Una corsa alle brutture «turistiche» distrugge la superba bellezza della Sila

Una corsa alle brutture «turistiche» distrugge la superba bellezza della Sila Quando il cattivo giusto offende la civiltà e l'economia Una corsa alle brutture «turistiche» distrugge la superba bellezza della Sila Quelle montagne calabresi hanno la più grande foresta d'abeti d'Italia, mirabili paesaggi, ottimi campi di neve - Si poteva «valorizzarla» con intelligenza - E' sorto nel disordine un autentico museo degli orrori, tra goffe villette e albergoni; ed i turisti stranieri non ci vanno Eravamo saliti sulla Sila coperta di neve; eravamo arrivati a una delle poche case di quel deserto bianco, l'abitazione di un pastore che — ci avevano detto a Cosenza — affittava camere con un lette, e dava anche da mangiare. Era la metà di gennaio del 1948 o '49, se ricordo bene. Furono giorni stupendi: in quella casa avevamo trovato un vecchio amico, uno sciatore straordinario, che divenne la nostra guida, perché già da diverse stagioni veniva a passare le vacanze lassù, al centro della Calabria, a quasi duemila metri, tra lo Jonio e il Tirreno; la neve era tanta, che — al mattino — s'usciva direttamente dalla finestra del primo piano, gli sci ai piedi. Per valli e pendii, si poteva correre e camminare e salire per una intera giornata senza incontrare segno di vita, se non migliaia di orme di lupo. «Ma non c'è da avere paura — ci diceva il nostro pastore affittacamere — sono pericolosi solo di notte ». Un giorno, saliti quasi sulla cima di Monte « Botte Donato », guardavamo con gli amici le vallate fitte d'abetaie stendersi ai nostri piedi e fantasticavamo di un futuro ( chissà mai quanto lontano) che avrebbe visto sorgere in quei pendii deserti, paesi, alberghi, strade, sciovie, come una nuova Val Gardena o Val d'Aosta. Quel futuro che ci sembrava di ipotizzare per gioco, è oggi realtà: numerosi centri di vacanza e alberghi, pensioni, ristoranti, strade e piste d'ogni genere punteggiano e tagliano il massiccio della Sila, trovando il loro centro nell'abitato di Camigliatello. E la bellezza naturale dei luoghi ha trovato un prezioso complemento nei tre laghi artificiali di Cecità, Arvo e Ampollino, che qui sposano felicemente il riflesso delle loro acque con il colore verde cupo dei boschi e dei prati. Un paradiso, si direbbe; ed un paradiso sarebbe, se l'opera dell'uomo nell'edificare i vari, numerosi centri abitati turistici avesse avuto un minimo di rispetto per una tanto stupenda natura. Viceversa anche qui, come in tante altre parti del cosiddetto « sviluppo turistico » dei giorni nostri, non s'è seguito alcun piano, alcuna regola, ma v'è stata una sconsiderata corsa alla bruttura. Piccoli ristoranti dalle tettoie di plastica, alberghetti con il tetto di lamiera, case, casette, fontane di cemento, e sguaiati cartelloni pubblicitari, strane baracche dal tetto di latta, e tutto un museo degli orrori, fìtto fitto, senza regola e senza la minima grazia forma i centri abitati. Alla loro periferia, sono sorti villini pretenziosi anch'essi costruiti senza seguire un piano, un progetto; macchie viola fragola, rosa gelato, arancione, rosse e gialle ci segnalano tra i boschi e i prati la presenza delle casette « di vacanza » di quel tal geometra, del farmacista o dell'avvocato della cittadina a fondo valle. Non che qui io dica — per carità! — che avvocati, geometri o farmacisti o chi per loro non debbano costruirsi la loro casetta da week-end nella quiete delle montagne; chiedo solo perché non si rispetti minimamente il paesaggio, perché non si puniscano i colpevoli delle sconcezze di latta, di cemento e di plastica come si punirebbe chiunque deturpasse un quadro in un museo. Ora, se debbo parlare della Sila, non m'accadrà più di ricordare le bianche, vergini distese di neve o la pa ce delle più grandi foreste d'abeti d'Italia; ma ricorderò l'orrore di un albergo a sette otto piani, orrendo nel suo cemento sgraziato, in quel suo tetto di latta ondulato, palazzone indegno (e tra l'altro non ancora finito, a oltre sei anni dall'inizio della sua costruzio ne) che deturpa con la sua massiccia presenza il più bello dei tre laghi silani. Un palazzone costruito andando in verticale, quando nel verde di quella foresta ora rovinata per semprejcpoteva nascere un alber-; go a chalets, a villette, na-- escosto, piacevole, gradevole jad abitare. iLa conclusione di questo ldiscerso non mira poi solojèa un giudizio estetico, ma vuol trarre anche delle con-U prejclusioni pratiche: il turismo;ser-; internazionale — oggi — ina-- evita luoghi di vacanza co- ] role jme quelli edificati in Sila, mifugge il cemento sguaiato,!dsto levita i luoghi ove la natura tolojè stata stupidamente detur-]z ma pata. E cosi la sconsiderata!pon-U corsa all'albergo» per in-lg seguire a qualunque costo il miraggio di un boom tu ristico, finisce col compro mettere definitivamente idesiderio giusto e giustifica to, di chi vorrebbe valorizzare turisticamente le zonepiù belle delle proprie regioni. ] E' possibile che un ragio|namento tanto semplice non ;rjesca afj articolarsi nelle 'ment.j di chi è preposto alla , realizzazione (c alla sorve- l»lianza^ dl fueste •< zone di jsviluPP° *' Folco Quilici Una contadina scende dai monti col mulo che traina un piccolo carico di pietre introvabili a valle. Le pietre consentono la costruzione di casette e villini abusivi che deturpano il paesaggio della Sila (foto Quilici)

Persone citate: Botte Donato, Folco Quilici, Quilici

Luoghi citati: Calabria, Cosenza, Italia, Val D'aosta