Il muro di Berlino di Gigi Ghirotti

Il muro di Berlino Si è aperto ieri un «varco umanitario» Il muro di Berlino (Dal nostro inviato speciale) Berlino, ottobre. Da quest'oggi i berlinesi dell'Ovest potranno mettere il capo nella Berlino dell'Est, in occasione di nascite, morti, malattie o gravi eventi che colpiscano i loro congiunti (di primo grado) abitanti nella città di Ulbricht. Non è che il muro si apra: ma, in virtù d'un accordo firmato qualche giorno fa, riprende a funzionare l'ufficio «casi speciali » che, sorto all'indomani del muro, rimase sospeso a un filo di pietà fra l'una e l'altra Berlino fino al maggio scorso. Poi, per un'improvvisa impuntatura, la delegazione dell'Est abbandonò le sedute. Si è rifatta vedere una settimana fa. Quest'estate i berlinesi di Brandt e quelli di Ulbricht che volevano incontrarsi erano costretti a darsi appuntamento in luoghi lontanissimi: in Cecoslovacchia, oppure sulle rive del Mar Nero, o anche più in là. Dappertutto, fuorché a Berlino. Fra le due Berlino, come si sa, non esiste collegamento telefonico e quello postale è precario. Anche le reti dell'approvvigionamento idrico, delle fognature, dell'energia elettrica e del gas sono indipendenti. Vene e arterie della città dal tempo del muro — 13 agosto 1962 — sono state troncate e hanno dovuto essere ricostruite. Rimaneva vivo il tessuto degli affetti. Un po' per volta si vuole distruggere anche questo. Il muro è una frontiera interna, valida solo per i berlinesi. Uno straniero, oppure un tedesco di Bonn può andare a Berlino Est quando vuole. Non c'è per lui se non il fastidio della visita doganale e di un piccolo interrogatorio preliminare della polizia di Ulbricht. Per tutti il muro è aperto, fuorché per i cittadini di questa città parados sale. E' come se un colpo d'accetta fosse menato su Torino tra Porta Nuova e Porta Palazzo per dividerla e rendere gli abitanti estranei e nemici tra loro. Quando si dice « muro > si pensa al muro dell'orto, al mu ro del castello medievale, op pure al muro della prigione Ma il muro di Ulbricht è tur. to questo e qualcos'altro an cora: è un mostro, lungo disteso per traverso fra le case della città, serpeggiante fra i boschi, i cimiteri, le fabbriche, i parchi pubblici, i laghi. Nessun rettilario, né nel mondo antico né in quello moderno, ha mai mostrato una biscia velenosa lunga quarantasette chilometri, alta da due metri e cinquanta fino a trenta, quaranta metri e con la gobba irta di una cresta ininterrotta di filo spinato. Nel cuore d Berlino 1966 giace e vive questo tortuoso animale di ferro e di cemento. Giorni fa venne inaugurato nel centro di Berlino, al Check point-Charlie, crocevia un tem po fra i più animati della capitale, il palazzo eretto dall'editore Axel Springer per ospi tarvi il suo poderoso comples so industriale. Erano convenuti, accanto al presidente della Repubblica, Liibke, e al sindaco Brandt, illustri e popolari personaggi del mondo germanico, dal musicista Herbert von Karajan al pugile Max Schme ling, pugno famosissimo degli anni «trenta» (ora, appiccato il guantone al chiodo, Schmeling fa il signore, concessionario per la Germania della Coca Cola). Finiti i discorsi, nume rosi e lunghetti come s'usa da queste parti, tutti gli invitati salirono al terrazzo del nuovo edificio. Il palazzo di Axel Springer è un'elegante e ardita costruzione di venti piani, opera degli architetti milanesi Bega e Pranzi. Lassù in cima, sul terrazzo, una sorpresa: il pittore Oscar Kokoschka, nel tempo in cui noi al pianterreno si ascoltavano tutti quei discorsi, aveva aperto il suo cavalletto e improvvisato un quadro. Un quadro dal vero: Io spaventoso vero che si contempla dall'alto di un grattacielo costruito a poche decine di metri dal muro. L'artista ha colto, del muro di Ulbricht, questo suo aspetto di animale informe che avvelena la terra intorno a sé. In tutta la sua lunghezza, da una parte e dall'altra, davanti e dietro il muro, la vita è paralizzata. I tram non corrono, la gente non passa, le macchine si arrestano, i negozi sono chiusi; solo poche botteghe di souvenir;, dalla parte ovest, sono aperte: per vendere cartoline, fotografie e orsacìiotti di peluche — l'orso è il simbolo di Berlino — con il collarino di filo spinato. Nella parte est le abitazioni a ridosso del muro sono deserte: porte c finestre murate, le famiglie mandate altrove. Dove il muro attraversa zone boscose, Ulbricht ha fatto abbattere gli alberi: cani-poliziotti, tenuti per lunghi guinzagli, corrono e latrano di notte e di giorno per queste lande, come belve impazzite. Di notte, migliaia di riflettori si accendono sul muro. Vigilano il fortilizio ccntonovanta torrette di guardia: in legno, ben riparate, ciascuna con telefono, riflettore e due sentinelle armate di mitra, granate lacrimogene, razzi illuminanti. Un esercito di quattordicimila uomini for¬ ma la guarnigione del muro comunista: l'ordine è di sparare a vista. I berlinesi dell'Ovest hanno alzato grandi cartelli davanti agli occhi delle sentinelle di Ulbricht: « Se proprio dovete sparare, sparate in aria! » e con la pece hanno segnato sul dorso del muro a grandi lettere « KZ », iniziali « campo di concentramento ». Da oggi, Ulbricht toglie una sbarra al suo Lager. Ma solo per visite brevi, di documentata urgenza e di non dubitabile gravità. Non potrà invece avvenire il contrario, e cioè i berlinesi dell'Est non potranno visitare, in nessun caso, i congiunti dell'Ovest. E del resto anche noi possiamo render visita ai carcerati, ma i carcerati non possono render visita a noi. Gigi Ghirotti