Nuovi metodi per rianimare gli avvelenati da gas illuminante

Nuovi metodi per rianimare gli avvelenati da gas illuminante Concluso il Congresso nazionale di AnestesSologia in Sardegna Nuovi metodi per rianimare gli avvelenati da gas illuminante E' la cosiddetta «terapia iperbàrica», illustrata dalla Scuola medica torinese ■ Il paziente, chiuso in una camera pressurizzata, respira ossigeno ad alta pressione - Le difficoltà ancora da superare Il XIX Congresso Nazio-jmnale della Società Italianalrdi Anestesiologia e Riani-jamazione svoltosi ad Alghe ro dal 1° al 4 ottobre, ha portato all'attenzione del mondo medico il problema della ossigenazione iperbàrica e delle sue applicazioni cliniche. L'affascinante argomento, tornato di attualità negli ultimi anni, soprattutto ad opera di Boerema di Amsterdam, i cui esperimenti avevano dimostrato nell'animale la possibilità di sopravvivere somministrando ossigeno ad elevata pressione anche quando il sangue fosse totalmente sostituito con plasma, era stato trattato per la prima volta oltre un secolo fa, per merito di studiosi francesi, e successivamente ripreso da americani e dal nostro Forlanini. Ma i risultati erano stati praticamente nulli, tanto che per oltre mezzo secolo non se ne era più parlato. Durante l'ultima guerra mondiale i medici della Marina avevano ripreso gli studi per trattare la « malattia dei cassoni » e per proteggere i piloti dei mezzi subacquei (maiali) che navigando sotto il livello dell'acqua portavano le cariche di esplosivo contro le navi ancorate nei fortificati porti nemici. Il metodo consiste nel fare inalare al paziente, in apposita camera pressurizzata, ossigeno ad elevata pressione, che dai valori normali fisiologici di 150 mm di mercurio di pressione parziale, può superare i 2300 mm di mercurio. Ricorderemo a questo proposito che una pressio ne di 1 atmosfera assoluta corrisponde alla pressione al livello del mare, cioè 760 mm di mercurio. Una pres sione di 2 atmosfere assolute è quella che corrisponde ad una profondità di 10 metri al di sotto del livello del mare e che 3 atmosfere assolute corrispondono a 20 metri di profondità e così via. L'effetto dell'aumentata pressione si esplica soprattutto sulla quantità di ossigeno disciolta nel plasma sanguigno. Ad 1 atmosfera assoluta, l'ossigeno disciolto nel sangue è di 0,3 ce per 100 ce di sangue, che aumenta a ce 1,88 quando si respira ossigeno puro, e che raggiunge la cifra di ce 6 a 3 atmosfere assolute. Al Congresso Alghero svolgevano la relazione ufficiale le Scuole di Rianimazione dell'Università di Torino ( Ciocatto, Maritano, Moricca, Pattono e Trompeo) e di Roma (Mazzoni e collaboratori). Mentre i relatori romani trattavano i problemi generali della fisiopatologia degli effetti dell'ossigeno ad alta pressione sull'organismo in toto e sui vari organi, i colleghi torinesi discutevano, in base alla loro ormai notevole esperienza, dei fattori di sicurezza nell'im piego delle camere iperbariche, singole o plurime, dei criteri di scelta e preparazione dei pazienti da sottoporre a terapia iperbàrica e del personale di assistenza, della prevenzione delle eventuali complicazioni connes se all'elevata pressione ed all'iperossia. Infine i rappresentanti della nostra Scuola, che da circa due anni dispongono di una camera iperbàrica modernissima, di costruzio ne nazionale, donata all'Istituto di Anestesiologia e Ria nimazione dalla Cassa di Ri sparmio di Torino, hanno descritto i risultati ottenuti nelle varie indicazioni clini che: chirurgia cardiaca, arteriopatie arteriosclerotiche, embolie gassose, shock, infarti, intossicazioni (ossido di carbonio, cianuri, barbiturici), infezioni (gangrena gassosa, tetano), trapianti di tessuti ed organi e asfissia dei neonati. Dalle vivaci discussioni seguite alla relazione ufficiale si può dedurre che il metodo dell'ossigeno iperbarico è ancora in una fase di evoluzione clinica, sulla quale incombono tuttora gravi ed insoluti problemi di importanza fondamentale: tossicità dell'ossigeno, riduzione dei flussi sanguigni distrettuali e sconosciute interazioni fra iperbaria e sostanze medicamentose. A tutt'oggi si può affer- smtzitcsfllcpmngptacpddf mare che la terapia iperba-rica trova utili e decisiveapplicazioni: nell'intossicazione da ossido di carbonio (o gas illuminante). A questo proposito è auspicabile un'organizzazione capillare con camere iperbariche singole, montate su autoambulanze dislocate nelle vicinanze dei posti di lavoro (miniere, trafori ecc.) dove è più facile l'incidente; nelle gangrene gassose; nelle infezioni superficiali o profonde, croniche (ulcere varicose e diabetiche, processi osteomielitici) ; nella radioterapia dei tumori maligni; nei tetani gravi. I casi trattati nella di- scussione rappresentano delle indicazioni relative, vanatabili caso per caso. Nell'attesa che le acquisizioni recenti in medicina aerospaziale vengano ad illuminare anche il settore dell'iperbarismo, considerati il costo degli impianti necessari, i pericoli connessi al funzionamento delle complesse apparecchiature e la necessità di personale medico, specializzato in rianimazione, i relatori ritengono indispensabile una programmata collaborazione tra biologi e clinici in centri altamente qualificati. prof. Enrico Ciocatto Direttore dell'Istituto di Anestesiologia e Rianimazione dell'Università di Torino

Persone citate: Ciocatto, Enrico Ciocatto, Maritano, Mazzoni, Moricca, Pattono, Trompeo

Luoghi citati: Alghero, Amsterdam, Roma, Sardegna, Torino