gli si attribuisce la responsabilità di avere organizzato l'agguato, poi fallito contro i fratelli Maggio e il loro cugino Francesco Miceli. « Signor presidente — ha cominciato a Gridare alzando le braccia al cielo — lo sono innocente. Lo giuro sul crocifisso... ». « Ma allora — gli ha chiesto il presidente dott. Salemi, un siciliano che dopo avere vissuto per molti anni a Roma è stato trasferito di recente a Viterbo — le accuse di Serafina Battaglia sono infondate ?». Imputato — Certo, certo: infondate sono. Anzi calunniose. Serafina Battaglia mi odia. Suo figlio ha sposato mia figlia Rosa. Poi, suo figlio Salvatore è stato ucciso ed allora mia figlia è tornata a casa con me. E Serafina Battaglia non voleva perché in questo modo ha perduto tutta la dote, ingentissima, signor presidente, che io le avevo dato. Presidente — Ma Serafina Battaglia ha detto che voi avete chiesto cinque milioni a chi vi chiedeva di eliminare un suo avversario. Imputato — Signor presidente, ma io non ho bisogno dì cintlue milioni! !° son° ric" chissimo ed ho sempre lavoVRto onestamente guadagnan do tutto quello che possiedo con il sudore della mia fronte. Suo figlio, Vincenzo Corrado iunior, invece, sostiene di avere agito per legittima difesa. Uccise Salvatore Leale ma soltanto perché l'altro stava per silurare. Per il resto non sa nulla di questa guerra fra le due fazioni. E — circostanza straordinariamente in te ressa n te — 7ia detto di non riconoscere neanche uno di quelli dai quali venne aggredito quel giorno a Palermo. Presidente (indicandogli Sai vatore Maggio) — Così questo signore non lo conoscete? Imputato (dopo avere guardato negli occhi l'altro) — Non lo conosco. Antonio Rustici che è accusato di avere ucciso Francesco Maggio in un'imboscata la notte del 8 settembre 1960 al termine di una lunga sparatoria nelle montagne vicino a Palermo si è difeso con un alibi. « Ero al mio paese — ha detto — a Campofelice a preparare la festa di Santa Rosalia. Non ho uno soltanto, ma cento testimoni. Io non sono un imputato... ». Presidente (sorpreso) — Veramente, dagli atti del processo risulta il contrario... Imputato — Ho detto bene. signor presidente... Non sono un imputato, ma un calunniato. .Dommii sarà il turno degli altri tre imputati e delle parti 'ese Guido Guidi Il gruppo degli imputati nella gabbia durante l'udienza a Viterbo (Telefoto Ansa)