L'Italia può riavere il primo posto nel commercio estero della Jugoslavia di Giovanni Giovannini

L'Italia può riavere il primo posto nel commercio estero della Jugoslavia L'ECONOMIA DI BELGRADO E' STRETTAMENTE UNITA ALL'OCCIDENTE L'Italia può riavere il primo posto nel commercio estero della Jugoslavia Nemmeno la riconciliazione tra Kruscev e Tito ha mutato sensibilmente l'andamento degli scambi - Metà dei traffici jugoslavi si svolgono con i paesi dell'Europa occidentale e con gli Stati Uniti; quelli con l'Europa comunista rappresentano appena un terzo del totale - Nel 1965 l'Italia ha perduto il primo posto, che occupava sia nelle esportazioni sia nelle importazioni: conseguenza delle misure di austerità decise a Belgrado - Ma nei prossimi anni si attende un forte rilancio - Prodotti dell'industria italiana (Fiat, Eni, Olivetti) sono diffusi e ricercati; si discutono nuovi accordi di collaborazione, il turismo è in sviluppo - E la frontiera di Trieste, un tempo così inquieta, è oggi fra le più «aperte» anche al piccolo traffico locale (Dal nostro Inviato speciale) Belgrado, luglio. Protesa nello sforzo di aprirsi una sua via al socialismo che non volga troppo né ad Oriente né ad Oor cldente, la Jugoslavia comunista deve tenere conto della realtà del suoi naturali legami economici, più forti con l'Ovest che con l'Est. Uscita dalla guerra alla mercé dell'Untone Sovietica In ogni campo, costretta dopo la coraggiosa rottura del '1/S con Stalin ad indicibili sacrifici per conquistare un'effettiva autonomia, Belgrado aveva ridotto i suoi scambi commerciali col mondo comunista ad un quinto dei suoi traffici con l'estero. Solo nel '63, l'anno dell'ultima visita di Kruscev, la modesta percentuale aveva ripreso a salire: prima al SS per cento, poi al 30,9 per cento nel '6i, ed al Si,8 per cento nel 1965. Questo progressivo Incre¬ mento aveva destato preoccupazioni tra gli osservatori occidentali, anche se era chiaramente da attribuirsi più a rilevanti acquisti sovietici f ordinazioni, ad esempio, ai cantieri navali adriatici) che ad importazioni jugoslave. 1 dati, resi noti in questi giorni, sull'andamento della bilancia commerciale nel primo quadrimestre di quest'anno, segnalano però un certo ridimensionamento degli scambi con i paesi del Comecon (il Mec comunista) tornati ad un 29 per cento, del totale; è una percentuale che l responsabili dell'economia jugoslava giudicano normale. Guardando ad Occidente, la percentuale dei traffici con i set paesi della Comunità Economica Europea si aggira oggi sul 25,5 per cento, e quella con gli Stati dell'Efta o Zona di Libero Scambio (Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Danimar- iiiiiiiiiiiiii iiiiiiMiimiiiMiiMiiiiiiiimiiiiiin ca, Svizzera, Austria e Portogallo) sul 12 per cento: l'interscambio jugoslavo con i due gruppi economici, rappresenta dunque il 37,5 per cento e supera nettamente quello col Comecon. Tenendo conto del 12 per cento con il Nord America, si può concludere che i rapporti commerciali di Belgrado sono per metà rivolti ad Occidente, per meno di un terzo all'area, comunista (e per II resto agli altri continenti). In questo quadro mondiale, spicca la posizione dell'Italia, anche se non siamo più al primo posto assoluto come nel 1961,, quando precedevamo l'Unione Sovietica come importatori e gli Stati Uniti (non tenendo conto dei surplus agricoli) come esportatori: nel 1965, la Russia ci ha superati con le massicce ordinazioni di cui si è detto. Lo scorso anno, inoltre, ha visto un sensibile aumento delle nostre importazioni dalla Jugoslavia (da ottantadue a novanta, miliardi di lire) ed una diminuzione delle nostre esportazioni (da centonove ad ottantasei miliardi); ed il saldo si è cosi trasformato da un passivo di 26 miliardi per Belgrado nel 1961,, ad un attivo di circa quattro. TI motivo prinoipale di questo mutamento è di carattere generale. Inchinandosi, con la riforma in atto, alle leggi dell'economia, il governo jugoslavo ha imposto un brusco tempo di arresto ad investimenti, anche già in corso, decisi a suo tempo in base a criteri politici o burocratici, ed ha cercato inoltre di contenere i consumi, con l'obiettivo e col risultato di ridurre il più possibile le importazioni ed il passivo della bilancia commerciale. Per quanto riguarda l'Italia, è inoltre da notare che si sono esaurite nel '65 molte grosse forniture da parte nostra di macchinari o impianti completi. Macchine e mezzi di trasporto rimangono sempre al primo posto delle nostre vendite con quasi trentasei miliardi, di lire, davanti ai prodotti dell'industria manifatturiera (ventisette miliardi) e chimica (tredici miliardi). Dalla Jugoslavia, continuiamo a comprare sempre più prodotti alimentari: da quarantaquattro miliardi nel '64 a cinquantuno nel 'SS (solo di carni bovine, il 50% in più, da ventidue a trentuno miliardi). Seguono, tra i nostri acquisti, materie prime per più di ventuno miliardi, e prodotti dell'industria manifatturiera per dodici. Nell'ambito di questo schema tradizionale dei traffici fra i due paesi, si ritiene possibile a Belgrado che l'Italia riconquisti il primo posto. Il brusco tempo di arresto vuole essere transitorio; la « riforma » jugoslava si ripropone libertà di conversione del dinaro, libertà del commercio estero, libertà per i capi azienda di comprare sui mercati più convenienti. E tecnicamente come psicologicamente, la nostra industria è nella più favorevole posizione per beneficiarne: c'è la stima, e c'è la simpatia per tutto quanto è italiano. Predominano nelle strade dando un che di familiare all'ambiente le Fiat di ogni modello costruite su licenza della casa torinese a Kragujevaz> dove la' *Crvna Zastava» conta di passare dalle ottantamila unità di quest'anno alle trecentomila nel '70. L'Eni collabora alla costruzione di raffinerie ed a ricerche lungo la costa adriatica. Negli uffici si vedono telescriventi dell'Olivetti (che ha battuto l'agguerrita concorrenza tedesco-occidentale). Nelle case le donne cuciono sulle Necchi montate a Zara dalla Bagat. Ora, cito da fonte ufficiale, «sarebbero in corso di definizione accordi tra la " Rex " di Pordenone e la "Gorenje" di Velenje, la "Pert" di Udine e la "Aluminj " di Komen (lavatrici superautomatiche), la "Zal" di Pavia e la " Istratrans " di Albona (motocoltivatrici), la "Italsider" di Trieste e la " Jugoturbina " di Karlovac Cassi per motori), tra la " Sicon " di Torino e la "Zica" di Kanal (contenitori), tra una fabbrica italiana ed 11 Cementificio di Anhovo (prefabbricati) ». Rinunciando ad un elenco che potrebbe essere lunghissimo, ho voluto citare questo gruppo perchè si tratta di iniziative comuni, tutte in regioni vicino a quella frontiera che ha fino a ieri aspramente diviso 1 due paesi, che oggi è valicata sempre più frequentemente. I turisti italiani entrati in Jugoslavia sono stati l'anno scorso 255.000 (dopo i 561.000 tedeschi occidentali ed i 366.000 austriaci, prima del 161.000 francesi e del 156,000 inglesi); quest'anno saranno probabilmente molti di più, grazie anche all'abolizione — altro segno d'amicizia — del visto sui passaporti. Ma ancor più importante del movimento turistico, è il cosiddetto < piccolo traffico di frontiera*, quello della gente che abita lungo il tracciato spesso irrazionale del confine, e che è costretta frequentemente se non quotidianamente a varcarlo per motivi di affari o familiari. Il 1965 ha visto l'aumento più sensibile del dopoguerra, i « passaggi » sono saliti da dieci a tredici milioni, si è consentito agli interessati di portare con sé più danaro e maggiori oruanfitafiui di generi alimentari in esenzione doganale. Quella italo-jugoslava, è ormai una frontiera più aperta di molte altre. Sul treno che mi riporta In Italia, il doganiere sloveno non dà nemmeno un'occhiata distratta alle mie valige; dal finestrino, lo vedo più tardi intento con un nostro finanziere a scherzare con delle belle ragazze. Non solo commercialmente, la Jugoslavia gravita verso l'Occidente ed in primo luogo con l'Italia; non solo per interesse economico} merita, mi sembra, di essere amichevolmente seguita nell'ostinato, orgoglioso sforzo di aprirsi una sua difficile via non troppo all'Ovest, non troppo all'Est. Giovanni Giovannini iiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiin

Persone citate: Komen, Kruscev, Necchi, Olivetti, Stalin