Un politico «arrabbiato» di Vittorio Gorresio

Un politico «arrabbiato» Vuole la libertà nel comunismo Un politico «arrabbiato» Le dicerie più gravi sono fatte circolare in Jugoslavia sul conto di Mihajlo Mihajlov. A parte gli insulti di cui Io copre lo stampa del regime (come « schizofrenico », « marionetta nel gioco dell'anticomunismo », « esibizionista ». « provocatore» ed altri simili) viene insinuato che lo finanzino i servizi segreti di potenze straniere. Da circa un anno egli risulta disoccupato, ed avrebbe vissuto di imprecisati « risparmi », oltre che dei proventi della sua attività pubblicistica all'estero. Ha potuto dimostrare di avere incassato 800 dollari, tramite lo Ost Institut di Berna, un centro di studi sull'Europa orientale, che funge da suo agente letterario internazionale: ma è una somma modesta, anche in Jugoslavia, e comunque non basta a coprire le spese della sua intensa campagna pubblicitaria. Secondo informazioni americane. Mihajlov sarebbe stato aiutato dai servizi sovietici, o dagli stessi stalinisti jugoslavi, i cosiddetti « dogmatici », interessati a sostenere un'attività provocatoria che deve costringere Tito a un intervento autoritario energico. Nella sua ultima lettera aperta, Mihajlov sfidava difatti il maresciallo ad arrestarlo. Meglio accertati sembrano 1 suoi legami con il Congresso per la libertà della cultura e con il gruppo Kultura dei polacchi emigrati a Parigi. Si sa comunque che suo padre era ufficiale zarista rifugiatosi a Belgrado dopo la rivoluzione bolscevica, e che sua sorella Marija, residente negli Stati Uniti, è cittadina americana. Comunemente qualificato scrittore, non ha al suo attivo pubblicazioni di qualche merito. Di lui si conoscono solo pochi articoli sulla letteratura russa, e (Ino all'anno scorso la sua attività professionale consisteva in un incarico di assi stente alla cattedra di filosofia dell'Università di Za¬ ra. Non ha tuttavia diritto al titolo di professore che usa nelle sue lettere aperte, e secondo il New York Times nemmeno a quello di dottore, non essendosi mai laureato. Si tratterebbe insomma di un irregolare della cultura, uno di quegli eterni studenti che sono una specie tradizionale del vecchio mondo slavo. E' un fatto di poca importanza, ma viene anch'esso sfruttato per impedire che Mihajlov sia raffigurato come l'intellettuale perseguitato, alla stregua dei sovietici Daniel, Siniavskl-Tertz o Tarsis. Sulla coscienza jugoslava pesa già troppo gravemente la condanna di Gilas perché il regime possa assumersi il rischio dì una nuova rottura con. il mondo degli intellettuali. Si insiste quindi a dire che Mihajlov non è rappresentativo di nulla, che è affatto sconosciuto, senza seguito alcuno in Jugoslavia, e che è soltanto un « arrabbiato », reso nemico della società in cui vive dalle delusioni patite nell'ambiente universitario in cui non gli riuscì di onorevolmente inserirsi. Resta il problema politico, che d'altra parte è quello che meno sembra preoccupare le autorità. Mihajlov non ha infatti né la preparazione teorica né la statura morale di un Gilas, che egli comunque non considera nemmeno suo maestro. II suo anticomunismo è quello facile, del genere più corrente. In un articolo pubblicato dalla rivista belgradese Delo con il titolo Estate a Mosca, 1964 Mihajlov scrisse che 1 lager nazisti per lo sterminio degli ebrei erano nulla al paragone con 1 campi di concentramento sovietici dell'età staliniana. Fu sequestrata la rivista ed egli stesso venne incriminato per « diffamazione di un Paese amico », disavventura non sorprendente. Perduto il posto di assistente nell'Università di Zara si senti nascere la vocazione di polemista politico. «C/ie cosa vogliamo e perché ta- ciamo» »: con questo titolo nel 1965 lanciò la sua prima denuncia contro il regime jugoslavo, protestando che in paesi socialisti ogni critica venga scambiata per un atto di tradimento. E' questo un rischio effettivo, da riconoscere, ma le sue critiche si rìducevano ad una condanna indiscriminata di tutta la classe dirigente («tutti criminali, della specie peggiore ») e le sue proposte di riforma praticamente consistevano nella disgregazione della Jugoslavia, da trasformare ir. confederazione, col ritorno dei croati, dei serbi, degli sloveni, dei bosniaci, dei montenegrini, dei macedoni, ecc., ad altrettanti Stati autonomi, preludio alla ripresa delle lotte balcaniche politico-religiose che tanto sangue hanno già fatto spargere fra gli slavi meridionali. Legittima invece la sua richiesta che fosse riconosciuto il diritto all'esistenza ad uno o più partiti di opposizione, ma questo avrebbe significato la fine stessa del regime comunista jugoslavo, ed era quindi assurda la pretesa che il maresciallo Tito sottoscrivesse il proprio suicidio politico. A prescindere da tutte le dicerie, le insinuazioni e forse le calunnie sul suo conto, si può dire che Mihajlov è il tipico caso del velleitario che si immagina di riformare dall'interno una dittatura prendendo come buoni gli immancabili assunti liberali. Anche Gilas, del resto, cadde a suo tempo nel medesimo errore. Nel 1954, fu chiamato a ri-. spondere del reato di deviazionismo davanti al Praesidium. Presidente di turno era Mitra Mitrovna, che di Gilas era stata la prima moglie, e che ancora lo amava; commossa, evidentemente turbata, lo difese: « Compagni — disse — Gilas ha tanto sentito parlare di libertà di opinione e di critica nel nostro partito, che ha finito per crederci ». Cosi Mlhaj' lov, nella migliore delle ipotesi. Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Belgrado, Berna, Jugoslavia, Mosca, Parigi, Stati Uniti, Zara