Naufraghi della vita di Guido Piovene

Naufraghi della vita I PERSONAGGI DI CECQV Naufraghi della vita Il modo di leggere Cecov di Questi ultimi decenni è stato completamente diverso da quello che l'ha preceduto. Diversa la statura che gli si attribuiva, Per quanto grande, non si osava porlo accanto ai giganti, ai dominatori drammatici, come Tolstoi e Dostoevski. Lo stesso Tolstoi, che dalle sue altezze guardava a lui amichevolmente e, riferisce Gorki, vedeva in lui un uomo «straordinario, tranquillo, modesto >, si sarebbe stupito di sentirselo mettere alla pari o quasi alla pari. La voce sommessa di Cecov sembrava troppo esile e monocorde per poterla paragonare a quella dei creatori epici; la sua purezza non bastava a contendere con tanta forza. La premessa diffusa era poi che un racconto breve e lineare fosse sempre inferiore ai romanzi monumentali, la cui orchestrazione complessa prende anni c decenni. Rispetto a quei geni aggressivi Cecov pareva un decadente, non soltanto perché la potenza inventiva era estenuata e ridotta, ma anche per una malattia del pensiero analoga alla tisi che gli minava il corpo. Era un autore sconfortante. In. centinaia di racconti e in una dozzina di opere teatrali Cecov rappresentava il fallimento inevitabile d'ogni esistenza umana, il suo affondare inerte in un imbuto nero sempre più stretto, la corrosione delle presunzioni e dei sogni nei piccoli e nei presunti grandi. L'umorismo e la rassegna zione erano le uniche vie d: scampo. I suoi uomini falliti spesso hanno il miraggio di un futuro di gioia che verrà chi sa quando, e non per loro, ma per altri; ma queste erano le chimere dei vinti, i delicati sogni prodotti dalla tisi del corpo e dell'anima, e facevano anch'essi parte della malattia. E' un preconcetto mai vinto che il racconto breve non valga il romanzo monumentale, e che la grande arte non possa sorgere dal pessimismo senza consolazione. Per questo si vede va in Cecov un narratore molto puro ma senza il volo dei mag^ giori, 'e questo noi imparammo sui banchi di scuola. I mutamenti nel giudizio critico su Anton Cecov, col suo allontanarsi nel tempo, furono di due ordini. Nei sessantadue anni che oramai ci separano dalla sua morte salì alla pari dei più grandi; gli avvenimenti storici successivi a lui lo fecero poi collocare in altra prospettiva. Un Cecov disperato e rinunciatario non sarebbe stato accettato dall'ideologia sovietica; invece fu accettato e messo in onore. Ma alla lettura borghese-occidentale si sostituì una lettura diversa che mostrava Cecov da un'altra faccia. Se Cecov ci narrò storie di vite umane che, dopo un'illusoria spinta, si ripiegano vinte, disse anche la causa della loro sconfitta: l'ambiente servile, bigotto, gretto, volgare del regime zarista. Non c'è scrittore che parteggi più di lui per i deboli, né un osservatore più conscio della miseria della classe contadina e operaia, né del carattere precario di ogni pretesa personale di felicità e di gloria fra tante sofferenze di esseri oscuri, né della vanità di un certo progressismo borghese. Rifiutava, anzi disprezzava, il pessimismo che denota incapacità di uscire dalla propria pelle; aveva fede nel progresso scientifico (industria, medicina) per migliorare l'esistenza degli uomini; il suo viaggio a Sachalin, che gli abbreviò la vita, dopo cui denunciò la situazione atroce dei reclusi in quell'isola, la sua umile ed instancabile attività di medico, rivelarono il suo pensiero. La modestia del suo contegno non era soggezione. Verso Tolstoi, che non credeva al progresso, predicava il < non opporsi al male », era rispettoso ma ironico, e l'ironia spesso sfociava in ribellione aperta eli diavolo si porti la filosofia dei grandi di questo mondol Sono dispotici e maleducati come generali perché sono convinti della loro impunità'». Cecov ama i suoi vinti; tra i mali del presente che rappresenta, crede e spera in qualcosa che « trasformerà la vita »; proseguendo nella sua opera, « ha sempre più forte coscienza di ciò che socialmente è già con dannato e destinato a scomparire, e di ciò che deve veni re ». Quando i suoi personaggi sognano un mondo libero pie no di gioia, non esprimono i «delicati sogni di un tisico», ma la speranza, che animava l'autore, di un mondo rinnovato, preludono allo «slancio edificatore del socialismo». Questo modo di leggere Cecov si ritrova tutto in un saggio di Thomas Mann, dal quale abbiamo tolto le nostre citazioni. Il saggio è ristampato in testa a un libro edito da Sansoni, Racconti e teatro di Cecov, che dà lo spunto a questo articolo. E' la raccolta degli scritti che Cecov riteneva degni di un'opera omnia. Prima di essere segnalato come vero scrittore, Cecov collaborò per anni e per mantenersi agli studi a riviste umoristiche con rapidi bozzetti. Alla fine della sua carriera e a cinque anni dalla morte, nel 1899, curò della sua opera l'edizione definitiva. Rifiutò i primi raccontini, fatti tra il 1879 e il 1883, quando aveva tra i 19 e i 23 anni; scelse poco più di duecento componimenti su 652 che aveva scritto nella vita, correggendoli e rielaborandoli. In una seconda edizione la scelta fu accresciuta. Duecentoquaranta racconti e dodici commedie costituiscono l'insieme dell'opera di Cecov rivista e approvata da lui, e riappaiono adesso nelle oltre 1300 pagine del ibro di Sansoni con la prefazione di Mann. E* un saggio che fa il punto su tutto il periodo di studi critici che accentua l'aspetto etico-progressivo di Cecov. Ma non direi che sia tra i migliori di Mann e che Cecov gli sia tra gli autori più congeniali, anche se, come narra, si è convcrtito a lui, dopo avere provato per il racconto breve, di Cecov come d'altri, « un certo disprezzo », e attrattiva soltanto per le opere vaste con cui voleva entrare in gara. La critica alla società zarista, nella quale si sfalda la dignità e la stessa vitalità dei singoli, le speranze in un mondo trasformato, si ritrovano certo in innumerevoli luoghi dell'opera di Cecpv, che nel passato furono letti male. Cecov è nella grande tradizione etico<ristiana,'anefie se laicizzata," degli scrittori russi. Tuttavia resta il fatto che la sua arte ci dà una galleria di naufraghi. La sua forza artistica è tutta nel mostrare l'accartocciarsi, il dissolversi d'ogni vita, dopo le inutili accensioni della speranza, in una infelice umiltà la cui ragione non si può trovare soltanto nelle condizioni storiche. L'uomo è un essere per sé fallito, e la bontà tra sventurati è l'unica risorsa « La felicità non esiste e non deve esistere, — dice un per sonaggio del breve racconto L'uva spina; — ma se nella vita c'è un senso e uno scopo, questo senso e questo scopo non sono per nulla nella nostra felicità, ma in qualcosa di più ragionevole e grande. Fate del bene! ». Ora, io non credo che sia un vero credente nel felice futuro storico chi vede còsi triste l'oggi; chi ama il futuro ama anche il presente, cioè la vita in se stessa, per quanto voglia trasformarla. Ma queste discussioni se Cecov sia pessimista, o semiottimista, mi sembrano diventate oziose. Il fatto ammirevole, e da studiare, è il modo con cui Cecov conduce un racconto, che credo ineguagliabile. Tolstoi, grande razionalista, sovrasta i propri personaggi; Dostoevski, serrandoli da presso, ne va oltre, ne fa a tratti la vivisezione. Ma con Cecov non siamo mai né di qua né di là. I suoi personaggi si apprendono a noi nello stesso momento in cui cominciano a formarsi, passano in noi per fenomeno osmotico e come per irradiazione magnetica. Si crea una specie di terzo essere, che non siamo più noi, né il personaggio, ma una corrente vitale nella quale scorriamo entrambi; non vediamo, seguendola, né più di lui, né meno. E molti racconti di Cecov non hanno ancora data. Se uscissero oggi, nel leggerli, tolti i particolari della vita russa del tempo, non avremmo la minima impressione di strano. Guido Piovene ailllIMMIMllMlllIIMl II1IUI lllll)lllllH11Ìlll1l

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