Lo sforzo fisico degli atleti impegnati a 2000 metri di quota

Lo sforzo fisico degli atleti impegnati a 2000 metri di quota Le prossime Olimpiadi si terranno a Città di Messico Lo sforzo fisico degli atleti impegnati a 2000 metri di quota Nella capitale centro-americana l'altezza sul livello del mare è di 2240 metri: l'aria è rarefatta e la pressione atmosferica bassa - Sono condizioni che costringono l'organismo a un maggior lavoro per respirare, e occorre più tempo per ricuperare dopo una fatica - Il rendimento degli sportivi sarà minore del normale - Come preparare gli allenamenti L'ondata di amara disillusione che ha colpito un po' tutti per la rapida eliminazione dei calciatori azzurri dal Campionato del mondo dimostra quanto si sia sensibili anche nel nostro Paese alle vicende dello sport. Non si può, quindi, non pensare già — per provvedere in tempo — all'handicap fisiologico che pure i nostri atleti dovranno superare nelle Olimpiadi venture a Città di Messico. Si tratta delle particolari difficoltà di rendimento in cui rischiano di trovarsi quanti non sono a lungo acclimatati all'altitudine del luogo (2240 m.), e in quell'altitudine allenati. Difatti nello sforzo della competizione atletica lassù l'organismo ha da fare i conti specialmente con la rarefazione dell'aria e la bassa pressione atmosferica e, per conseguenza, con la diminuita pressione parziale dell'ossigeno nell'aria degli alveoli polmonari. Tale fatto crea una difficoltà nella naturale ossigenazione del sangue. Comprensibile, ricordando che la capacità dell'emoglobina ad assorbire l'ossigeno dell'aria inspirata ed a trasportarlo ai tessuti, quali 1 muscolari che ne hanno tanto più bisogno quanto più lavorano, dipende precisamente da quella pressione dell'ossigeno alveolare. ' L'organismo, è ben vero, mette in moto subito alcuni meccanismi di difesa allorché si trasferisce in altitudine (aumento della ventilazione polmonare: fenomeni cardiovascolari; incremento in circolo di globuli rossi e di emoglobina) atti ad acquistare maggior ossigeno, ma non certo sufficienti per prestazioni atletiche di qualche importanza sinché non sia avvenuta l'acclimatazione, a parte il fattore allenamento alla prestazione specifica. Il cosiddetto tempo di ricupero o di necessario riposo per il ristoro dell'organismo dopo sforzo sì fa di più lunga durata rispetto a quanto avviene al piano. Indice di maggior durata del senso di fatica. Gli stessi atleti nati e viventi nel Messico e convenientemente allenati — per quanto in taluni tipi di corse abbiano dimostrato reazioni cardiovascolari nient'affatto diverse da quelle osservate sui nostri atleti a livello del mare per eguali competizioni — hanno tuttavia palesato che per prove identiche il loro anzidetto tempo di ricupe¬ ro è più breve al marer ove la pressione parziale dell'ossigeno alveolare è normale. Il tempo di recupero è relativo al pagamento del cosiddetto « debito d'ossigeno » contratto durante la prova atletica. Tale debito esprime un certo deficit di assorbimento d'ossigeno che si verifica durante l'esercizio e deve essere compensato, per il processo di ristoro muscolare, dopo lo sforzo, con l'assorbimento di un relativo supplemento oltre la consueta quota di riposo. Si potrebbe affermare che chi sa contrarre maggior debito è favorito. Un'osservazione significativa è stata fatta sui risultati atletici dei Giochi panamericani del 1955 svoltisi proprio a Città di Messico (m. 2240) in con fronto con quelli delle sue cessive edizioni di Chicago (m. 182) del 1959 e di S. Paolo (livello del mare) nel 1963. Nonostante quel che si è detto prima, nessuna differenza è stata trovata nel tempo (10"3) per la corsa di 100 metri. Per quella di 400 si è ottenuto il tempo di 45"4 a Mexico; 46"1 a Chicago; 46"7 a S. Paolo. Le cose si sono svolte diversamente, però, per i 10.000 metri; ancor più per la maratona, per ì 1500 nuoto stile libero, per i 400 nuoto stile libero ; tutte prove in cui i tempi risultarono più elevati a Città di Messico. Ciò ha dimostrato nella pratica, ed ha avuto valide conferme in recenti ricerche, che in generale all'altitudine considerata la capacità di lavoro anaerobico (cioè con riserve energetiche senza pronto impegno di ossigeno) — sprint — non è sostanzialmente modificata in confronto di quella eguale al piano; mentre per la capacità di lavoro aerobico (di durata e con necessità di approvvigionamenti di ossigeno) insorgono notevoli difficoltà con peggioramento dei risultati. In altri termini potrebbe dirsi, come si esprime il Tatarelli, che la velocità in sforzi muscolari coordinati resta non influenzata fino a che la durata dello sforzo non eccede i 40-60 secondi. Oltre tale durata la montagna costituisce un impedimento. Differenze nei risultati sono ovviamente legate all'individualità del soggetto, alla sua età, alla razza, all'allenamento. Per certi sport, quali il lancio del peso, del martello, del disco e del giavellotto, un vantaggio potrebbe derivare nei risultati da un elemento extracorporeo, cioè dalla rarefazione dell'aria che offre minor resistenza al materiale lanciato. Come mettere, dunque, i concorrenti nelle condizioni per sopperire il meglio possibile all'handicap della montagna di media altitudine? Fisiologi di varie parti del mondo si sono posti il problema e siamo lieti di annunciare che a fine settembre docenti di Università europee, americane ed asiatiche, esperti in mate ria, si confideranno i risul tati delle rispettive indagini ed applicazioni pratiche in un Symposium internazionale che si terrà nel nostro centro termale di Saint Vincent, sempre ospitale per incontri medici ad alto livello Il raduno è promosso dall'International Council of Physiòlogical Sciences sul tema « Esercizio in altitudine ». Si può, dunque, dire che la riuscita delle Olimpiadi di Mexico City dipenderà in gran parte dall'affiancamento dei fisiologi e fors'anche degli psicologi agli allenatori. Poiché è essenziale che siano tenuti presenti innari zitutto le conoscenze della azione dell'altitudine media sulle diverse funzioni dell'organismo umano e sulle possibilità di rendimento di questo; quindi le conoscenze sull'acclimatazione e sui disturbi inerenti il difetto di essa; infine i particolari mezzi di sorveglianza medica e psicologica dell'allenamento in altitudine. Di alcuni gruppi di ricerche già è stato discusso in recenti convegni, specie in quello di Macolin. Si è visto che l'allenamento e l'acclimatazione possono portare un miglioramento e talvolta una normalizzazione della capacità del massimo lavoro aerobico. Le variazioni da individuo ad individuo pos sono essere rilevanti. Ciascun atleta deve rappresentare un caso a sé — suggestivamente il citato prof Tatarelli parla di «un microcosmo » a sé —- da seguire'indipendentemente dà quanto può essere stato notato in altri individui. Stan do così le cose si comprende la difficoltà di strette standardizzazioni di metodi di preparazione. A questo punto il discor so potrebbe continuare anche su una piccola patologia delle altitudini segnala ta in trasferimenti di atleti in montagna. Ci limitiamo solo a far presente che un certo deficit d'ossigeno induce facili disturbi nervosi; quindi è opportuno vagliare degli atleti la rispettiva re sistenza e labilità nervosa alla detta ipossia prima di portarli in altitudine, per quanto i casi lievi di sofferenza svaniscano con l'acclimatazione. prof. Angelo Viziano «Membra appelli de la F.I.M.S. raaustraliano Ron Clarke durante la gara nella quale, il 5 luglio scorso, a Stoccolma, ha battuto il record mondiale dei 5000 metri, con il tempo di 1S minuti 16 secondi e 6 decimi. Non passa settimana, quasi, senza che si ottengano nuovi primati sportivi. Qual è il limite massimo dello sforzo umano f

Persone citate: Angelo Viziano, Clarke, Tatarelli

Luoghi citati: Chicago, Messico, Mexico, Stoccolma