Le fotomodelle della pubblicità di Clara Grifoni

Le fotomodelle della pubblicità UNA PROFESSIONE ARRIVATA DALL'AMERICA Le fotomodelle della pubblicità Posano per la copertina delle riviste, ma più spesso per la reclame dei vari prodotti - Devono restare immobili per ore di seguito, senza* stancarsi mai, senza "pSTderè il sorrìso -^Guadagnano bene,~mf1a CarrieTa* diffar pUco^e « tenersi in forma» è ritolto* faticoso * Le dobbiamo all'America, come i frigoriferi e la cocacola. Arrivarono qualche anno dopo, diciamo verso il 1950, e nessuno allora sospettò che quelle ragazze prive di spessore, le spalle strette, i seni come tazze da tè, la vita come un portatovagliolo e niente fianchi, ma lunghissime gambe, potessero cambiare il costume della vecchia Europa. Covergtrls, ragazze da copertina per le riviste che vendono sogni. Non avevano quasi nulla in comune con le indossatrici, belle donne fatte per richiamare l'attenzione, ma spesso non più fotogeniche d'una gazzella impagliata. Tuttavia gli obbiettivi se le contendevano; le fotografie erano già divenute un'esigenza per la moda, che sino all'anteguerra si era espressa soprattutto coi figurini (disegnati da artisti quali Vèrtè", Bérard, Gruau, Dudovich, Mateldi). Al seguito delle riviste anche la pubblicità, rimasta essenzialmente grafica per oltre mezzo secolo, con i suoi vecchietti del cacao e il suo bue dell'estratto di carne, cominciava ad aggiornarsi: ed erano sempre le ragazze della pedana a prestare il loro sorriso ai dentifrici e a rendere irresistìbile l'invito dei formaggi carichi di vitamine. I cartelloni e i filmetti pubblicitari gli offrivano la possibilità di arrotondare i magri bilanci e di diventare in ctualche moda famose: la stella del Borotalco, la vedette dello Spray, una di quelle immagini che condizionano l'uomo moderno,catturando il suo sguardo dagl'involucri delle saponette e dai margini delle autostrade. La cover-girl si rivelò subito una temibile concorrente. Non solo dedicava tutto il suo tempo alle fotografie, ma era allenata a spersonalizzarsi davanti all'obbiettivo per diventare il simbolo di qualcosa, una linea di stagione o un modo di vivere. Oltretutto si faceva pagare carissima per non esistere e dapprincipio fu detestata: dalle mannequins e si capisce, ma anche dagli agenti pubblicitari e dai fotografi che le consideravano robots: generalmente brutte sotto l'abile maquillage e inoltre sciocche, arroganti, venali, gelidamente implacabili sulla scadenza dell'ora di posa (per questo vennero chiamate, donne-taxi). Di questi graziosi robots, capaci di posare per venti fotografie di seguito, con abiti e mìmiche diversi, senza dar segno di stanchezza, la sola New York ne contava circa ottomila, facenti capo a varie agenzie, ciascuna con la sua scuola di appreiirfixfe-models. die venivano specializzate per la sartoria o per la pubblicità di qualunque cosa, dai rrgqipetti alle automobili Fu una di queste fotomodelle, Do- rimi Parker Leigh, nativa del Texas (cinque mariti e cinque figli, uno da ogni marito) a trapiantare di qua dall'oceano l'industria del manichino, aprendo a Parigi la prima agenzia di coverglrls. Ogni agenzia ha il proprio catalogo, con la distinta delle modelle, piccole, medie o grandi — da 1,60 a 1.75 di altezza — di cui dispone, le loro fotografie, misure e caratteristiche, ha i capelli lunghi, scia, gioca a tennis, parla danese, non posa (oppure si) per la biancheria trasparente. Richieste telefonicamente, Bélo'ise, Prudencc, Betty o Marcia sono un giorno ad Amsterdam e un altro giorno a Rio o a Singapore. Negli aeroporti di tutto il mondo è ormai nota la sagoma sottile e sofisticata di quelle che Dekobra definirebbe « le madonne dei Boeing» e che riflettono il gusto del giorno. Hanno meno di vent'anni: il * consumo» esige frutti verdi, più presto si attira la cliente meglio è. Guadagnano da quindici a trentamila lire l'ina di posa (un'ora di sessanta inesorabili minuti, anche se una panne d'elettricità oppure un guasto alla macchina del fotografo inceppano le riprese) e possono lavorare cinque, sei ore al giorno, mettendo insieme da due a tre milioni al mese. Le modelle per la pubblicità, che vediamo su tutti i muri, sono meglio pagate di quelle che posano per le riviste di lusso e le copertine. Il motivo è semplice. Le prime, pur essendo più belle, sono condannate a restare anonime e impersonali: un oggetto neutro a disposizione del fotografo, che vi si scapriccia secondo l'ispirazione o la moda, ridisegnando sopracciglia, occhi, labbra, sistemando braccia e gambe e dando una vita fittizia a quella marionetta di carne con ordini secchi: €Alza la testa, girati, fianco sinistro sporgente, pancia in dentro, non cosi, dannazione! Morbida, sciolta, sorridi, stop! ». Le seconde, invece, possono « esistere » almeno in parte, avere uno stile proprio e farsi conoscere con nome e cognome dal grosso pubblico: come l'inglese Jean Shrimpton o Shrimpie, detta pure « gamberetto », che è oggi il numero Uno internazionale (ma già viene tallonata da altre outsiders, Tania Mallet, Celia Hammond, Jill Kennington anche loro inglesi, dalle americane Veroshka e. Deborah Dickson, eccetera ). Ma, note o ignorate, le cover-girls passano rapidamente, perché le loro facce vengono presto n noia: tre, quattro anni e poi fuori di scena. In quei breve spazio di tempo frequentano il inondo brillante, salendo sulla Jaguar e /'yacht di miliardari d'età variabile, che le incensano, le esibiscono, ma non le amano Se Hcloise o Marcia si concedono il colpo di fulmine è quasi sempre per un uomo sbagliato, avventuriero o beatnik. A volte si tratta d'un fotografo, ma nemmeno i fotografi, salvo eccezioni (si sa di alcuni che hanno sposato la modella prediletta) possono dare a queste ragazze una vita normalmente felice. Per convenienza professionale, anzitutto, dato che una donna normalmente felice non renderebbe davanti ai loro obbiettivi. Le migliori cover- girls, dicono gli specialisti, sono quelle distaccate e altezzose o quelle tese e allucinate, imbottite, di tranquillanti (è peggio). Guardate gli occhi verdi della Shrimpton, la più adorata e copiata delle fotomodelle: avrebbero quel rarefatto splendore se anche lei, come le altre, non camminasse sul filo ilei rasoioT A pensarci, è una fortuna che queste dee moderne vengano buttate giù in fretta dal loro Olimpo. Essendo ancora molto giovani quando ritornano nell'ombra, tton è da escludere che alcune possano riimparare a vivere per se stesse. Clara Grifoni L'inglese Jean Shrimpton, regina delle « qover girls rimi Parker Leigh nativa Ogni agenzia ha il proprio

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