«La Bibbia» di John Huston: un'opera tra il «colosso sacro» e il film d'arte

«La Bibbia» di John Huston: un'opera tra il «colosso sacro» e il film d'arte SULLO SCHERMO «La Bibbia» di John Huston: un'opera tra il «colosso sacro» e il film d'arte Due pellicole poliziesche: «Pattuglia anti-gang», con Robert Hossein, e «Inferno a Caracas» (Reposi) — Colosso, supercolosso, arcicolosso.... Non ci sono più accrescitivi per qualificare i grandi, sempre più grandi prodotti dell'industria cinematografica, intesa a rifornire di spettacoli una civiltà prevalentemente « visuale » come la nostra. La Bibbia si pone per il momento al sommo di quella scala di giganti da cui non sarà facile rimuoverla: tanti sono gli anni e i miliardi che è costata al suo produttore Dino De Laurentiis, i quali tutti si vedono nella mole e magnificenza dello spettacolo. Va poi soggiunto clic questa Bibbia tende a sfilarsi dalla lunga processione dei film biblici (incominciata, si pub dire, col cinema stesso) non solo per la prepotenza dei mezzi ma anche per l'impegno artistico, come già. si coglie nella scelta degli episodi, che t.ratt dal primo dei libri sacri, la Genesi, non sono i più tradizionalmente « cinematografici » dell'Antico Testamento, ma i più ardui e poetici: la creazione del mondo, la. nascita dell'uomo, il paradiso terrestre. Caino e Abele, il diluvio universale e l'arca di Noe'-, la. tor- re di Babele, Abramo e il sacrificio di Isacco. Inoltre il regista ò di eiuelli che non si rassegnano a scomparire nella materia, e che anzi, dall'importanza di essa, tolgono un nobile spirito di indi pendenza ed emulazione. L'americano John Huston ha sentito che proprio dalla sacralità di quei < soggetti > veniva a lui il dovere di trattarli il meno convenzionalmente possibile; e sulle sue spalle quadrate quel tremendo carico non vacilla, o non vacilla sempre, o non vacilla mai si che ne segua vergognosa caduta. La Bibbia comincia dal punto più arduo e molto bene. La cosmogonia di Huston convince, snoda arcane commozioni. La soddisfazione con cui Dio commenta, giorno dopo giorno, la sua organizzazione del creato («Ed egli vide che ciò era buono») ò insita nel ritmo pacato e gioioso con cui il caos si sbroglia sullo schermo e ne traspaiono le prime apparenze del mondo. C'erto sarà sempre meglio leggere quei versetti nel proprio silenzio interiore, che a urlarli a vedere, cos'i est riuscenti e perciò ridotti, sullo schermo; ma questo vale per tutti i libri (anche profani) e per tutti i film, che sempre male gareggiano fra loro. Una volta disposto a ricevere l'eloquenza dell'immagine, lo spettatore della Bibbia soni trascinato anche dalla, nascita del primo uomo e della prima donna, con quel tanto di realistico, e quindi di già vissuto, che è sui volti e nei gesti di ambedue 'specie di Adamo), e jiress'a iioco lo stesso gl'intervcrrà coli'idillio e poi il dramma del paradiso terrestre, coll'uccìsione di Abele da parte dì Caino (in cui Huston ha risentito, come al tempo dei suoi primi film, il pathos della sconfitta ilei giusto) e via via con gli altri episodi, fra i quali spiccano, per eccellenza di spettacolo, il diluvio e la costruzione dell'arca, e quest'ultimo anc'ie per l'umore bonario e tenero di quel Noè, che continua il suo lavoro fra gli scherni del prossimo, e nel suo zelo di salvazione, imbarcato il più grosso, non dimentica la pigra tartaruga die trasporta in braccio direttamente. Ma anche s'accorgerà, man mano che il gran fiume procede, che industria di rotture narrative e di sovrapposizioni stilistiche, non gl'impediscono di rientrare nel solito alveo delle cine-epopee bibliche, dove magari non si troveranno fabbriche di Babele di così sapiente tumulto, o storie di Abramo così riccamente contrappuntate, pur nella fedeltà al testo, di motivi soprannaturali, romanzeschi e orridi (Sodoma), ma insomma, elevati di qualche tono, è quella la ma- feria e quello il piglio, con unalllltil111M l< ti llll III ITI 111llll II I IMI; lllll IM Iti ll identica sollecitudine di riempire lo spettatore fino all'orlo. E' dunque. La Bibbia un gigante che ha sale in zucca, ma ancora troppo compiaciuto della propria muscolatura, poco brillante nei dialoghi, e pur fra pagine di bella semplicità e tócchi gentili (come il «tramonto» che lo conclude), prevalentemente estrinseco, qua e là orgiastico. Ma si può far carico al cinema di non aver attinto, anche su un piano laico, la densità poetica dì quei paragrafi biblici di averli semplicemente, sebbene rigogliosamente, illustrati:' Ci basti il buon ricordo di quelle pagine, di quei tócchi, in cui trema un po' di mistero (ma sempre più umano che religioso).Anche il cast è regolarmente fulgido. Ricordiamo Ulla Bergryd, un'Eva prudente, accettabile; Ava Gardner e George G. Scott, persuasivi come Sara e Abramo; lo stesso regista Huston, rincantucciatosi nel suo affettuoso Noe: e ancora Richard Harris (Caino), Gabriele Ferzetti (Lot), Eleonora Rossi Drago (sua moglie), Franco Nero (Abele), Peter O' Toole, Pupetta Staggio, Stelihen Bogd, Arnoldo Foà perla voce; e gli altri molti ci scu\sino. Ottima fotografia di Ro- ll IMIMII 111 I III I II II 11 IIIIIIM IIIIIIIIIIIIMMIIIIIIIIIIIk tunno, musiche, talvolta sopraffacenti, di Toshiro Mayuzumi, scenografie di Mario Chiari. 1. p> (Colosseo, Hollywood, La Perla) - Nello scope a colori Pattuglia anti-gang («Brigade anti-gangs », di Bernard Bor- o a i e - [derie, soggetto dì Auguste Le |Breton) un pubblico che non guardi per il sottile troverà divertimento in una storia che pone di fronte un cocciuto commissario e un gangster parigino abilmente mimetizzato. Il poliziotto, sospettando nel gangster l'autore d'un grosso colpo, lo incarcera; poi è cotretto a liberarlo perché certi blousons noirs, amici della figlia del criminale, hanno rapito e tengono in ostaggio il fratello del funzionario, un noto asso del calcio, idolo delle folle che tumultuano per la sua scomparsa. All'epilogo, non privo di suspense, il farabutto è ripreso e il calciatore liberato. Anche se grezza, o sforzata e in qualche punto grottesca, la storia si tiene in piedi, sorretta, per quanto riguarda l'interpretazione, dall'efficacia dei due protagonisti: Robert Hossein, il commissario, e Raymond Pellegrin, il bandito. (Nazionale) — Ambientato con qualche policroma suggestione visiva nel Venezuela, 11 poliziesco italo-franco-germanico Inferno a Caracas mostra le imprese di uno scatenato detective segretamente incaricato di ritrovare la figlia rapita d'un petroliere che dovrebbe versare dieci milioni di dollari per avere salvi, insieme, la sua diletta fanciulla e i preziosi giacimenti. II detective (George Ardisson, alias Giorgio Ardizzone) non per nulla è abile quanto tenace: perciò vince la dura partita sgominando i farabutti comandati da una donna (Luciana Angiolillo). Tramato di cose ovvie e di cose assurde, Inferno a Caracas è un film di stanca imitazione bondiana, con regìa e interpreti mediocri. vice lilla Bergryd nella parte di Eva nel film « La Bibbia »

Luoghi citati: Caracas, Hollywood, Venezuela