L'ermetica poesia di Max Ernst in una grande mostra a Venezia di Marziano Bernardi

L'ermetica poesia di Max Ernst in una grande mostra a Venezia Un maestro del Surrealismo a Palazzo Grassi L'ermetica poesia di Max Ernst in una grande mostra a Venezia (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 18 luglio. Chi esce dalla Biennale conturbato, disorientato, per non dire amareggiato da uno spettacolo che nei suoi due terzi sembra confermare le recenti malinconiche parole di uno scrittore illustre: «Se l'arte non risponde al nostro invito è segno che l'arte non c'è, e se ne può fare a meno senza troppo sacrificio », potrà confortarsi recandosi a Palazzo Grassi dov'è presentata, al « Centro internazionale delle Arti e del Costume» diretto da Paolo nannotti, la grande mostra di Max Ernst intitolata (in parte a torto) «Oltre la pittura», che comprende 143 dipinti, sculture, disegni da circa U 1921 al 1966, più le illustrazioni per tre preziosi libri destinati ai bibliofili. Infatti, benché il tedesco Max Ernst, nato a Briihl presso Colonia nel 1891, sia uno dei maggiori maestri del più arrischiato surrealismo moderno, la poetica eul rimase sempre fedele fin dagli anni che ne precedettero la codificazione col famoso Manifesto di Breton, del 1924; benché la sua vocazione artistica sia maturata, anzi esplosa nel nichilistico clima estetico (ove di estetica in questo caso eia lecito parlare) di Dada, sì ch'egli addirittura fondava a Colonia, nel 1918, una specie di succursale del dadaismo zurighese col giornalista Baargeld; benché, insomma, dal collage al frottage Ernst abbia sperimentato o inventato parecchie delle tecniche anarchiche di cui ora tanti avanguardisti ci offrono freschi freschi le rimasticature (belle novità dopo quasi mezzo secolo!); a Palazzo Grassi s'incontra un artista autentico a petto del quale i celebrati eroi della Biennale che mandano in visibilio 1 nostri superintelligenti critici, i Fontana, i Burri, i Dorazio, i Turcato, i Corpora, i Parzini, gli Scanavino, i Castellani, i Del Pezzo e compagnia, fan la figura di scolaretti. E non parliamo degli stranieri, come il francese Etienne Martin, gran premio per la scultura e quindi espositore, fra l'altro, di un telone che potrebbe essere una coperta da cavallo. E' la miglior prova, questa mostra di Ernst, che poeta si nasce e non lo si diventa attraverso i programmi, i gruppi, i cenacoli, o escogitando a freddo «macchine inutili» Se la poesia c'è, inevitabilmente, in un modo o nell'altro, magari faticosamente, penosamente, tortuosamente, si manifesta, e fra le nebbie dell'intelletto, le sofisticherie dei falsi ragionamenti, un bel momento libera alto e squillante il suo canto. Ed è persino commovente constatare — appunto è il caso di Max Ernst — com'essa resista, per anni ed anni, a tutte le mortificazioni, alle ingiurie, ai sadici maltrattamenti impostigli da una brutale volontà di distruzione, e sempre cerchi e alfine trovi il varco, in mezzo alle macerie di reiterate assurde sperimentazioni, per mostrare il suo sorriso. Lo mostra anche al di là di quel titolo «Oltre la pittura» che non risponde alla realtà perché la grandezza di Max Ernst dipende proprio dal fatto ch'egli è soprattutto, meno che nelle stanche opere di questi ultimi due o tre anni, grandissimo pittore dotato di straordinarie qualità disegnative e coloristiche. Nelle prefa zioni dell'elegante catalogo illustrato Paolo Marinotti e Franco Russoli sembrano gio care a strapparsi di mano i concetti, il primo, s'intende, forzando un po' ingenuamente i toni lirici (che la critica non è il suo mestiere), il secondo manovrandoli con abilità con sumata, da quel pratico ch'egli è di tecnica esegetica. Si sviluppa così, a battuta di racchetta, la partita contrappuntistica. «La pittura in Max Ernst si svincola dal principio formale creando immagini mutanti di volta in volta », dice l'uno.. E l'altro di rimando: « Ernst non cerca la Forma, ma le forme che sono vita, del visibile e dell'inconscio». Riprende il primo: «Max Ernst crea il dubbio di tutto ». Ribatte il secondo: «In Ernst non è dilemma, ma unità, nell'immagine, limpida e misteriosa, della complessità dell'uomo, specchio e proiettore insieme degli aspetti della natura e delle figurazioni della fantasia >■ E poi, in duetto: «Attrazione magnetica ed evasiva»; «Evasione e ricerca, libertà e impegno, memoria e predizione: ogni contrario ritrovato nell'unità dell'essere »; « Certezza di una natura cosmica »; < Accumula, e sembra che lasci tutto fermentare insieme; nel crogiuolo dell'inconscio, a sua insaputa». Il fatto è che a Palazzi Grassi non c'è un filosofo che indaghi le supreme ragioni dell'esistere, e nemmeno "uno psicanalista che scruti i meandri dell'animo umano scoprendone le verità nel subcosciente, o uno scienziato che dalla analisi del microcosmo salga alla deduzione degli infiniti spazi che soltanto per il teologo (o per il semplice credente) acquistano valore di spirituale certezza. Cè un ar¬ tista il cui luogo geometrico sembra a volte situato su un punto equidistante fra Klee e Picasso, sintesi quindi delle più varie esperienze dell'arte contemporanea; un artista che se potesse valersi di parole sarebbe il più squisito dei poeti ermetici, ma si vale invece di forme dipinte, disegnate, modellate, scolpite, talvolta ingegnosamente composte con materiali eterogenei, carta, stoffa, pizzi, legni, metalli, fibre (il collage), per esprimere il mistero del mondo onirico in cui spazia perennemente inquieta, perennemente inventiva, la sua immaginazione. E' un mondo dunque che con quello naturale ha contatti estremamente vaghi, o gentilmente ironici, o soltanto allusivi. «1,9 peintre vous permei d'ignorer ce quo c'est qu'un visage », ha detto Ernst. E infatti in sogno — nel procedimento automatico del sogno, chiave del surrealismo — io posso avere la suggestione di un volto arcanamente bellissimo, e anche innamorarmene senza distinguervi i lineamenti, occhi, naso, bocca, che restano indefinibile sfinge, oltre e nello stesso tempo dentro la coscienza. Questo, e null'altro, è l'arte di Max Ernst a qualunque immagine dia vita. Ma gliela dà coi mezzi, segno e colore, del più raffinato, forse, di tutti i pittori d'oggi. Quindi non « oltre la pittura », ma interamente « nella pittura ». Non confondiamo Ernst coi falsi profeti della Biennale. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Colonia, Venezia