L'alta moda è ancora un affare ma solo con pesanti compromessi

L'alta moda è ancora un affare ma solo con pesanti compromessi La rapida evoluzione delle grandi «firme» parigine L'alta moda è ancora un affare ma solo con pesanti compromessi La sartoria è diventata un'attività marginale - Gli «accessori» hanno assunto un ruolo estremamente importante nei loro bilanci - Uomini d'affari vorrebbero vendere sotto il nome di Dior sigarette, orologi, automobili, persino prodotti alimentari Le sfilate costano fra i 50 e i 100 milioni di vecchi franchi - Oggi cominciano a Parigi le presentazioni dei modelli d'inverno Parigi, lunedi mattina. La fine di luglio apre la grande stagione delle collezioni d'inverno. Gli invitati alle sfilate (tutti privilegiati) accorrono nelle sale delle grandi sartorie (slmili nell'aspetto ad immense uccelliere in agitazione). Le indossatrici, esili come colibrì, incedono con movenze che hanno più del volo che del passo, davanti agli arbitri dell'eleganza. Domani le riviste special lizzate, i rotocalchi e i Quotidiani diranno a milioni e milioni di donne d'ogni continente i colori, le linee, le trovatine che dovranno scegliere per essere ammirate, per piacere, per trovarsi alla moda Tanto chiasso pubblicitario non era neppure immaginabile appena trent'anni fa. Allora le donne erano rigorosamente divise in due grandi categorie: quelle che si vestivano con modelli d'alta moda e tutte le altre, clienti delle sartine o dei negozi d'abiti fatti. I fabbricanti di vestili in serie non si ponevano grossi problemi d'estetica. La moda era un lusso, un privilegio di classe. Le presentazioni delle collezioni erano confinate in poche righe nella rubrica mondana dei giornali. Oggi, invece sono non soltanto annunciate, raccontate nei particolari e commentate per intere pagine, ma accompagnate da indiscrezioni sulla vita privata dei « creatori* e delle indossatrici, assimilati ormai ai divi. I giornali giudicherebbero una imperdonabile lacuna lasciare . inappagata la curiosità dei lettori. Si tratta, come qualcuno afferma compiaciuto, del segno di una democratizzazione del diritto alla bellezza? Non c'è dubbio. Mentre i grandi sarti si trasformavano in « artisti > le cui creazioni erano in certo qual modo volgarizzate fin dalla nascita, gli industriali della confezione che avevano dormito fino allora fra i due guanciali del « tutto va bene », bruscamente destati non potevano ormai più ignorare l'influenza esercitata sul gusto delle clienti. Hanno perciò dovuto adeguarvisi e cercare di imitare i modelli presentati alle ultime « sfilate ». I € confezionisti » del dopoguerra hanno provocato una profonda evoluzione nell'alta moda. Questa, dopo averli ispirati, si sarebbe lasciata saccheggiare impunemente, cavando per gli altri le castagne dal fuocof I fabbricanti d'abiti .in serie proponevano di acquistare il di¬ ritto di riproduzione, o meglio ancora dì adattamento di vestiti, abiti a giacca e soprabiti inventati dalla fantasia dei grandi creatori. Perché non approfittarne? Divenne così del tutto normale la vendita dei prototipi a coloro che sono qualificati convenzionalmente come gli « acquirenti ». Ma questa evoluzione non era un fenomeno isolato. La società intera subiva radicali trasformazioni. Gli abiti avevano ormai finito di essere l'unica preoccupazione delle donne ricche: l'auto, lo sci, i viaggi fornivano loro altre occasioni di spesa. Il progresso, inoltre, non è certo un buon incentivo alla pazienza e le lunghe prove hanno assunto l'aspetto di insopportabili fatiche. La progressiva decadenza di certe regole di vita mondana che pretendevano un abbigliamento particolare per ogni circostanza non poteva che accentuare la tendenza ad abbandonare le grandi sartorie. La clientela non si è rinnovata quanto si sarebbe potuto sperare, senza contare che si vedeva contemporaneamente proporre modellini « assolutamente adorabili» da quella che avrebbe presto assunto il nome di « confezione di lusso ». Questa situazione ha determinato il vero e proprio paradosso dell'alta moda: da, un .lato deve soddisfare gii. <acquirenti», che sono per lei gli industriali della confezione; dall'altro lato, per richiamare la clientela giovane e ricca, \e è pur necessario inventare ciò che distingue la € signora» dalla donna che si liste «in serie ». Bisogna contemporaneamente mostrarsi originali e non esagerare. TI paradosso ha anche un altro aspetto. Mentre la stampa rendeva popolari i loro nomi, i « creatori » sono stati tentati di utilizzare questo capitale di celebrità per vendere accessori di moda Essi hanno in qualche modo approfittato della situazione per trasformarsi a loro volta in commercianti come tutti gli altri. Così si spiega la nascita delle « boutiques ». In tema dì moda si verifica da un anno all'altro una evoluzione, ma si evita accuratamente tutto quanto potrebbe causare una rivoluzione. Non è lontano il tempo in cui, galvanizzati dal successo di Christian Dior e di quella bomba che fu il « new look », i sarti tentarono di rinnovare a loro volta la linea femminile: si ebbe la linea A, la linea H e quindi il vestito a sacco. Ed è stato proprio il vestito a sacco a lasciar loro un bruciante ricordo. Quei capi che erano i più femminili e tentatoti del mondo (a patto di un'esecuzione perfetta) divenivano informi camicioni sugli attaccapanni del reparto « un vestitino per tutte» dei grandi magazzini. Per l'industria dell'abbigliamento fu un disastro senza precedenti. I grandi sarti, proprio perché non possono far a meno degli « acquirenti », cercano ora di evitare il ripetersi di simili infortuni. Un'altra conseguenza dell'evoluzione dell'alta moda nel dopoguerra: per la maggior parte delle « case » la sartoria è divenuta un'attività secondaria o quasi. La sfumatura è proprio in quel * quasi». Gli utili principali provengono infatti da attività accessorie, divenute sempre più numerose. La vendita dei profumi, già attuata da qualcuno prima della guerra, è ora normale da parte di tutti. Vi si è ora aggiunta quella della maglieria, delle sciarpe, dei guanti, delle calze, delle scarpe, delle borsette, dei cappellini, dei gioielli, dei cosmetici quando non si giunge addirittura alle cravatte da uomo, alle raffinate futilità, alle « idee per un regalo ». L'inventore di moda si preoccupa di vestire la donna dalla testa ai piedi. Gli accessori di toeletta hanno un grande vantaggio sul vestito: questo dev'essere fatto su misura e, naturalmente, provato sul posto, quelli possono essere spediti Non è neppure obbit- gatorio esportarli. Si può affidarne la riproduzione ad artigiani o industriali stranieri ai quali una licenza consentirà l'uso del nome. Il nome dà la garanzia di richiamare la clientela. Per questa è una fonte indiscussa di prestigio ed insieme un serio avallo sulla qualità. Ma quella che era un tempo una <firma» tende sempre più a ridursi oggi a ■nient'altro che una tmarca». E le < cose » devono sforzarsi di resistere, a rischio di « bruciarsi » pericolosamente in campo commerciale, ad infinite proposte che costituiscono altrettante tentazioni. Dior (fatturato annuo oltre venti miliardi di lire) deve continuamente respingere vantaggiosi contratti offertigli da uomini d'affari che vorrebbero poter vendere sotto la sua etichetta sigarette, orologi, automobili, pannolini igienici e persino prodotti alimentari. Piselli in scatola Christian Diort E' un'idea che lascia leggermente storditi. Ma il punto essenziale è ohe la sartoria, e lei sola, può assicurare e mantenere l'autorità del nome del quale si giovano gli altri prodotti. Nella grande maggioranza dei casi (Rochas rappresenta una delle rare eccezioni che confermano appunto la regola) chi ha tagliato i ponti con l'abbigliamento colloca sempre più faticosamente i profumi che continua a fabbricare. Perché le collezioni danno la certezza di una larghissima pubblicità che, tra l'altro, non costa nulla. Si può notare infatti che tutte le « firme » che fanno della sartoria e non degli accessori la loro attività principale si preoccupano assai poco della stampa. Non ne hanno alcun' bisogno perché la loro clientela è di quelle che si ispirano comunque ai quotidiani ed ai rotocalchi. E' per questo che Balenciaga e Givenchy possono permettersi di ricevere i giornalisti un mese dopo la presentazione delle collezioni. Ad essere sinceri il mistero di cui si circondano non fa che contribuire, in fondo, a stimolare la curiosità. L'avidità del pubblico per le notizie della moda costringe i giornali a cercare di soddisfarla in ogni modo. Resta peraltro una difficoltà notevole: ogni collezione viene a costare tra i SO ed i 100 milioni di vecchi franchi. «Due volte all'anno — è il giudizio degli esperti — ogni casa è costretta a mettere in gioco la sua futura esistenza >. Vale la pena esporsi fino a questo punto t Non c'è modo di limitare il rischio f Non sarebbe ora di -Incominciare a tener conto dell'evoluzione dei tempi ed a pomportarsi di conseguenza? E' quanto più d'uno incomincia a chiedersi. Michel Legris Copyright di «Le Monde» e per l'Italia de «La Stampa» Due graziose indossatrici del sarto parigino Lanvin, si apprestano a sfilare in passerella (Telef. «A. P.•»)

Persone citate: Balenciaga, Christian Dior, Lanvin, Michel Legris, Rochas

Luoghi citati: Italia, Parigi