Il «premier» del Sudafrica ucciso a pugnalate in Parlamento

Il «premier» del Sudafrica ucciso a pugnalate in Parlamento Verwoerd aveva imposto ai negri una rigida segregazione Il «premier» del Sudafrica ucciso a pugnalate in Parlamento L'assassino (un commesso di 45 anni, di origine greca) colpisce il Primo ministro tre volte al collo e alla nuca • Poi si scaglia sul ministro del Turismo, che si salva con un balzo - Cinque deputati medici tentano di rianimare Verwoerd con la respirazione a bocca a bocca e con il massaggio al cuore - Vani tutti gli sforzi, la morte sopravviene in pochi minuti - Oscure le ragioni del delitto - L'omicida era stato assunto alla Camera da un mese: parla otto lingue, leggeva sempre la Bibbia, si lagnava che i negri in Sudafrica fossero trattati troppo bene - Verwoerd (65 anni) era già stato vittima di un grave attentato nel 1960 - Capo del governo «ad interim» è il ministro delle Finanze, Donges Un paese inquieto Anche se non si conoscono i molivi specifici dell'assassinio di Verwoerd, il tragico ed odioso avvenimento va evidentemente inquadrato nella situazione generale del Sud Africa; è il prodotto, cioè, della atmosfera di odio e di oppressione che da un ventennio circa grava su quel paese. Verwoerd aveva già subito un attentato, anch'esso ad opera di un bianco, nel 1960: l'anno dei disordini di Durban e del massacro di Sharpeville, un momento quindi di estrema tensione razziale. Adesso, in una situazione esteriormente calma, forse è caduto vittima di quello stesso estremismo che egli aveva fomentato con la sua opera politica. Fin da giovane, del resto, lo scomparso aveva manifestato le sue propensioni razzistiche, che affondavano le radici nella tradizione dei Boeri, ma avevano ricevuto impulso durante il suo soggiorno, da studente, nella Germania degli « Anni venti ». Così, nel '36, Verwoerd firmò, con altri professori, una protesta contro l'ammissione nel Sud Africa di profughi ebrei di origine tedesca; più tardi, durante la guerra, si meritò l'accusa di filonazismo per gli editoriali che pubblicava sul proprio giornale, Die Transvaaler. Sporse querela per diffamazione, ma perdette la causa perché il tribunale sentenziò che « sosteneva scientemente gli obiettivi militari della Germania nazista ». Verwoerd era uno dei più tenaci assertori dell'apartheid, la dottrina razzistica che predica la totale separazione tra bianchi e negri nel Sud Africa. Le elezioni del 1948, vinte dal partito nazionalista, aprirono poco dopo (1950) a Verwoerd la possibilità di mettere in pratica i suoi princìpi, dalla carica, particolarmente indicata a tal fine, di ministro degli affari indigeni. Diventato poi, nel '58, primo ministro, egli potè indirizzare l'intera politica del Sud Afric, verso quella che il Times ha chiamato « Za tragica sfida del Sud Africa al XX Secolo ». Ed è veramente una sfida da parte di una minoranza bianca (3 milioni e mezzo di persone), la quale vuole mantenere a ogni costo la propria supremazia su 11 milioni di negri, un milione e mezzo di meticci e mezzo milione di asiatici. "L'apartheid, nonostante le affermazioni teoriche dei razzisti, non è la separazione dei diversi gruppi etnici su basi egualitarie; ma la segregazione delle razze inferiori in un ghetto geografico, economico, sociale, culturale, sì da garantire alla razza eletta la conservazione di esorbitanti privilegi. Basti dire che la minoranza bianca si appropria di due terzi del reddito globale nazionale del Sud Africa e che il reddito medio annuo del bianco è tra dieci e undici volte il reddito del negro per toccare con mano il fondo della questione. Per difendere la roccaforte bianca dalla reazione dei negri e, più ancora, di una coraggiosa minoranza di bianchi antirazzisti, è stata eretta una barricata di leggi che, da un lato tendono ad attuare minutamente l'apartheid, dall'altro reprimono duramente fin la minima manifestazione di dissensi. Non siamo ai campi di concentramento nazisti, certamente; ma l'oppositore del regime razzistico è completamente in balìa dell'arbitrio camuffato di legalità: dall'arresto preventivo a tempo indeterminato al confino a domicilio per anni, dalle pesanti condanne per i « contatti » fra le razze, alla persecuzione vessatoria per la più piccola trasgressione dall'apartheid. Pur di affermare il razzismo, il Sud Africa ha sfidato la condanna dell'Onu, si è ritirato dal Commonwealth (1961), si è attirato l'ostilità di tutti gli Stati africani. I suoi soli amici sono rimasti i razzisti bianchi della Rhodesia e i colonialisti portoghesi dell'Angola e del Mozambico: coloro che ancora credono al «mito secondo cui il più vile tra loro bianchi è più nobile del più nobile tra noi neri », come ha detto il Premio Nobel per la pace Luthuli. Comunque è sempre una grande sventura quando il capo di uno Stato è vittima di un assassinio. Come ha telegrafato subito il senatore Bob Kennedy, « la violenza non è la risposta ai problemi che devono essere risolti nell'ambito di un popolo ». Ferdinando Vegas Hendrik Verwoerd aveva 65 anni. Era pi-imo ministro della Repubblica Sudafricana dal 1958 (Telefoto Ansa) Il primo ministro Verwoerd trasportato in barella fuori dal Parlamento a Città del Capo (Telefoto A. P.)

Persone citate: Bob Kennedy, Boeri, Donges, Ferdinando Vegas Hendrik