Perché non può esistere una filosofìa «nazionale»

Perché non può esistere una filosofìa «nazionale» Perché non può esistere una filosofìa «nazionale» La Storia della filosofia italiana che Eugenio Garin pub blica ora in tre volumi della «Piccola Biblioteca Einaudi», per quanto non sia nuova (fu già pubblicata nella sua parte maggiore nel 1947) si presenta come un'opera agile e viva, rinnovata in alcune delle sue parti sostanziali e arricchita di utilissime note. Garin inizia la sua trattazione con Boezio, che fu uno dei tramiti principali attraverso i quali la cultura antica si trasmise al mondo medievale, e la continua con uno scorcio della filosofia scolastica, incentrato intorno al pensiero di San Bonaventura, di San Tommaso e di Dante. Una larga parte è fatta nell'opera alla filosofia dell'Umanesimo e del Rinascimento, campo nel quale, come tutti sanno, Garin è maestro. Seguono le parti che concernono la Controriforma e il Barocco, lo sviluppo della filosofia dall'Illuminismo al Risorgimento e agli ultimi anni dell'Ottocento. Il lettore poco avvertito potrebbe meravigliarsi che questa storia non comprenda la filosofia italiana del Novecento, alla quale Garin accenna con rapidi tratti solo nell'Epilogo che intitola « Rinascita e tramonto dell'Idealismo ». Ma Garin avverte che « per rifarsi presente nella ricostruzione storica il passato dev'essere abbastanza distaccato da consentire un'adeguata collocazione prospettica: da consentire la determinazione di nessi e giunture profonde, nel silenzio della polemica e delle reazioni immediate»; o che, in altri termini, « non si fa storia degli eventi troppo vicini ». E d'altronde lo stesso Garin ha dato contributi notevoli alla conoscenza della filosofia italiana del Novecento nelle Cronache di filosofia italiana pubblicate nel 1955 c ne La filosofia italiana tra Ottocento e Novecento pubblicata nel 1962. La caratteristica fondamentale di quest'opera di Garin è un felice connubio tra erudizione e spirito critico. Compaiono nella sua trattazione molte figure minori di scrittori che a malapena potrebbero dirsi « filosofi », ripetitori o polemisti di poco conto, letterati mal riusciti e poeti di terz'ordine. Ma vi compaiono nella loro giusta dimensione e come segni o voci di tendenze o di orientamenti filosofici più o meno decisi ma comunque presenti in un determinato periodo della storia. E non sono mai persi di vista questi orientamenti che delineano le tappe attraverso le quali è passata la cultura filosofica; come non è mai forzata l'interpretazione di figure maggiori o minori per adattarle al disegno precostituito di uno sviluppo ideale e progressivo, di una filosofia unica che si sarebbe perfezionata nel tempo, secondo il modello caro alla storiografia idealistica dell'Ottocento e del Novecento. Le vie della filosofia, come quelle del Signore, sono tante e Garin sa che il dovere dello storico è quello di individuare queste vie e determinare i loro nessi positivi o polemici, le loro impostazioni problematiche e le loro connessioni con la vita civile del tempo. Ma forse alla fine, come all'inizio, dell'opera di Garin, il lettore può domandarsi: Esiste veramente una filosofia italiana} * * A questa domanda Garin risponde nell'Introduzione, nella quale richiama anche i precedenti del problema. Da un lato, Umanisti e Illuministi avevano scorto l'origine dell'autentica tradizione italiana nelle grandi scuole filosofiche che fiorirono nella Magna Grecia, cioè nel Pitagorismo, nell'Eleatismo, nel Platonismo, e vedevano nel Medioevo l'interruzio ne brusca di questa tradizione e la caduta in una cieca « barbarie » dalla quale la filosofia si sarebbe risollevata solo verso la metà del Quattrocento quando, con la venuta dei dot ti greci in Italia (dopo la ca duta di Costantinopoli nel 1453), il pensiero filosofico po té ricollegarsi alle sue origini e riprendere il suo cammino. Dall'altro lato, Rosmini, Gioberti e tutti i loro seguaci, pur riconoscendo nei filosofi della Magna Grecia gli iniziatori della filosofia italica, scorgevano nei Padri della Chiesa e negli Scolastici i loro continua¬ tnmdztcBlsupaqhrnlspnKmdigKtrntncdcdgs0szpndftsdzitrilalCdccsemdfmclazccce a o l e . r a i e ¬ tori autentici, perciò condan navano la filosofia del Rinasci mento e dell'Illuminismo come decadimento da quella tradizione e affermavano il carattere essenzialmente cristiano e cattolico della filosofia italiana Contro gli uni e gli altri, Bertrando Spaventa fece valere la concezione hegeliana della storia della filosofia. Esiste un'unica filosofia che si sviluppa gradualmente da un capo all'altro della sua storia e a questa filosofia ogni nazione ha dato un suo contributo. L'originalità del contributo italiano consiste nell'avere precorso le tappe principali della filosofia europea: Bruno e Campanella annunziano e preparano Cartesio, Vico precorre Kant, Rosmini è un Kant suo malgrado e Gioberti porta la dottrina di Rosmini al punto in cui Fichte, Schelling e Hegel avevano portato quella di Kant. A questa visione di Spaventa, si è ispirata l'attività storiografica dell'Idealismo italiano novecentesco (Croce, Gentile De Ruggiero), la quale, nonostante la funzione d'urto che ha esercitato nei confronti di ambienti filosoficamentr chiusi o arretrati, si è avvalsa di un unico modulo di spiegazione: ciò che in una filosofia si avvicina all'idealismo 0 « precorre » l'idealismo è filosofia autentica, il resto è scarto. Garin non mostra indulgenza per nessuna di queste interpretazioni della filosofia italiana. Né ritiene che una storia della filosofia italiana possa fondarsi sul certificato di nascita dei filosofi o sulla razza o sul « genio della stirpe italica » di cui essi fossero manifestazioni. I caratteri della filosofia italiana sono stati piuttosto determinati dalle condizioni storiche in cui si è svolto in Italia il lavoro filosofico. Da un lato la ricchezza della produzione artistica e letteraria, dall'altro la presenza del centro della Chiesa cattolica e delle crisi politiche, hanno indirizzato la riflessione filosofica in Italia verso i problemi umani e mondani, lasciando alla religione il compito di risolvere i problemi massimi. « I grandi problemi, conclude Garin, il problema stesso del rapporto tra mondo e Dio, sono stati vissuti nei limiti di esperienze politiche o di meditazioni personali, mora- 1 e religiose, piuttosto che affrontati sul terreno metafisico». * * Queste conclusioni di Garin mettono tuttavia in dubbio il carattere « nazionale » della filosofia italiana, come di ogni altra filosofia. Una filosofia nazionale dovrebbe esprimere i caratteri propri, individuali, incomunicabili di una «nazione», cioè di un'entità storica perfettamente individuata e unica. Si può dubitare che esista una entità di questo genere; certamente, anche se esiste, la filosofia è incapace di esprimerla perché ogni filosofia procede per generalizzazioni, cioè per concetti, e il concetto non può partecipare a nessuno di quei caratteri. Il livello di generalizzazione in cui si muove il discorso filosofico lo rende completamente alieno da specificazioni individuali o etniche. I problemi molteplici che nascono dal rapporto dell'uomo con gli altri uomini, con la natura e con Dio, non possono essere neppure posti se per « uomo » s'intende l'italiano o l'inglese, e se per natura s'intende il paesaggio mediterraneo o quello nordico. La diversità delle filosofie deriva piuttosto dalla diversità degli interessi umani (cioè universali) che stimolano e orientano la ricerca filosofica: l'interesse per l'uomo e il suo mondo storico-politico, l'interesse per la natura, l'interesse per il trascendente e per Dio. Nessuno di questi interessi rimane chiuso nei confini di una nazione determinata. Come osserva Garin, nel pensiero inglese all'istanza empiristica si è congiunta fin dai tempi più antichi quella platonica. Nel pensiero francese, al razionalismo di Cartesio si è congiunto il fideismo di Pascal. Nel pensiero ita liano, sperimentalismo e platonismo sono ugualmente pre senti e si connettono in Galileo, e allo spiritualismo di Rosmini e Gioberti è contemporaneo il positivismo di Cattaneo La prevalenza storica di una filosofia, il suo successo in un periodo determinato, la sua accentuazione in un senso o nell'altro, la sua trasformazione idcsfidcctlofcptddp«qrciatipnlct in ideologia cioè in strumento di lotta sociale o politica, sono certamente condizionati dalle situazioni in cui il lavoro dei filosofi si svolge. Esistono indubbiamente condizioni locali che limitano le scelte filosofiche, come tutte le altre. L'intolleranza religiosa o politica, la prevalenza di certi interessi o pregiudizi, l'abitudine al conformismo, le preoccupazioni conservatrici o rivoluzionarie, possono influire su quelle scelte e accordare a una filosofia detcrminata il privilegio di una diffusione maggiore. Ma non perciò questa filosofia diventa « nazionale ». Né lo diventa quando serve invece a sbloccare le situazioni esistenti, a vincere l'intolleranza e a mettere in moto la libera indagine. L'opera di Garin ha, fra gli altri meriti, quello di aver sottratto la storia della filosofia italiana all'impegno limitativo he deriva dal crederla legata, per 'sua natura, ad una comunità nazionale e di aver dato l'avvio all'indagine delle sue connessioni concrete con le situazioni sociali. Nicola Abbagnano

Luoghi citati: Costantinopoli, Grecia, Italia