Il cimitero sulla collina di Giovanni Giovannini

Il cimitero sulla collina LA STRAGE DEGLI EBREI DI PRAGA Il cimitero sulla collina (Dal nostro inviato speciale) Praga, novembre. La Cecoslovacchia, questo piccolo paese con quattordici milioni di abitanti, pagò il suo tributo di sangue nell'ultima guerra con trcccntoscssantamila morti. Dei duecentomila uccisi nei campi di concentramento, settantottomila appartenevano alla comunità israelitica, che in tutta la repubblica non arrivava in tempo di pace a centomila persone. Ascolto queste cifre mentre entro nella sinagoga Pinkas, e mi sorprendo a calcolare mentalmente percentuali, a raffrontarle freddamente con altri dati colossali della strage nazista. Ma a Praga, in questo tempio, gli ebrei superstiti hanno dedicato alle vittime, invece di un brutto monumento collettivo, poche parole scritte sulle pareti: il nome, il cognome, il posto, la data di nascita e di morte. Poche parole, ripetute settantottomila volte. Le cifre riacquistano il loro significato, la emozione sopraffa il calcolo davanti alla parete immensa coperta da infinite indicazioni in caratteri minuti, ordinate in linee che sono diritte e che sembrano ondeggiare, tanto sono lunghe e fitte, e che continuano su altri muri, su tutti i muri del tempio. A farsi coraggio, a guardare da vicino, si leggono gruppi di cognomi uguali, accomunati nella data della morte, diversi in quella della nascita: interi nuclei familiari di tre, anche quattro generazioni, sterminati contemporaneamente. Quindicimila sono i nomi di bambini: morti, i più, nel vicino campo di Terezin dove solo qualche gioioso e straziante disegno infantile è rimasto ad attcstare il loro breve passaggio terreno, a rinnovare l'orrore per la disumana efferatezza dei carnefici. In nessun paese come in Cecoslovacchia i nazisti sono andati così vicino al loro obiettivo della «soluzione finale»: tenendo conto anche di chi è partito verso Israele o altre terre, si calcola che i centomila ebrei di un quarto di secolo addietro, si siano ridotti oggi a meno di diecimila. Ma in nessun'altra parte d'Europa come a Praga, la loro presenza ed il loro passato sono resi vivi da un insieme di edifici monumentali così imponente t le sei sinagoghe (quella gotica « Vecchia-Nuova » risale al 1270), il Municipio, la biblioteca, il museo. « Onesto complesso — dice con giusto orgoglio il prof. Vilém Benda, direttore del Museo — è ia prova della larghezza di idee, del grado di civiltà, del tradizionale senso democratico di un popolo come quello ceco che ignora l'odio: nella storia dell'umanità, non esiste un caso simile a quello dei nostri ebrei ». Con un anticipo di secoli, con la rivolta hussita nella prima metà del Quattrocento, era balenata agli israeliti la possibilità concreta dell'eguaglianza assoluta (predicata da Mastro Giovanni fino al momento di salire sul rogo di Costanza). Ma anche dopo la sconfitta del movimento, anche fra Quattro e Settecento, la loro sorte a Praga fu, se non giusta, meno iniqua che altrove. Di quei tre secoli, il ricordo più vivo balza dal posto della morte: dal famoso Vecchio Cimitero dove la prima tomba è del 1439, l'ultima del 1787. Siamo sempre nello stesso complesso di edifici, nel cuore della capitale, su di un breve tratto di terra in declivio come il fianco di una collina che solo in parte è naturale. Ci sarebbe posto per duecento sepolcri, ci sono seppelliti ventimila morti: nell'impossibilità di espandersi, per effettivi motivi urbanistici e per malvolere di governanti, gli ebrei si erano trovati costretti a coprire strati di tombe con strati di terra per altri strati di tombe, e così via. Col passare dei decenni e dei secoli, molte parti hanno ceduto, i piani si sono confusi, pietre tombali più recenti sono sprofondate, sono affiorate al tre più antiche, tutte si sono inclinate o capovolte. E' un accavallarsi confuso di lastre di granito dalle iscrizioni ebraiche, quello nel quale ci si aggira, presi dall'irrealtà dell'ambiente, dal fascino di una storia un po' misteriosa. La leggenda del golem, dell'uomo artificiale, del robot di carne, aleggia attorno al sarcofago ben conservato di colui che sarebbe riuscito a crearlo all'inizio del Seicento, il gran Rabbi Low. (Ci sono anche su altre, ma sulla sua tomba sono più numerosi, i sassolini lasciati in omaggio, i biglicttini dei fedeli che ancor oggi impetrano aiuto). L'abbandono del Vecchio Cimitero alla fine del Settecento coincise con l'inizio di un processo di effettivo affrancamento, che doveva concludersi anche visivamente circa un secolo più tardi con la distruzione del ghetto (« gli angoli bui, i passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole rumorose e le locande chiuse » che — Kafka diceva a Janouch — « dentro di noi vivono ancorai/). I nazisti non trovarono dunque a Praga un quartiere ebreo nel quale dar particolare prova della loro capacità di annichilimento: e tutti presi dal compito di eliminare il maggior numero possibile di esseri umani, non si curarono di abbattere i pochi ma splendidi edifici antichi. Nelle sei sinagoghe e nel municipio israelita, i vari Reichsprote\tor provvidero anzi diligentemente ad ammassare — dopo aver massacrato i legittimi proprietari — i beni di centocinquantatre comunità ebree di Boemia e Moravia. Le bandiere della sinagoga « Vecchia-Nuova », i velari ed t paramenti del tempio della Via Dusni, gli argenti di quello della Maisl, gli incunaboli, i manoscritti, gli archivi, i primi saggi a stampa del museo e della libreria, costituiscono un tesoro autentico, prezioso per la ricostruzione di un millennio di storia. Di tanto materiale, sembra che i nazisti volessero servirsi per trasformare, alla fine della guerra vittoriosa, l'intero quartiere in un solo, gigantesco « museo dell'odio razziale ». La storia ha voluto esattamente il contrario. Il frutto delle sanguinose rapine delle SS contribuisce oggi a fare del ghetto di un tempo un unico monumento al tormentato popolo ebreo, al rispetto, all'eguaglianza, all'amore fra le genti umane. Dalle pareti della sinagoga Pinkas, invita al ricordo ed alla meditazione l'atroce, interminabile allinearsi di settantottomila nomi. Giovanni Giovannini UIIIIIIMHllllIIIIIIIIMIIIIIIIllllHIIIIIUlllllllllllllll

Persone citate: Janouch, Kafka, Mastro Giovanni, Moravia