Le canzoni di Brofferio al «Teatro delle dieci»

Le canzoni di Brofferio al «Teatro delle dieci» Le canzoni di Brofferio al «Teatro delle dieci» Lo spettacolo allestito per il centenario della morte del poeta - Satira politica e poesia d'amore Angelo Brofferio — avvocato, deputato, commediografo e poeta morto cent'anni fa — è stato commemorato ieri sera al Ridotto del Romano dal «Teatro delle dieci». Una celebrazione disinvolta, senza cerimonie né discorsi solenni: la figura dell'uomo e dell'artista dialettale piemontese, vissuto in pieno clima risorgimentale, è stata evocata con le sue canzoni satiriche e amorose. Brofferio era uno spirito libero e brillante, un democratico progressista che pensava alla repubblica in tempi in cui questo significava essere sovversivi. Fini' in prigione, scrisse dietro le sbarre alcune poesie che poi mise egli stesso in musica. Popolarissimo, lo chiamavano il «Béranger piemontese» e le sue canzoni che uscivano a dispense andavano a ruba: le cantavano studenti e artigiani, le accompagnavano al pianofor te le ragazze romantiche. Nello spettacolo del «Teatro delle dieci » il filo conduttore è un garbato monologo, scritto da Franco Antonicelli, In cui Brofferio parla amabil mente di se stesso e del suoi tempi, fa anche un esame di coscienza dei suoi difetti e qualche volta ha l'aria di al ludere con malizia ai giorni nostri. Un tono familiare e confidenziale. La voce, fuori campo, era dell'attore Checco Rissone. La scena s'ispirava ad una antica stampa dove il Brofferio appare in prigione men tre scrive sui muri ì suoi ver si; niente costumi dell'epoca, sul palcoscenico c'era un'atmosfera stilizzata da «cabaret» Gli attori, in maglia e pantaloni neri, hanno cantato e recitato le poesie accompagnandosi con la chitarra e la fisar¬ monica. Dapprima le composizioni autobiografiche dove traspare tutta la passione politica del Brofferio, ma temperata dalla solita vena scherzosa. Come quando, in carcere nell'aprile del 1831, scrive: « J'aspeto santament — la visita dal bòja — ch'am ven-a a libere — con un bon causs dare; — perché crudel destin — nen feme un ravanint ». Poi le satire politiche (e il Cavour diplomatico e «maneggione» spesso ne fa le spese), quindi le poesie amorose piene di casalinghe Rosalie e Caroline. C'è anche una scena dove il canto assume l'andamento gregoriano ed ha per argomento la proposta di legge Rattazzi sull'abolizione di comunità religiose: « Bruta Neuva: Orate Fratres ». Qui il regista Massimo Scaglione ha movimentato la recita: gli attori entrano nel buio, incappucciati nel saio con le candele accese. C'è un po' di dialogo. E cosi pure un pizzico di azione si svolge ne « La Ca granda » dove i diavoletti si fanno irriverenti beffe delle monotone gioie del paradiso. Alla fine la « voce s di Brofferio conclude scherzo samente: <Non vi dico dove sono. Pensatemi voi dove volete ». E su questa battuta ca la il sipario. Il pubblico (in prevalenza giovani) ha gre mito il piccolo teatro e ap plaudito con calore gli attori Franco Alpestre, Nanni Berto relli, Elena Magoja, Giovanni Moretti e Franco Vaccaro. So brie le scene di Liverani. gusto per queste canzoni po polari è oggi assai vivo; e spettacolo voleva affettuosa mente rievocare il Brofferic canzonettista, non certo eri gergli un monumento. vice II lo