Gide in Italia

Gide in Italia Un bilancio a quindici anni dalla morte Gide in Italia Sono quindici anni che André Gide è morto (1951) e soltanto ora, tralasciati i rimpianti e tacitate le commemorazioni, è possibile intraprendere un primo bilancio, utile per definire, con una vigorosa analisi storica e critica, quale sia stata in Italia l'effettiva influenza di uno scrittore che, con Proust, Valéry c Claudel, ha conchiuso una fortunata stagione della letteratura francese. Ad una storia, da più parti richiesta, contribuisce fruttuosamente l'ultimo lavoro di Antóinc Foijgaro, uno studioso francese da parecchi anni attivo fra noi, il quale si è assunto il non facile compito di preparare con sicura informazione e di condurre a termine con molta diligenza una Bibliographie d'André Gide en Italie (Firenze, Sansoni Antiquariato, 19(56, pp. 193). Grazie a questo lavoro, un caratteristico atteggiamento della cultura italiana, sviluppato e perseguito per oltre cinquantanni, viene illuminato di luce nuova a conferma del generale sforzo compiuto dalle successive generazioni sia per immettere nel circolo europeo le testimonianze migliori della nostra letteratura contemporanea, sia per assorbire dai più qualificati rappresentanti europei le idee capaci di favorire il rinnovamento e le manifestazioni della nostra arte più originale. Dirò subito che i dati, raccolti ed illustrati dal Fougaro, ad una prima lettura possono sembrare deludenti. Tenuto conto che Gide incominciò la sua attività nel 1891 con Les Cahiers d'André Walter, è giocoforza registrare che soltanto nel secondo decennio del nostro secolo alcune sue opere entrano nelle principali biblioteche italiane. Con precisione noto che nella Biblioteca Nazionale di Firenze Gide c presente con qualche opera soltanto dal 1919. alla Braidensc di Milano dal 1916, alla Biblioteca Nazionale di Roma dal 1923. E' questa la migliore testimonianza di quanto sia lento il successo italiano di Gide. Per molti anni il nostro autore è inaccessibile per il grande pubblico italiano,, così come è poco noto al grande pubblico europeo. A questo proposito, non deve essere dimenticato che ci vollero ben venticinque anni per esaurire i duemila esemplari della prima opera importante di Gide, Les Nourritures Terrestres. Nei 1898, un anno dopo la pubblicazione, l'editore ne aveva venduto soltanto cinque esemplari, dodici nel 1902. Chi, dunque, prima di queste date lesse Gide in Italia? E' facile presumere che Gide stesso sia stato il primo divulgatore italiano della sua opera secondo sembrano confermare i seguenti dati di fatto. La fortuna italiana di Gide incomincia a Firenze e coincide con il primo soggiorno che in quella città il nostro .autore compì fra il dicembre del 1895 e il gennaio del 1896. Introdotto negli ambienti letterari fiorentini da Roberto Pio Gatteschi, il poeta di Esuli sogni (1899), Gide conquistò a Firenze due affezionati amici. Gian Pietro Lucini, buon conoscitore del Simbolismo francese, comprese subito gì stretti rapporti delle prime oliere gidiane con Nietzsche e nel 1903, con il primo saggio italiano dedicato al nostro autore, suggerì di cercare in opere tanto diverse non un insegnamento, ma « una constatazione violenta e senza sotterfugi ». Giuseppe Vannicola, che Gide stesso definirà « le pre-. mier compagnon sur cette terre italiciine si belle », conobbe lo scrittore francese anche più intimamente, riuscì a commuoverlo con le dolorose vicende della sua vita e, forse, grazie a questa stretta comprensione meglio di chiunque, nella Firenze di quegli anni, riuscì a. valutare come e quanto Gide fosse « la guida vera verso una nuova epoca della letteratura ».. Naturalmente, durante il suo primo soggiorno fiorentino, Gi de conobbe D'Annunzio. Lo conobbe e, per un lungo periodo, lo ammirò secondo testimoniano alcune sue opere mandate al poeta italiano con dedica e tutte ancora conservate nella biblioteca del Vittorialc. Agli ultimi di questi pzgmstrLpmfoinnPdcglasprztcpvin(fDadpslr1rdmnmauc1nglsl«dncittpeddStqrcèvna preziosi esemplari D'Annunzio non tagliò neppure le pagine. Ma lesse e certamente meditò Les Nourritures Terrestres e l'Immoraliste di cui si ricordò in modo evidente in Laus Vitae c in Alcione per la prima opera, in Più che l'amore per la seconda. Tuttavia, un momento più fortunato incomincia per Gide in Italia quando, con il Leonardo e con La Voce, Papini, Prczzolini e Borgesc, per vie diverse, e talvolta opposte, cercarono in ogni modo di stringere più fruttuosi rapporti con la letteratura francese e con i suoi più attivi rappresentanti parigini. In una testimonianza recente (1964) Giuseppe Prezzolini ha negato, a buon diritto, che negli anni de La Voce ci fosse in Firenze « un gruppo di entusiasti di Gide ». In verità, né in Italia e neppure in Francia, con L'Immoraliste (1902), con Le Retour de l'enfant prodigue (1907), con il Dostoievski (1908), il nostro autore aveva raggiunto il grande pubblico. Ma che le menti più informate e attente avessero compreso, anche in Italia, il significato della sua opera è provato dal fatto che, nel 1907, il Vannicola produce i ricordi gidiani su Oscar Wildc, nel 1912 A. Onofri la prima parte del Voyagc d'Urien, nel 1920 Papini Le Prométhée mal enchainè. In quegli stessi anni attorno a La Porte étrotte si sviluppò una fruttuosa discussione e contro G. A. Borgese che, nel 1909, proprio in questo giornale definì l'opera * un rigurgito di biblioteca », a difenderla con giudizio contrario insorsero il Prczzolini e, poi, l'Onofri che definì il romanzo « la più pura opera di prosa d'oggi ». Si direbbe che per ogni generazione italiana Gide abbia conquistato e segnato gli autoiti >più rappresentativi e ■più .attenti. Così per D Annunzio e per1' Bórgcse, così per Vittorini e per Moravia. Mutate le con-! dizioni della cultura dopo la prima guerra mondiale, quando ancora in Firenze attorno a Solatia si radunarono quanti scrittori « ebbero il senso che qualcosa stava maturando fuo ri casa » (G. Raimondi), anche in questa occasione Gide è presente. E' presente per av viare ad una felice maturazione la prosa di Vittorini. Più ancora, è presente quando Mo r(suvdctttcds'gsmczlpbactucca -! ravia prepara Gli Indifferenti (1929). Se mai è vero che questo romanzo, testimonianza di una generazione inquieta, doveva prima intitolarsi La Palude, non ci dovrebbe essere alcun dubbio che Gide, non soltanto con un titolo, seppe partecipare ad un mondo già intuito e preannunciato nel 1895 con Paludes. A questo punto alcuni ricordi offrono una ben precisa testimonianza. Tra gli anni '30 e '40 il prostigio di Gide in Parigi e in tutta l'Europa toccò la sua punta massima. Non dimentico il modo sovrano con cui presiedette alla prima lezione di Valéry presso il Collège de France. Un'altra volta, per caso, lo incontrai dal barbiere che teneva bottega vicino a casa sua in rue Vancau. Anche in un compito così poco letterario era accompagnato da una' organizzata coorte di giovani ammirati e devoti. Mi ricordai, allora come oggi, che in Italia un compagno di scuola aveva trovato l'ultimo conforto, prima del suicidio, nelle pagine gidiane. Lo stesso conforto trovò il giovane torinese che, dopo la guerra, bussò all'appartamento di rue Vaneau per essere convinto ad abbandonare la sua provincia e ad immergersi nelle acque gelide del mondo parigino. Erano gli anni in cui Carlo Bo confessava che « noi non diremo mai ab bastanza la nostra riconoscenza a questo inventore dell'anima »; quando Mario Luzi riconosceva in Gide « un autore con il quale sembrava necessario, inevitabile fare i conti ». I conti furono fatti e saldati nell'anno ( 1947) in cui il premio Nobel consacrò una fa ma ormai scontata. Quattro an ni dopo, Gide moriva al mo mento giusto, quando i giovani non cercavano più chi desse voce ai loro interrogativi. Desiderosi di essere non inquietati ma, convinti e rassicurati, presto anche in Italia i giovani sostituirono il maestro di una generazione con Sartre e Camus. Negli stessi anni gli editori sfruttavano il successo ritarda to sfornando ben cinquantaquattro traduzioni integrali d opere di Gide. Così, senza stupore e delusione, anche il gran de pubblico potè valutare in tutta la sua importanza l'attesa dichiarazione di Gaston Gallimard: « il Journal di André Gide è un'opera truccata ». Franco Simone