Liz Taylor parla della sua vita

Liz Taylor parla della sua vita Il libro di memorie di un'attrice famoea Liz Taylor parla della sua vita E' il racconto vivacissimo, a volte persin troppo sincero, d'una esistenza intensa e disordinata, tra successi ed errori, illusioni e follìe: dall'esordio sullo schermo, ancora bambina, nel film «Lassie» ai tre divorzi e alle nozze con Bùrton - Disperata ricerca d'una felicità «vera» che si lascia avvicinare, poi svanisce La nuova mitografla dell'attore cinematografico predilige il documento diretto, recitato nel tono compunto della confessione; sfata l'idea di una preminenza sugli altri, si compiace di affondar re il personaggio nella nostra melmosa umanità. Cosi l'autobiografia che Liz Taylor ha dettato al magnetofono (sovrintendente tecnico-! k&VHw-itf ^fz-y^a^^^tfa^fX Richard Burton, il marito pernio), e dal cui nastro è uscito un libro eh'è stato prontamente tradotto in italiano (Elizabeth Taylor parla di Elizabeth Taylor, edizioni di Novissima, Rizzoli; pp. 137, L. S000), appartiene all'ordine vissuto assai più che al professionale, getta in ombra o addirittura fustiga l'attrice C«la Elizabeth Taylor che è famosa, quella di celluloide, non ha in realtà alcun significato per me, è soltanto una cosa di lavoro superficiale, una merce »), per far rifulgere la donna nella sua orgogliosa consapevolezza di peccatrice. Parrà strano ma così è: la confessione di questa donna che per combinarsi in proprio ha scombinato tanta gente (di che si picchia il petto spesso: « ho un enorme complesso di colpa per aver divorziato tre volte. Per esempio, è terribile quel che provo per monache a preti, per quanto non ne abbia mai incontrato uno che fosse carino con me...»J, esulta di felicità domestica, e le pagine sull'incontro, l'innamoramento e la vita con Burton, il quarto marito e gran maestro del suo disordine, rendono bene, con qualche valore anche letterario, l'agitazione e l'apprensione della gioia quotidianamente goduta. Già il temperamento e la filosofia della Taylor escludono la quiete fi Sono conscia del fatto che la felicità è un insieme composito, non una sorta di dolce, sicura dimora. Perché abbia un significato, deve comprendere l'infelicità »), ma poi ella espressamente ci dice che la sua catartica unione coll'attore scespiriano non è punto idillica, ma attraversata di tempeste, risse e parolacce, a un di presso come accade, in termini di sfacelo drammatico, in *Chi ha paura di Virginia Woolft ». Parchi in genere i dati autobiografici: sulle voltate a secco dei divorzi ella getta la paglia di un pietoso riserbo. Moralmente Siam sempre lì: una eccessiva valutazione del matrimonio è alla radice di queste vite poligamiche. «La mia educazione è sempre stata severissima.... la moralità che imparavo a casa poneva come condizione il matrimonio mentre non potevo neppure concedermi un flirt. Cosi mi sono sposata tutte quelle volte e adesso mi accusano di essere una fraschetta. Credo di non essermi mai concessa il tempo di stabilire se una certa faccenda era amo- c re o infatuazione. Ho sempre scelto di pensare che si trattava di amore. Non lo sapevo. Non avevo la bacchetta per misurare. Ma credevo fermamente che amore fosse sinonimo di matrimonio ». Di qui i tanti nidi frettolosamente costruiti e disfatti sulla ritornante illusione del nido giusto. Il lettore che non vuole spazientirsi, conceda qualcosa al rigore della società puritana e soprattutto all'essere Liz salita sul set a undici anni (€Lassie») nella pericolosa qualità di attrice bambina. Il ricordo dei suoi successivi trionfi e guadagni serbano la piega amara di quella precoce immolazione al moloch cinematografico. La sua aneddotica è per lo più succinta e scontrosa: finita Cleopatra dà di stomaco, serba orribili ricordi dei paparazzi romani ma più della folla di Montreal che la strinse e quasi disarticolò nel giorno del suo matrimonio con Richard. Non pare che meni trionfo di nessuna interpretazione, mette in dubbio la propria bellezza di cui elenca i difetti ("«ho le gambe troppo corte, le braccia troppo grosse, il doppio mento, il naso un po' storto, piedi grandi, mani grandi, e sono troppo grassa »), concludendo con un madrigale per l'ultimo uomo amato («Il mio tratto migliore è dato dai capelli grigi. Ho dato un nome a ciascuno di loro; si chiamano tutti Burton *). Sincera o un poco consigliata dalla nuova letteratura demistificatoria, la sua autodemolizione pubblica è completa. In compenso si rifà nel privato, e investe di postumo ardore tutti gli uomini amati (il primo fu il quattordicenne Derek Bausen, poi John Derek, sosta a lungo su Mike Todd di cui celebra l'ossessa vitalità, sparge lagrime su James Dean, su Montgomery Clift del quale raccolse lo spappolamento dopo l'incidente automobilistico del 'SS. Sta bene nell'aspro e nel luttuoso. Lo stile è talvolta grassetto, dice pane al pane (si veda la descrizione della sua famosa polmonite), vi si sente l'affocata vicinanza del personaggio di Martha della commedia di Albee. In totale si ha l'impressione d'una natura straordinariamente energica sotto quel visino di smalto, di un im¬ menso materiale emotivo ordinato alla ricerca di una calda felicità donnesca. O più semplicemente d'una virtù sviata che precipita negli errori con furia generosa. Sbagliando, non sempre s'impara, ma sempre ci molliamo e trionfiamo dell'inerzia. Leo Pestelli Una recente foto di Liz Taylor. L'attrice è nata a Londra il 27 febbraio 1932

Luoghi citati: Londra, Montreal