L'assenza di pascoli nel Vercellese e nel Monferrato impedisce l'allevamento intensivo del bestiame

L'assenza di pascoli nel Vercellese e nel Monferrato impedisce l'allevamento intensivo del bestiame Umm ssettore delist nostra agricoltura, in crisi L'assenza di pascoli nel Vercellese e nel Monferrato impedisce l'allevamento intensivo del bestiame Impossibile imitare olandesi e belgi le cui pianure hanno il continuo rinnovo dell'erba - In Piemonte le mucche al pascolo libero distruggerebbero i prati - Tra gli altri problemi da affrontare il risanamento delle stalle con la sostituzione dei capi malati - Difficile trovare il personale di custodia anche offrendo buoni salari (Dal nostro inviato speciale) Vercelli, 19 agosto. Ogni anno l'Italia importa bestiame vivo e macellato per 400 miliardi di lire. Molti settori della nostra agricoltura sono in crisi : perché gli agricoltori non si dedicano più intensamente all'allevamento del bestiame ? E' una domanda che viene spontanea dopo avere letto i servizi del nostro inviato in Olanda, pubblicati nei giorni scorsi, sulle caratteristiche della zootecnia e dell'agricoltura in quel Paese così laborioso e efficiente. La risposta siamo andati a cercarla nelle cascine piemontesi, cominciando dal Monferrato e dal Vercellese Un allevatore ci ha detto: « Sì vorrebbe che noi imitassimo olandesi belgi e te deschi nel far pascolare mandrie di bovini aWaperto, sui nostri prati. Possiamo rispondere: perché gli olandesi non ci imitano nel coltivare risaie? ». Voleva dire, con un paradosso scherzoso, che ogni Paese dà i prodotti che il clima e la terra gli consentono di crescere. Un esperto, il dott. Antonio Dellarole, presidente dell'Associazione vercellese degli allevatori e proprietàrio di una tenuta presso Tri no, confermava: «Le mucche al pascolo libero distruggerebbero in poco tempo la sottile cotica erbosa dei nostri prati: per la scarsità di piogge durante lun ghi periodi non abbiamo il rinnovo continuo dell'erba, come avviene invece nelle fredde e umide pianure del nord Europa». Abbiamo infatti visto in un altro allevamento, del dott. Luciano Calcagno, nei pressi di Costantana, vasti spazi all'aperto per il be stiame: le mucche escono liberamente dalla stalla che è larga e altissima come un capannone, e sostano giorno e notte, su un piazzale adiacente. Tornano nella stalla soltanto per avviarsi disciplinate, a gruppi, nella sala di mungitura (mecca- nica) e per precipitarsi, affamate, nell'ora dei pasti, all'inferriata della mangiatoia dove viene scaricato il mangime. Il mangime: questo è un punto debole del nostro si stema di allevamento. Non disponendo di grandi pascoli, gli allevatori debbono coltivare erbaggi adatti, ta gliarli, tritarli, conservarli in sili, portarli dai campi alla cascina e* infine alla mangiatoia. Un lavoro che esige mano d'opera e spese notevoli che aggravano costi. Altri problemi: il risana mento delle stalle con l'abbattimento e la sostituzione dei capi affetti da tubercolosi (sono ancora il 30-50 per cento) o da brucellosi Le fattorie che abbiamo visitato hanno tutti capi sani, perciò questo bestiame non verrebbe lasciato libero al pascolo, anche se fosse possibile, per non esporlo a contagi. Il selezionamento dei capi e i controlli funzionali fatti da ispettori dell'Associazione coltivatori che già vi provvede col concorso dello Stato; aiuti efficaci e duraturi come talvolta è stato ottenuto con contributi sull'acquisto dei mangimi e con la fecondazione artificiale gratuita: ecco altre provvidenze richieste e solo saltuariamente concesse. Le difficoltà che vengono esposte non impediscono che sorgano allevamenti razio nali e, soprattutto, che qua si ogni famiglia di agricoltori tenga qualche mucca qualche vitello, sia pure in stalle antiquate. Queste be stie costituiscono il capita le di riserva delle famiglie agricole: se la siccità bru eia 1 raccolti, se la grandi ne distrugge l'uva, la mucca è il capitale di riserva, che può essere realizzato. Nella provincia di Vercelli si contano circa 90 mila bovini : 30 mila di razza frisona in pianura; 28 mila di « bruna alpina » nella Val Sesia; 18 mila di razza piemontese nelle zone « asciutte » ossia fra Borgo d'Ale, Cavaglià, Cigliano, Livorno Ferraris e sulle colline moreniche di Ivrea. Condizioni ambientali differenti si trovano nella provincia di Asti, dove ci sono 100 mila bovini quasi tutti di razza piemontese. Anche qui la siccità periodica, lo spezzettamento delle proprietà, la ripidezza delle colline ostacolano il libero pascolo dei bovini all'aperto. Inoltre la razza frisona nel nostro clima, troppo caldo nell'estate e troppo freddo nell'inverno, dà una minore quantità di latte. Tuttavia in qualche zona il pascolo può essere sfruttato. Nella bellissima tenuta Faccaro a Serravalle d'Asti, su 210 giornate di terreno pascolano 103 bovini di razza frisona, liberi di uscire dalla stalla e di vagare nei pascoli. La tenuta circonda la villa Valdeperno che già appartenne alla mamma di Paola del Belgio. Giuseppe Faccaro cominciò a organizzare l'allevamento; proseguirono poi la sua opera i figli Pierino e Oreste. Purtroppo in due anni tutti morirono, e ora nella villa si aggira, in lutto, la patetica figura della signora Luisa Masserano vedova Faccaro, dritta e severa malgrado i suoi 84 anni. La direzione dell'azienda è assunta da un nipote, Carlo Novara. Il « capo uomo » Guglielmo Peretti ci racconta come giunse il bestiame: « L'avevamo comperato in Olanda, ad Assen, dal dott. Oman che, per controllare le abbeverate, durante il viaggio, accompagnò perso-nalmente gli animali suìUlItllllMllllllllllllllllllllllH llllllllllllllllll treno fino alla stazione di Serravalle, distante alcuni chilometri dalla nostra tenuta. C'erano 77 animali che dovevano essere portati fin qui. Il dott. Oman af¬ ferrò le corde che imbri gliavano tre mucche e len tamente si mise in cammi no: tutte le altre 7^ bestie lo seguirono docili come agnellini. Era uno spetta- colo! Sistemati gli animali nella stalla, il dott. Oman fece subito segno ai nostri uomini di metter via i bastoni da mandriano. " Non c'è bisogno di bastoni — disse — ubbidiscono alla voce e ai cenni ". Poi passò lentamente davanti agli animali e ad ognuno fece una carezza e diede un pugno di mangime. Quando se ne andò era commosso e, vuol crederlo?, eravamo commossi anche noi. Non avevamo mai visto trattare così le mucche ». E' un buon affare l'allevamento? Non dev'essere un'impresa empirica, ma compiuta da uomini specializzati. In un impianto razionale bastano tre uomini per badare a 100 mucche, ma ci vuole passione, sacrificio e un cospicuo impiego di capitali: cento, duecento milioni. Più semplice e adatto a piccole aziende è l'allevamento di capi da macello: si comperano a 70-80 mila lire e dopo due anni se ne ricavano 280-300 mila. Su grande scala i costi vengono più facilmente fronteggiati dagli introiti: due uomini possono badare a 200 animali da macello. Il problema del personale. Difficile trovarlo nonostante i buoni salari. Su un milione 634 mila famiglie di coltivatori diretti più della metà, il 58,5 per cento, sono prive di uomini di età inferiore ai 50 anni. Che cosa avverrà fra dieci o vent'anni? Non ci saranno più contadini? e>

Persone citate: Antonio Dellarole, Carlo Novara, Cavaglià, Faccaro, Giuseppe Faccaro, Guglielmo Peretti, Luciano Calcagno, Luisa Masserano