Tre medaglie d'oro nelle prove in pista

Tre medaglie d'oro nelle prove in pista Oltre a numerosi piazzamenti Tre medaglie d'oro nelle prove in pista I ciclisti Faggin, Beghetto ed i quattro dilettanti dell'inseguimento sono riusciti ad imporsi - In alcune spedalità mancano i rincalzi - Occorre ora dare ai nostri corridori possibilità di gareggiare spesso (Dal nostro inviato speciale) Francoforte, 5 settembre. All'attivo dei ciclisti italiani, tre medaglie d'oro e quattro medaglie di bronzo. Tre medaglie d'oro: le hanno conquistate Beghetto e Faggin, rispettivamente nella velocità e nell'inseguimento professionisti ed il quartetto dei dilettanti nell' inseguimento a squadre. Quattro medaglie di bronzo: sono toccate al quartetto dei dilettanti nella 100 chilometri a cronometro, a Turrini ed a Gorini nel tandem, ad Ursi nell'inseguimento dilettanti, a Gaiardoni nella velocità professionisti. Ed il bilancio generale, nel complesso è buono, pur se, specie per quanto riguarda le competizioni su pista, siamo riusciti a raddrizzarlo solo in extremis, proprio nelle due ultime giornate di gare. Un bilancio buono. Qualche delusione per gli stradisti dilettanti, qualche rimpianto per gli stradisti professionisti, questi ultimi impegnati in una corsa che ha fatto sorgere persin troppi dubbi. Acqua passata, almeno per ora. Guardiamo piuttosto alla pista, ad un'attività che in ItaLia è spesso bistrattata (po chissime riunioni e pochis simi atleti); ma che pure è sempre fedele all'appuntameli to iridato. Gli azzurri, scarsi di numero, son ricchi di doti e di volontà. Per i professionisti, si tratta, naturalmente, più di uomini che di scuola. Beghetto, al giorno d'oggi, è imbattibi le, Gaiardoni pare sulla via di una confortante ripresa alle spalle dei due, Pettenella e Bianchetto sono ottimi rincalzi. Tra gli stranieri, invece, buio pesto. Il solito Baensch, e basta. Un Baensch che non cambia metodo, ha cominciato a gareggiare usando ed abusando di una tattica che eternamente sfiora l'illegalità, una tattica che magari serve contro tipi eccitabili come Gaiardoni, ma che è Invece destinata a povero fallimento contro i freddi di carattere come Beghetto. Il quale Beghetto, tra gli sprinters, domina ormai a piacimento, raccogliendo l'eredità passatagli da Maspes. Per Faggin, al contrario, la vita è dura. Un po' colpa dei rivali (Bracke e Kemper vantano buone qualità), un po' colpa dell'età. Faggin ha 33 anni suonati, e sopporta con disinvoltura il peso d'una carriera lunga e logorante. E' ancora riuscito a centrare 11 bersaglio e, quel giorno che fece il colpo, credemmo al miracoli. Non continuerà sempre cosi, purtroppo. Scomparso Faggin dalla scena, sarà davvero diffìcile trovare chi lo sostituisca. Per i dilettanti, il discorso è diverso, di stagione in stagione i responsabili tecnici sono costretti a cercar elementi che preferiscano la pista alla strada. Di tanto in tanto, nascono eccezioni, ragazzi meravigliosamente dotati che s'im pongono con irrisoria facilità. E' il caso dei francesi Trentun e Morelon, contro di loro c'è ben poco da fare, e, agli sprinters italiani, altro non è rimasto che raccogliere le briciole. Trentin e Morelon hanno 22 anni, resteranno dilettanti chissà fino a quando. E gli azzurri delle ultime leve non sembrano proprio aver i numeri da sbarrargli il passo. Le medesime parole si possono ripetere per l'inseguimento individuale, l'olandese Groen è talmente più forte del resto della compagnia da render quasi inutile qualsiasi tentativo di contrastargli il cammino verso la conquista di maglie iridate in serie. Piuttosto, nell'inseguimento a squadre abbiamo raggiunto un traguardo che sembrava per no; stregato. Roncaglia, Pancino, Chemello e Castello hanno vinto la medaglia d'oro di slancio, anche se il campo dei concorrenti presentava una notevole incertezza di pronostico. Il loro successo è il frutto di una scuola, il cui responsabile, Guido Costa, ci è invidiato dal mondo intero. Ma pure Costa non può vagar nel vuoto; o la pista italiana avrà un risveglio generale, con un interesse nuovo che la animi, oppure, fatalmente, le affermazioni diventeranno via via più rade. Se guardiamo al futuro, una certa sicurezza la possiamo vantare soltanto nella velocità professionisti. Per il resto, pollice verso. Ed è un peccato. Perché, gira e rigira, è giusto riconoscere che questi trionfi ai campionati del mondo finiscono con l'esser utilissimi allo sport italiano. Eppure, della pista ci si ricorda una volta soltanto, proprio nel periodo della lotta per le maglie iridate. E, magari, se le cose noi, vanno per il verso giusto, si monta in cattedra • a criticare metodi e sistemi Mentre invece i ragazzi in azzurro, a nostro parere, ra, giungono il più brillante saEyuri- sultato possibile. Vincono, godono dì un quarto d'ora di gloria, scompaiono di nuovo nell'angolo grigio delle cose dimenticate. Fino al prossimo anno, pronti a ricominciare una preparazione delle più faticose. Meritano d'esser seguiti da vicino, questi giovanotti. Ricevono poco, in genere. E diurno molto. Nel 1966 persino tra gli «stayers>, abbiamo piazzato in finale un azzurro, Introzzi, con un risultato che dovrebbe costituire un valido incitamento a continuare sulla via intrapresa. Ma il ritornello è il solito. Passiamo dalle parole ai fatti: quante riunioni correrà in Italia, in un anno, il bravo e modesto Introzzi? Cinque, sei al massimo. E come si fa, allora, ad avanzar pretese? Gigi Boccacini

Luoghi citati: Francoforte, Italia