L'impiego dei radio-isotopi nella cura dei tumori maligni di Angelo Viziano

L'impiego dei radio-isotopi nella cura dei tumori maligni Oggi si apre il congresso nazionale di chirurgia L'impiego dei radio-isotopi nella cura dei tumori maligni Il tema è di viva attualità; si tratta del metodo più moderno per affrontare il cancro - Si discuterà in particolare la terapia «distrettuale», vale a dire il modo di colpire il tumore senza toccare i tessuti sani adiacenti - Un grande assente, A. M. Dogliotti: l'uomo che fu pioniere e animatore delle nuove cure radioisotopiche (Dal nostro inviato speciale) Roma, 18 ottobre. Il cancro si batterà in un futuro con una terapia sicuramente medica. Ma se già si intravedono parecchie vie per arrivare a questo risultato, si tratta sempre di vie d'ordine assai provvisorio, perché provvisorie sono tuttora le ipotesi sull'« ens malignitatis», cioè sulla causa primitiva essenziale della malattia neoplastica dalle molte varietà cliniche. Dire terapia medica significa intendere farmaci specifici ed eventuali cure collaterali. In quel futuro potrà essere «sussidiario» il bisturi, nel casi in cui il tumore maligno si sia ingigantito e faccia massa insidiosa, impenetrabile per il medicamento e fonte di sostanze tossiche, deleterie per la loro collegiale azione sull'organismo. Frattanto il bisturi è ancora il dominatore della situazione e qualora tempestivamente impiegato, condizionatamente ad una precoce diagnosi oggidi di più pratica realizzazione, se non guarisce in senso definitivo, allunga la vita dei sofferenti e le stesse sofferenze può alleviare. Anche la terapia medica comunque ha le sue relative virtù, con chemioterapici ed ormoni. Sintomatico a proposito dell'impiego di specifici campioni di questi ultimit in un tipo di cancro altrettanto specifico è stato di questi giorni, il conferimento del Premio Nobel ad Huggins che ha fatto la scoperta. Non ultima certo la radiologia in collaborazione col ferro chirurgico o da sola o in ausilio a farmaci, sta traendo dai suoi progressi tecnici ancora incoraggianti risultati. Ovviamente non ci si accontenta di tutto ciò e mentre gli scienziati puri seguono le diverse vie alla caccia dell'ancor fantomatico « ens malignitatis », ecco che in campo di terapia radiante ancora si acuisce, con l'avvento degli ormai ben noti radioisotopi, l'impiego di essi quali « Moderni mezzi coadiuvanti e complementari alla chirurgia dei tumori maligni ». Questo è, difatti, il tema del Simposio con cui si apre domattina la prima giornata del 68° Congresso nazionale di chirurgia, a Monte Mario. Innumeri sono gli iscritti all'annuale massimo convegno chirurgico italiano che si concluderà venerdì all'Eur in una seduta in comune con il 67° Congresso nazionale di medicina interna, il quale comincerà allora i suoi lavori per proseguirli per altre due giornate. Purtroppo è assente un grande protagonista che per tanti anni non mancò mai in tali arenghi, e proprio dell'applicazione dei radioisotopi nella terapia locale dei tumori, così com'è locale quella chirurgica, fu pioniere e fattivo animatore, e propulsore di uno speciale metodo, A. Mario Dogliotti. Ci saranno i suoi collaboratori, L. Caldarola e F. Bariellino, come redattori della Scuola torinese (con altri presentatori di comunicazioni), e pure A. Ruffo, già discepolo del Dogliotti ed ora cattedratico a Ferrara; mentre a moderatore del Simposio siederà E. Malan, che pure dello scomparso clinico di Torino è stato il primo allievo e collaboratore, oggi Maestro di fama internazionale. Si vuol dunque mettere nella prima giornata a punto la acquisita importanza della radioisotopo-terapia anticancerosa, locale, regionale e distrettuale, confrontando metodi, tecniche e risultati; ma nel tempo stesso guardare ai limiti delle possibilità curative dell'impiego, con metodi eguali od analoghi, dei farmaci chemioterapici in luogo dei radioisotopi. Innanzitutto va fatto presente che oggi in chirurgia l'impiego dei diversi elementi resi artificialmente radioattivi o di molecole marcate con essi è anche portato alla cerca stessa della sede e delle propaggini degli eventuali reimpianti a dìstanza (metastasi). Per la loro fissazione nel tessuto tumorale alcuni vi determinano una significativa concentrazione di radioattività, facilmente rilevabile e sono considerati « indicatori positivi ». Altri, per il fatto di avere una speciale attrazione verso taluni tessuti, permettono di rilevare il punto in cui questo è stato sostituito rial tumore, in tal caso all'opposto scartato dal radioisotopo, e si chiamano pertanto « indicatori negativi ». Vàrie sono le metodiche di impiego e diversi i radioisotopi utili secondo l'organo che interessa scandagliare. Ad esempio, come dirà il relatore in argomento R. Rossi, di Milano, per la mammella lo studio dell'affezione viene eseguito mediante radio-fosforo e radio-potassio, e il controllo delle relative vie linfatiche, per cui cellule tumorali possono |andare ad insidiare ghiandole linfatiche vicine e lontane, avviene mediante radio-oro. Con quest'ultimo durante l'inter- ] vento chirurgico si può ese- guire cosi un controllo della asportazione radicale delle ghiandole distrettuali compromesse e rilevare eventuali metastasi. Si sa che da tempo si è pensato alla somministrazione di radionuclidi per via generale anche a scopo curativo, per portare cioè dall'interno nel sito incriminato l'idoneo potenziale radioattivo dcstruente. Solo determinate affezioni della tiroide, ad esempio, ed alcune emolinfopatie hanno mostrato di giovarsene. Per altre contingenze non è da sottovalutare che le dosi cancericide facilmente sconfinano oltre 1 margini di sicurezza per essere efficaci, cioè tralignano in dosi tossiche o destruenti anche per tessuti sani, se vengono somministrate appunto per via generale. Ragione per cui da anni si sono fatti nositivamente strada i tentativi di riuscire a bersagliare soltanto il tumore in modo diretto. Sarebbe noiosa per chi ci legge una lunga enumerazione delle varie vie sinora seguite e sulle quali disserteranno, capitolo per capitolo, oltre i relatori già citati, nella seduta presieduta da Piero Valdoni, clinico chirurgo di Roma. G. Pipino, A. Ficari, S. Curro, E. Foti, S. Occhipintì, G. Marcozzi, G. Matteo, S. Messinetti, C. Marchegiani, S. Stella, M. Battezzati, I. Donini, U. Veronesi, G. Fava, C. Nervi. Basterà dire che un modo dapprima sperimentato è stato quello della irradiazione interstiziale del tumore, per mezzo di inflssioni in esso di sorgenti radianti, o mediante infiltrazione di colloidi radianti nella compagine e nell'immediata periferia del tumore. Ma si è affacciata successivamente l'idea di far circolare esclusivamente nel distretto corporeo afflitto dal male, per un determinato tempo, il farmaco o il radioisotopo paralizzante la crescita delle cellule cancerose. Si è trovato modo di isolare temporaneamente la circolazione sanguigna di quel territorio dalla circolazione generale, e di metterla in collegamento con una parziale circolazione extracorporea. Eppoi ecco farsi avanti, come più promettente mezzo, la terapia regionale per via endo-arteriosa con radioisotopi. E' ad essa che il prof. A. M. Dogliotti con la sua scuola ha dato appassionata e fertile vita con l'impiego di speciali radiocolloidi, microsfere di resina radioattive preparate presso la Sorin, di Saluggia. Tale sistema endoarterioso consiste nel far pervenire direttamente nell'organo sede del tumore, e lì soltanto, incanalandola in una arteria che ha termine in tale zona con una arborizzazione di vasellini, quella determinata sospensione omogena di granuli emittenti radiazioni a provata azione cancericida. Il vasto piano di ricerche, elaborato sotto la direzione del Dogliotti, ha continuato ad essere sviluppato anche dopo la sua scomparsa mediante un Gruppo di lavoro costituitosi tra Torino, Milano, Pavia, Saluggia. Angelo Viziano

Luoghi citati: Ferrara, Milano, Pavia, Roma, Saluggia, Torino