L'intramontabile fascino del West nei racconti di un grande umorista

L'intramontabile fascino del West nei racconti di un grande umorista L'intramontabile fascino del West nei racconti di un grande umorista Il sottile velo della satira non riesce a nascondere in Mark Twain la nostalgica ammirazione per un mondo che stava per scomparire: la frontiera, le praterie sterminate, gli indiani, la ribellione dell'individuo solitario e duro contro la società Il West, la « frontiera invisibile » degli Stati Uniti, continua ad esercitare un richiamo tutto particolare anche oggi che i cow-boys non son più dei cavalieri leggendari ma semplicemente dei guardiani di bestiame, e i pellerosse intrattengono i turisti nei parchi nazionali o fanno le comparse a Hollywood. La meccanica — per non dire la retorica — dell'eroe mitico del West appare cosi scoperta da potersi riprodurre comodamente nelle campagne del Lazio, ma per chi non si accontenti di guardare alla superficie risulta singolare che si vada riscoprendo la autentica sostanza tragica della marcia verso il Pacifico, che le esaltazioni intinte di nazionalismo a partire dalla fine del secolo scorso e le riprese propagandistiche in anni recenti Cla retorica della «nuova frontiera*) avevano sostanzialmente edulcorato. Del resto, persino il cinema americano ha saputo in anni recenti abbandonare lo sfruttamento commerciale del filone western ricollegandolo, almeno occasionalmente, al tema tragico del conflitto tra individualismo esasperato e livellamento imposto dalla società industriale: pensiamo al secco e crudele Lonely are the Braves — che in Italia si chiamò, se ricordiamo bene, Solo al tramonto — interpretato splendidamente da Kirìc Douglas. Non deve sembrare strano che proprio un umorista, o per lo meno uno scrittore di prima grandezza presentato sbrigativamente come un umorista, abbia saputo comprendere e rappresentare una realtà tanto complessa e contraddittoria in pieno Ottocento. Ci riferiamo a Marte Twain al Quale le peregrinazioni nel Nevada e in California aprirono orizzonti nuovi come uomo e come scrittore, preparando il terreno alla fase più matura della sua arte, da Huckleberry Finn ad alcuni racconti nei quali l'umore diviene, sempre più risentito e sfocia poi in ■ v.n cupo pessimismo. Il registro comico, di una comicità pungente ohe sottintende spesso la satira, prevale, s'intende, nei racconti western di Twain; lo si può verificare scorrendo l'agile antologia che, con il titolo appunto Uomini del West, ha raccolto Tommaso Di Salvo, premettendovi una utile anche se un poco sommaria e schematica prefazione. Ed il comico serve a Twain per raggiungere una dimensione realistica profondamente nuova, che coglie il nuovo paesaggio della frontiera e i personaggi che lo popolano senza indulgere ad alcun compiacimento mitico o sentimentale ggiunte. Naturalmente, Mark Twain non era stato il primo a scoprire la Frontiera con l'ini■ ziale maiuscola. Sul piano della letteratura lo aveva già fatto James Fenimore Cooper, e oggi siamo inclini in molti a ritenere che questo compagno della nostra adolescenza, l'autore spesso ironizzato (ira l'altro proprio da Twain) dell'Ultimo dei Moicani sia ancora quello che meglio comprese l'essenza della marcia a occidente e le sue ambiguità; Natty Bumppo, l'eroe chiave di Cooper, è infatti colui che si affaccia alle, grandi praterie per sfuggire alla società organizzata, al livellamento, all' irreggimentazione, ma è insieme lo strumento della spinta che questa società esercita in direzione della terra vergine, della natura incontaminata, costretto a servirsi della violenza contro altri uomini per aprirsi il cammino. Con Mark Twain siamo in una fase successiva, ma non necessariamente opposta. I suoi uomini del West sono individui che non sanno che farsi della morale ufficiale del vecchio Est puritano; la loro ricerca di libertà nasce dal rifiuto ad accettare le regole della vita della comunità tradizionale. Paradossalmente si potrebbe cioè affermare che il West fu popolato e acquistato all'America da alcune migliaia di ribelli cronici e di spostati che aprirono la strada a tutti gli altri. La letteratura popolare e il cinematografo han provveduto a tipizzare individui del genere e a con¬ ferire alle loro gesta un sapore di apologo moraleggiante: i modelli, però, restano nelle pagine di Cooper e di Twain, e si tratta raramente di persone per così dire raccomandabili. Ecco allora i protagonisti memorabili della Ranocchia salterina della contea di Calaveras, giocatori incalliti e allegri truffatori di professione pronti a ingannarsi a vicenda nel modo più ingegnoso possibile; il Buck Fanshaw che il Di Salvo ha qui stranamente omesso, « duro » per antonomasia ma al quale, dopo la morte, si deve rendere un tributo ufficiale con predica del pastore fatto venire dalla Nuova Inghilterra e alquanto tremebondo all'idea di officiare in mezzo a un gruppo di minatori del Nevada sempre pronti a menar le mani. E' il mondo della cosiddetta tall-tale, vàie a dire del racconto di esagerazione, giocato tutto sull'amplificazione deliberata della realtà e sul gusto sapido e immediato della beffa. Frutto dell' esagerazione sono, del resto, le immagini che ci rimangono di un Davi/ Crockett o di un Daniel Beone, eroi supremi della Frontiera e prototipi dì un'America moderna, inquieta e avventurosa. Divenuti proverbiali, la loro immagine confina ormai col luogo comune e con lo stereotipe; nei racconti di Mark Twain essi si muovono con la forza e il nerbo che li ha fatti sembrare così smisurati, parlano per la prima volta il linguaggio diretto e immediato, l'inglese d'America che gli scrittori del Novecento riprenderanno, ma rivelano anche le debolezze e la malinconia ohe ne rende pia autentica e persuasiva l'umanità. Claudio Gorlier MARK TW1AIN: Uomini del West, ed. La Nuova Italia, pagine 252. L. 1000.