L'automobile nel mondo di Ferdinando Di Fenizio

L'automobile nel mondo L'automobile nel mondo Il panorama congiunturale dell'industria automobilistica muta, non di rado, di anno in anno. Ciò vale per il 1966, quando lo si ponga a raffronto con il 1965. I problemi strutturali, invece, — che caratterizzano questo poderosissimo ramo di attività — restano, nel loro complesso, immutati. Riguardano ancora la produzione nord- americana da un lato; quella dei più evoluti paesi europei dall'altro. Attengono a certi grossi problemi di fondo. Da un anno all'altro, si possono avere attenuazioni od accentuazioni su certi particolari. Ma è questione di enfasi, non di sostanza. Eccoci ai fatti. L'Italia, lo scorso anno, stava ancora concludendo la sua fase recessiva, che s'intitola alla « stretta monetaria » ed abbracciò tutto il '64 ed il '65. Non diversamente si svolgevano le vicende economiche in Francia, mentre Germania occidentale e Stati Uniti avevano ancora un'economia in piena espansione. Fu soprattutto per loro merito, se la produzione di auto nel mondo si valutò nel '€5 a 22-23 milioni di unità. Quel livello produttivo rimarrà più o meno immutato anche nel '66. Per colpa di chi? Saranno principalmente gli Stati Uniti a determinare questa sosta. La loro produzione sembra si debba contrarre nel '66 di 400 mila unità circa. Subito dopo, nello stesso senso, sarà da annoverare la minor produzione della Gran Bretagna che, al massimo, potrà raggiungere quest'anno i 2 milioni di unità prodotte. Anche la Germania occidentale ha una produzione meno brillante del solito. Invece è migliorata (e notevolmente) la produzione automobilistica dell'Italia e della Francia. * * Secondo le più recenti valutazioni, l'industria automobilistica in Italia toccherà 1,3 milioni di unità prodotte nel '66, realizzando un incremento produttivo dell'8% sullo scorso anno. Inoltre, la maggior produzione riguarderà non soltanto vetture (la cui richiesta fu relativamente elevata, anche durante la trascorsa fase recessiva); ma anche autocarri, autobus e motrici. Si accresce dunque la domanda degli automezzi come beni strumentali. E ciò ha un chiaro significato congiunturale. Tanto più che la maggiore richiesta non riguarda soltanto il mercato interno, ma anche le esportazioni. Altro grande sistema economico in espansione, per quanto riguarda l'automobile, quello francese. Anch'esso, superate le restrizioni monetarie, realizza rapidi incrementi produttivi. Sembra che nel '66 si realizzeranno 2 milioni di unità: in parte cedute all'interno, in parte più elevata vendute all'estero. Terzo ed ultimo fra i grandi produttori di autoveicoli, che sia in espansione, il Giappone. Esso nel '66 dovrebbe produrre 2,1 milioni di unità, con un incremento del 10% sullo scorso anno. Quanto alla Germania federale, il suo collocamento resta incerto. Può ancora segnarsi fra i paesi in espansione; tuttavia, a tassi più ridotti dello scorso anno. La crisi monetaria quivi non è ancora superata. Le recenti vicende politiche lo dimostrano. * * La congiuntura automobilistica mondiale assume, dunque, nel '66, un aspetto sostanzialmente nuovo. Per contro, immutata è la situazione di fondo di questa gigantesca attività produttiva. Possiamo sforzarci di mostrarlo. Stati Uniti e Canada, prima premessa, possiedono un mercato interno ormai pressoché saturo. Per essi, l'automobile più che mezzo di trasporto familiare, è divenuto mezzo di trasporto individuale.' Negli Stati Uniti si possiede un'automobile ogni due abitanti Ben diversa la situazione dell' lOuropa, anche occidentale Da noi, la densità automobilistica varia notevolmente, da quattro a dieci abitanti, per ogni autoveicolo. E se si dovessero considerare i paesi socialisti, si avrebbe una gamma di possibilità ben più elevata. Non sorprende, pertanto, che le grandi imprese americane siano da tempo avviate alla' conquista quanto meno di una quota del mercato europeo: tra l'altro, servendosi di filiali o di filiazioni che hanno stabilimenti insediati un poco ovunque, ma soprattutto in Gran Bretagna e nella Germania occidentale. Nulla, d'altro canto, di più naturale che le grandi aziende europee (soprattutto quelle dei Sei paesi del Mec) cerchino di contrastare le aspirazioni americane. Hanno qualche punto di vantaggio. Conoscono meglio il mercato europeo. Hanno una produzione più aderente alle occorrenze dei loro mercati interni; indubbiamente, sono più vicine ai consumatori. Ma questi vantaggi sono attenuati dalle enormi dimensioni produttive realizzate negli Stati Uniti d'America, dove dieci milioni di unità, ogni anno, sono prodotte sostanzialmente da tre enormi stabilimenti. Il contrasto, pertanto, continua. Le difficoltà economiche apportate agli Stati Uniti dalla guerra del Sud-Est asiatico; le conseguenti restrizioni monetarie; — e pertanto qualche maggior odierna difficoltà ad esportare capitali in Europa — possono anche aver attenuato, negli ultimi mesi, l'asprezza di questa lotta. Ma non appena saranno scomparse queste motivazioni contingenti, tutto ritornerà nel suo logico indirizzo evolutivo. Se vuole contrastare gli Stati Uniti, l'Europa (ed in primo luo¬ go la Comunità dei «Sei») deve avviarsi ad una maggior razionalizzazione produttiva, attraverso accordi e concentrazioni. La realtà di domani è insomma, per quanto riguarda l'automobile, caratterizzata soltanto da grandi e grandissimi stabilimenti. Le dimensioni ottime varieranno a seconda di fattori, anche non economici. Ma il vantaggio, per le aziende di grandissima mole rimarrà sicuro. Cosi si prepara, nel nostro ramo d'industria, un movimento di concentrazione che si è manifestato anche altrove: per esempio, nella chimica e nell'elettronica. E che, ormai, è considerato — forse non a torto — come tratto distintivo di un capitalismo veramente moderno. Ferdinando di Fenizio