Contrasti nell'episcopato italiano sulle dimissioni per limili di età di Michele Tito

Contrasti nell'episcopato italiano sulle dimissioni per limili di età L'invito del Concilia per rinnovare ia gerarchia Contrasti nell'episcopato italiano sulle dimissioni per limili di età La diversa condotta dei cardinali Lercaro e Ruffini - Questi ha sollecitato più volte udienza al Papa, poi ha fatto sapere di essere stato invitato a rimanere nella sua diocesi - Oggi Paolo VI sale a Monte Fumone dove morì Celestino V, il pontefice che rinunciò non sentendosi in grado di tenere l'alta carica - Il Papa in un discorso ricorda che « l'abbondanza dei beni economici è più dannosa che propizia alla Chiesa » (Dal nostro corrispondente) Roma, 31 agosto. Domani pomeriggio Paolo VI salirà sul Monte Fumone, in Ciociaria, per visitare il castello in cui morì prigioniero, nel 1296, Celestino V, il Papa del « Gran rifiuto ». Stretti e ripidi vicoli devono esser percorsi a piedi, dopo un viaggio faticoso, per giungere al castello solitario. Nessun Papa, in settecento anni, l'aveva mai fatto. Non si può non vedere, nel pellegrinaggio di Paolo VI, come un monito indiretto ai grandi della Chiesa, nel momento stesso in cui i vescovi anziani, invitati a lasciare la diocesi, si dividono tra chi è disposto alla rinuncia e chi la rinuncia non accetta. Celestino V, che Dante condanna per ragioni politiche, fu per la Chiesa un grande Papa. Troppo vecchio, lamentando di non potere sfuggire alle richieste di favori da parte dei monaci dell'ordine dei celestini da lui creato, preferì abdicare. Il cardinal Caetani, che doveva diventare Papa Bonifacio Vili, lo ridusse in prigionia, nel castello di Fumone. In sei mesi di pontificato Celestino V s'era meritato dai poveri l'appellativo di «Papa angelico», nel 1313 la Chiesa già canonizzava la vittima dei potenti del tempo. Prima di rientrare a Roma, Paolo VI visiterà la cattedrale di Anagni, quella in cui Bonifacio VIII, che intervenne attivamente nella politica del tempo e tentò di imporre la supremazia della Chiesa negli affari temporali, fu schiaffeggiato dagli inviati di Filippo il Bello. E' difficile non cogliere il significato simbolico, col suo monito implicito, nel momento attuale, del viaggio di Paolo VI. La decisione fu presa una quin dicina di giorni or sono, su bito dopo che il cardinale Ruffini, arcivescovo di Pa lermo, era stato ricevuto dal Papa. Monsignor Ruffini — si dice — dovette sollecitare l'udienza più volte, e l'ultima volta manifestando «stupore e dolore». Si sapeva di che cosa il porporato, che è un esponente dell'ala con servatrice della Chiesa, ave va da parlare: del «motu proprio » col quale Paolo VI aveva invitato i vescovi a lasciare la direzione della propria diocesi « non oltre » i 75 anni. Era un invito che risponde insieme alle esigenze di rinnovamento della gerarchia ecclesiastica e allo spirito del Concilio che esorta alla rinuncia, alla povertà e all'umiltà. I conservatori lo considerano un mezzo per indebolire la schiera dei vescovi che ancora, in Italia, possono rallentare o rinviare il rinnovamento della Chiesa. Dopo l'udienza del Papa, il cardinal Ruffini emise un comunicato, che aveva un chiaro sottofondo polemico, per far sapere che Paolo VI gli aveva rivolto la « preghiera », di rimanere al proprio posto. Era un tentativo, almeno così fu interpretato, di bloccare subito ogni tentazione alla rinuncia: il cardinal Ruffini costituiva un precedente, il Papa, ora, avrebbe dovuto rivolgere « preghiera » di rimanere anche agli altri. E' forse per questo che il cardinal Lercaro ha usato nel comunicato col quale informa della propria rinuncia parole che si riportano all'autorità del Concilio: «Per doverosa devozione ad una pressante preghiera della Chiesa». La Chiesa, invece della personale visione delle cose. E forse a queste cose si riferiva Paolo VI stamane parlando ad un gruppo di fedeli: «Chiunque voglia farsi un concetto autentico della Chiesa (...) trova che l'abbondanza dei beni economici è in mólti casi più dannosa che propizia alla Chiesa » « Facciamo credito al disinteresse economico, cioè alla povertà che il Signore ci ha insegnata per sco prirvi non già un impedimento alla vera prosperità della Chiesa ma una fonte di forza spirituale. Chi di noi credesse di rinnovare la vita della Chiesa soppri mendo le mortificazioni e le molestie, pìccole o grandi, che le sono proprie, non interpreterebbe a dovere la legge fondamentale dello spirito della Chiesa». Il cardinal Lercaro è il grande difensore delle riforme che devono fare della Chiesa pre-conciliare la « Chiesa dei poveri » postconciliare. Fu questo il tema del suo primo intervento al Concilio ecumenico. Giovanni XXHI gli aveva inviato un biglietto : « Non s'è ancora udita la sua voce; parli dunque... », e Lercaro si levò a dire : « Dobbiamo porre al centro di questo Concilio il mistero del Cristo nei poveri, e l'evangelizzazione dèi poveri ». E' il più aperto e moderno dei cardinali italiani: fu il solo dei porporati italiani a firmare una lettera che, nelle more del Concilio, quando si temeva che lo schema per la libertà religiosa stesse per essere insabbiato dai cardinali di Curia, invitava il Papa a intervenire : « magno cum dolore », con grande dolore, dicevano i pro- gressisti, apprendiamo che si lavora contro lo schema che sancisce la libertà religiosa. Lercaro è stato il primo esponente della Chiesa italiana a tentare la ricerca delle ragioni umane dell'adesione al comunismo. Dall'indagine che egli fece fare nella diocesi di Bologna Lercaro trasse la conclusione che non la condanna impietosa ma la partecipazione della Chiesa alla vita dei poveri, il suo schierarsi con gli umili, possono rimediare all'alienazione religiosa delle masse. E sempre, nelle riunioni delle conferenze episcopali sin dai tempi di Pio XII, si è sforzato di affermare il principio per il quale le responsabilità della Chiesa devono essere scisse da quelle dei laici che fanno politica. La Chiesa, cioè, estranea alla politica. A tutte queste cose il Papa si riferisce col suo viaggio di domani, così denso di simboli e di moniti. La preoccupazione del Papa è quella di evitare che la direzione delle diocesi sia abbandonata soltanto dai vescovi più avanzati: alla maggioranza dei vescovi avanti negli anni, che sono anche i più conservatori, Paolo VI sembra voler proporre, difendendolo contro altri, l'esempio del cardinale Lercaro. E' un momento delicato per gli orientamenti della Chiesa e dell'episcopato italiani. I cardinali di Curia, conservatori, non hanno, in generale, diocesi proprie da dirigere, e non si dimetteranno. I vescovi conservatori si stringono intorno al cardinal Ruffini. L'ala tradizionalista della Chiesa italiana fa del «motu proprio» di Paolo VI un mezzo per rafforzarsi, tenta di frustrare il programma del Papa. La risposta di Paolo VI sembra volersi richiamare alle ragioni più alte dei compiti della Chiesa, codificate dal Concilio. Michele Tito

Luoghi citati: Anagni, Bologna, Fumone, Italia, Roma