Lin Pino, futuro dittatore della Cina ha fatto dell'esercito la «forza-guida»

Lin Pino, futuro dittatore della Cina ha fatto dell'esercito la «forza-guida» // destino di 7QO milioni di uomini in mano a un militare Lin Pino, futuro dittatore della Cina ha fatto dell'esercito la «forza-guida» La sua ascesa verso il potere è incominciala nel 1959, dopo un periodo di gravi difficoltà interne; è culminata mentre crescevano i pericoli di conflitto con l'America - Egli ha trasformato le forze armale in « esercito popolare » ed in strumento di lotta e direzione politica; ma in accordo, non contro il partilo I due organismi sono più stretti che mai: tuttavia, in questa situazione è l'esercito che comanda Quando Lin Piao assume il comando dell'esercito (settembre '59), la Cina sta entrando in un periodo di gravi difficoltà a causa della carestia e della partenza dei tecnici sovietici, catastrofica per l'industria. Con tutto il paese, anche l'esercito attraversa nel '60 e nel '61 una crisi seria: Mosca non invia più aiuti, scarseggiano materiali e petrolio., il morale delle truppe è basso. Per migliorare la situazione, Lin Piao dà mano a riforme profonde tra le forze armate. Abbandona il modello sovietico imitato fino ad allora e organizza le truppe secondo l'insegnamento maoista dell'esercito popolare. Il 30 settembre '59 pubblica un lunghissimo articolo che contiene tutto il suo programma e annuncia l'evoluzione della Armata rossa, e forse del paese, in un prossimo futuro. Vi si leggono queste frasi : « L'esercito è uno strumento della lotta politica. Il soldato rivoluzionario non deve essere distaccato dalla politica, ma al contrario rispettare e studiare la politica. Le truppe devono partecipare spontaneamente ed attivamente alla costruzione del paese ». C'è già l'enunciazione del programma, ispirato ai principi di Mao. Ne è anzi tanto nutrito che nell'ottobre '60 il comitato militare del partito, di cui Lin Piao è vice-presidente, lancia uno slogan destinato in breve ad echeggiare negli angoli più lontani della Cina: « Studiate il pensiero di Mao Tse-tung ». Per il momento, l'ordine è dato soltanto alle forze armate. L'organo motore della riforma militare è il dipartimento politico dell'esercito, che occupa ormai il primo posto. Ordinanze apparse nel luglio e nell'autunno '61 riorganizzano su nuove basi i rapporti tra il partito ed i militari. Comitati politici sono creati per ciascuna compagnia; compaiono le « cellule » nelle sezioni di combattimento ed i « commissari politici » nei reggimenti. La Lega dei giovani, pupilla del partito, si insinua tra le reclute. Tutta una gerarchia politica parallela duplica e controlla la gerarchia militare. L'esperienza è soddisfacente, dalla fine del '61 le cose vanno meglio nell'esercito. La Cina comincia ad uscire dalla crisi. Nel dicembre '63 i metodi che hanno avuto successo tra le forze armate sono estesi all'intero paese. L'anno dopo, agli inizi, lo « studio del pensiero di Mao Tse-tung » diventa un movimento nazionale: tutti i cinesi, in città e nelle campagne, sono invitati a dedicarcisi con ardore. Compare una nuova parola d'ordine: «Prendete a modello l'Armata popolare di liberazione ». Non è più in gioco soltanto l'ideologia, ma tutto il sistema economico. I commissari politici passano dall'esercito ai ministeri dell'Industria, delle Finanze e del Commercio; si installano nelle fabbriche, nelle banche, nel le cooperative. Questo sistema provoca un afflusso di ufficiali e soldati, in servizio o in congedo, negli organismi economici. Altro aspetto del movimento: i dirigenti civili vanno a far pratica nell'esercito per « prendere a modello » la sua organizzazione. Industrie strutturate come unità militari sono proposte alle altre come esempi da imitare: in particolare il centro petrolifero di Taching, dove tutto è regolato allo stesso modo che nell'esercito, e la brigata di produzione agricola di Tachai, i cui contadini vivono e lavorano come soldati. Stabilimenti, comuni popolari, amministrazioni civili si sforzano di modellarsi sull'esempio di Taching e Tachai. L'Armata rossa non aveva partecipato al « grande balzo » economico ' del '58, forse perché allora la comandava il maresciallo Peng Ten-huai, destituito in seguito come « deviazionista di destra » e filo-sovietico. La « rivoluzione cul¬ turale » lanciata quest'anno, nuovo « balzo in avanti » politico e sociale, è preceduta — in un modo che pare essere stato pianificato — da un'infiltrazione capillare dell'esercito, in comunione stretta con il partito, in tutto il paese. La discrezione e l'ombra di cui Lin Piao si è circondato per tanti anni si attenuano leggermente agli inizi del '65, quando l'ascesa dell'esercito ai vertici del potere diventa più concreta e visibile: egli è nominato primo dei sedici vice-primi ministri del governo. Lin Piao non permette che sia data pubblicità alla promozione, ma si fa vedere in pubblico (non era accaduto che una volta dal '62) e i giornali incominciano a ricordare sovente il suo nome. Nello stesso tempo, una lunga serie di nomine decise dalla Assemblea popolare conferma la « scalata » dell'esercito allo Statò. Il ministro della Sicurezza nazionale e capo dei servizi segreti, il gen. Sieh Fu-ci, diventa vice-primo ministro; un maresciallo ed un generale entrano come vice-presidenti nel comitato permanente dell'Assemblea. Il primo collaboratore di Lin Piao, il gen. Lo Juiching, capo di Stato Maggiore, è nominato vice-presidente del Consiglio di Difesa, organo consultivo comune delle forze armate e del partito. Sei vice-presidenti del Consiglio di Difesa sono contemporaneamente vice-premier nel governo. Parecchi militari, Lin Piao in testa, detengono portafogli ministeriali. Di otto ministeri industriali (i cosiddetti « ministeri per la Costruzione delle macchine»), cinque sono in mano a generali. Militari sono inoltre i ministri delle Finanze (Li Sien-nien), dell'Atomo (Nie Jung-chen), dello Sport (Ho Lung). Chen-yi, ministro degli Esteri dal '58, è maresciallo delle forze armate. Si può pensare che l'ascesa dell'esercito sia stata favorita finora da ragioni di politica interna. A partire dall'estate '64, e più ancora nel '65, interviene in maniera decisiva la situazione internazionale. La guerra nel Vietnam si estende fino alle porte della Cina. La bomba atomica (un successo che gli scienziati dividono con i militari) non è di alcuna utilità immediata per la di fesa del paese: non è trasportabile. Il conflitto viet namita inquieta sempre più i generali. Ma nello stesso tempo giustifica ed accresce la loro influenza. Si comincia a delineare un parallelismo tra la situazione nel Vietnam e le attività dei capi dell'esercito a Pechino Per far fronte al pericolo, si adottano misure non più politiche, ma militari. Nell'estate '64 assistiamo al rilancio delle milizie popolari, una specie di secondo esercito composto di civili, che costituisce una poderosa riserva di 20 milioni di uomini addestrati alla guerriglia. Nel gennaio '65 è l'esercito stesso che si rafforza: il servizio di leva è prolungato, e gli effettivi aumentano per raggiungere probabilmente i tre milioni di unità, o forse più. In maggio l'Armata ros sa si « democratizza » radi calmente con l'abolizione di gradi, titoli, insegne. Pare una decisione politica; in realtà è una misura mili tare. Dimostra che Lin Piao mira a fare dell'esercito nel momento in cui cresce 1' escalation americana nel Vietnam — un'Armata non disgiunta dal popolo e alle nata alla « guerra popolare ». In settembre una riunione segreta del Comitato centrale decide una vasta epurazione. A mio parere, le « purghe » sono soltanto un aspetto di una decisione ben più importante : preparare la nazione ad un eventuale conflitto con gli Stati Uniti. Contro questa volontà di vivere pericolosamente, si levano dissensi e resistenze anche nell'esercito, come in agosto riconosce in un articolo il maresciallo Ho Lung, intimo di Lin Piao. Ma quest'ultimo, appoggiato da Mao, sta per vincere la partita. Lo dimostra il suo famoso scritto pubblica. to in settembre per l'anniversario della disfatta giapponese, che dichiara esplicitamente chi è che guida, e in che modo, la politica della Cina. La tesi centrale del documento è che la guerra popolare, come ha sconfitto il Giappone, così batterà l'America. La Cina non deve dunque sottrarsi al conflitto che la minaccia, ma prepararsi ad affrontarlo. Direttive in questo senso sono impartite all'esercito da Lin Piao nel gennaio '66, dopo una conferenza allargata dei commissari politici dell'Armata rossa. La tappa finale dell'ascesa di Lin Piao tra l'autunno '65 e la primavera '66 (che coincide con l'escalation americana nel Vietnam) è tuttora circondata di mistero. Sappiamo dagli stessi documenti ufficiali che vi sono state e vi sono ancora senza dubbio opposizioni violente alla linea adottata e persino al «pensiero di Mao Tse-tung» che l'ispira, e che aspre lotte sono avvenute ed avvengono nel partito e nell'esercito, dov'è destituito il braccio destro di Lin Piao, il capo di Stato Maggiore Lo Jui-ching. Ma a partire da maggio-giugno di quest'anno il trionfo di Lin Piao ed il ruolo-guida dell'esercito non sono più nascosti al popolo. Lin Piao ha sostituito il presidente della Repubblica Liu Sciaoci nella gerarchia del partito, ed occupa ora il secondo posto. L'esercito sostiene la « rivoluzione culturale » e le « purghe » ; vi prende anzi una parte diretta. Lin Piao copre le « guardie rosse » con la sua autorità, e Mao appoggia Lin Piao con tutto il suo prestigio. Lin Piao non ha conquistato il potere di sorpresa; è giunto quasi al vertice con una lenta scalata di sei anni. Il suo successo non è il frutto di un contrasto tra il partito e l'esercito, da cui quest'ultimo sia uscito vincitore. Alcu ne personalità si sono trovate in conflitto con lui: Liu Sciao-ci, ad esempio, e forse il segretario generale Teng Siao-ping. Ma le due organizzazioni, la politica e la militare, non sono mai state più vicine l'una all'altra. E' più che un'alleanza: è una vera interpenetrazione. Si può dire soltanto che a forza di farsi politicizzare dal partito che la controlla, l'Armata rossa sembra avere ora rovesciato le parti: sotto Lin Piao pa re che la Cina sia entrata in un'era nuova in cui è l'esercito che controlla il partito e decide. Robert Guillain Copyright di « La Monde » e per l'Italia de «La Stampa»