Gli architetti che «crearono» Torino rievocati nel loro paese canavesano
Gli architetti che «crearono» Torino rievocati nel loro paese canavesano Una nubili* mostra «fi Carlo e <lwic*ff«>o di Costei famofite Gli architetti che «crearono» Torino rievocati nel loro paese canavesano Prima del Guarini, i due congiunti diedero un'impronta non più perduta e nobiltà d'arte alla città - Costruirono piazza San Carlo e via Po, il castello del Valentino e Palazzo Reale, il San Giovanni e la Venaria (Dal nostro inaiato speciale) Castellamonte, 17 settembre. Prima della venuta a Torino nei 1666 del modenese Guarino Guarini l'architettura della capitale sabauda fu dominata dall'arte e dal gusto dei due Cognengo di Castellamonte: Carlo (1560-1641), il padre, Amedeo (1610-1683), il figlio. S'ha da tener conto, è vero — e a parte l'importante Ascanio Vittozzi, orvietano, che può esser ritenuto il promotore del rinnovamento architettonico e urbanistico della città fra il 1584 e il 1615 —, di costruttori notevoli come Ercole Negro di Sanfront, Andrea Costaguta, Francesco Lanfranchi, Giovenale Boetto; rna l'impronta lasciata dai due, conti di Castellamonte, al servizio di tre duchi di Savoia, è di gran lunga più forte e di portata decisiva anche nel campo dell'urbanistica. Basti ricordare che a Carlo si deve il 'disegno (quarto decennio del '600) della magnifica piazza San Carlo, e ad Amedeo quello (1675) della maestosa contrada di Po, una delle arterie che ancor oggi, dopo tre secoli, meglio servono la viabilità cittadina. Di entrambi poi il vanto di un deciso avvìo della corrente barocca a Torino, benché in Carlo, educatosi a Roma, permangano tracce di uno stile che — scrisse Nino Carboneri in occasione della grande Mostra del Barocco Piemontese — «si andava stemperando nelle uniformi sequenze di Domenico Fontana ». La memoria dei due valentissimi artisti ha voluto ora rinfrescare il loro paese natale canavesano, ad iniziativa della « Pro Castellamonte » presieduta da Carlo Trabucco, co! generoso concorso di enti pubblici e privati, e soprattutto col valido aiuto dell'Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti della Fa¬ coltà di Architettura del Poli- tecnico di Torino, diretto dal prof. Enrico Pellegrini. Opportunamente, questo Istituto ha pubblicato un ampio volume che riproduce in facsimile un fondamentale e ormai introvabile saggio (1895) di Camillo Boggio sui due architetti, un accurato regesto, uno studio di Mario Passanti sul tre ingrandimenti sei-settecenteschi di Torino, e, con numerose riproduzioni di stampe e fotografie, quelle dei rilievi delle più famose fabbriche castellamontiane compiuti, sotto il controllo dei docenti Giuseppe Cento e Passanti, dagli studenti della Facoltà torinese di Architettura. Abbiamo cosi, accompagnata da questo utile libro, ed allestita nella graziosa chiesuola settecentesca di San Ronco con la volonterosa prestazione degli assistenti della Facoltà, Gardano, De Bernardi, Brino, Gislon, Rosati, Torretta. Martina, la Mostra dei Castellamonte » che domani si inaugura con l'intervento del ministro Scalfaro: una mostra tutta di fotogratie, ma non per ciò meno interessante. Rivediamo le principali realizzazioni architettoniche e urbanistiche castellamontiane, e ancora una volta si è persuasi di quanto decisivo sia stato il loro apporto nella definizione del volto di una Torino clie, quasi estranea al clima rinascimentale, passava con entusiasmo innovatore, conscia del suo spontaneo inserimento nel gusto « moderno », da una strutturazione medioevale alla fisionomia schiettamente barocca. Fra le sue molte scomparse, opere torinesi capitali di Carlo restano il progetto di piaz- za San Carlo ed il castello dellValentino a lui rivendicato nelle sue lìnee essenziali an- che dal Brinckmann, dissi- pando la vecchia leggenda dij una presenza di architetti francesi (anche se dovette qua e là indulgere alle preferenze di Madama Reale Maria Cristina di Francia). Restano di Amedeo, principalissime con i successivi interventi nel medesimo castello, il Palazzo Reale, la chiesa di San Salvarlo, l'ideazione del mirabile secondo ingrandimento di Torino, l'Ospedale di San Giovanni, 1 palazzi Beggiamo di S. Albano (più tardi Lascaris), Trucchi di Levaldigi. Della Chiesa di Roddi, Ferrerò d'Ormea, Salmatoris, Coardi di Carpeneto (è deplorevole lo stato in cui lo si lascia), Gonteri di Cavaglià, Nomis di Pollone, la chiesa dei Ss. Bernardo e Brigida a Lucento, la straordinaria Venaria Reale, ridotta per la metà a un cadente rudere che invano chiede da decenni, in nome dell'arte, del decoro, della civiltà, un adeguato restauro. Ma, dalle fortificazioni ai rifacimenti e alle aggiunte di nobili edifici, l'azione dei due architetti si spiegò vasta e decisiva in Torino e in altri centri piemontesi. Furono essi gli autentici iniziatori di un gusto che nella città subalpina sarebbe trionfato coi capolavori del Guarini e del Juvarra; e come tali è giusto che siano onorati dalla loro piccola patria. mar. ber.
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