Un mondo futuro di incubo al Festival della fantascienza

Un mondo futuro di incubo al Festival della fantascienza Film di dieci paesi alla rassegna di Trieste Un mondo futuro di incubo al Festival della fantascienza I protagonisti di queste pellicole non si ispirano à Glenn o a Gagarin, ma a Goldfinger, Mabuse, perfino a Hitler - Scienziati e romanzieri discutono sulle possibilità di vita extra terrestre - Ipotesi mostruose: intelligenze in forma di gas, esseri con il piede « a bocca » per brucare l'erba (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 11 luglio. Sabato scorso, a Trieste, è cominciato il quarto Festival internazionale del film di fantascienza che nel giro di otto giorni mostrerà quanto di meglio è stato prodotto negli ultimi dodici mesi in fatto di incubi avveniristici, mostri spaziali, invasioni interplanetarie. E* un festival particolarissimo (dimensioni ridotte, ma ci sono un po' tutti: Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Belgio, Spagna, Francia, Italia ed infine — la fantascienza non conosce cortine — ben tre Paesi comunisti: Unione Sovietica, Cecoslovacchia e Jugoslavia) che ha i suol fans e i suoi < sacerdoti ». Ad essi si aggiunge, ogni anno, una schiera di sociologi e di psicologi che in questi film dell'angoscia, per certi versi simili ai sogni, si sforzano di leggere le paure e le speranze del nostro tempo. Oltre a costoro quest'anno è convenuto a Trieste anche un ristretto gruppo di scienziati che per due giorni — ieri ed oggi — hanno dato vita ad un dibattito perfettamente intonato all'atmosfera del festival: «La possibilità di vita extra terrestre ». Anzi, uno degli aspetti più interessanti della manifestazione In questa sua fase iniziale è stato proprio li paragone fra quanto venivano mostrandoci i primi film della rassegna, su nei gran cortile di San Giusto, e quello che venivano afferman do gli uomini di scienza alla tavola rotonda di via S. Nicolò. Fino a che punto la fantascienza riesce a convivere con la scienza? In che misura gli autori dei ' film si appassionano agli sviluppi della tecnica? Stando alle primissime opere rappresentate verrebbe fatto di pensare che soggettisti e registi non tengano molto ad « indovinare » il futuro. Nella maggioranza dei casi la loro preoccupazione è lo spettacolo, la sensazione; talora sono animati da preoccupazioni sociali, talaltra da aspirazioni artistiche; mai o quasi mai danno alla parte scientifica un peso determinante. Per rendersene conto basta accennare a qualche trama. L'americano Città sotto il mare, presentato sabato scorso nella serata inaugurale, ci mostra una Sangrl-La alla rove scia: invece che fra le vette dell'Himalaia una comunità umana è riuscita a conquistare l'eterna giovinezza rinserrandosi in una città costruita sotto l'oceano, lontano dall'aria e dalla luce; una società crudele, dominata da un sanguinario capitano che per le sue efferatezze ha ai suoi ordini viscide squadre di uominipesce. Ne / criminal: della Galassia — il film italiano presentato ieri sera con notevole successo — un diabolico scienziato aiutato da mostruosi esseri a quattro braccia, mira a rag giungere il potere assoluto su tutta la Terra e a creare, mediante incroci, una razza perfetta. Nell'inglese Invasione presentato stasera, esseri umani provenienti da un altro pianeta, ma dall'aspetto abbastan za simile al nostro, mettono a subbuglio un'intera regione dove sono atterrati Inseguendosi l'un l'altro par loro beghe personali. Il lei* motiv è l'incubo, mai la tensione scientifica; i protagonisti riecheggiano via via Goldfinger, Mabuse, talora infine Hitler, mai Glenn, Gagarin, e neppure il capitano Nemo di Verne. Dicono che nei prossimi giorni il francese L'oro e il piombo e il cecoslovacco Chi irndtrtssncdpsrefA imole uccidere Jessiet porteranno, fra tanta angoscia, una nota di fanta-umorismo. Può darsi. Per ora le opere sono tutte, nero-cataclisma, mozzarespiro. Anche se, naturalmente, i malvagi finiscono sempre schiantati e travolti come fuscelli. Se per dramma si intende non già antagonismo spettacolare, ma angosciosa ricerca della verità, senso dell'infinito, piccolezza dell'uomo nel cosmo, diremmo che le considerazioni scientifiche fatte ieri e oggi alla «tavola rotonda» sono più drammatiche dei film di fantascienza. I relatori erano tutti illustri: c'erano la professoressa Margherita Hack, direttrice dell'Osservatorio astronomico di Trieste, l'inglese Arthur Clarke, membro della « Royal Astronautic Society » di Londra, il prof. Henry Sulzer, studioso di comunicazioni interplanetarie, l'americano Donald H. Menzel e molti altri, tutti preoccupati di dare la loro risposta all'assillante domanda di sempre: esistono forme di vita e in particolare di vita intelligente su altri pianeti? Nella nostra galassia — hanno detto — ci sono, uno più uno meno, trecento miliardi di stelle: secondo gli studi più recenti, però, solo dieci miliardi avrebbero un sistema planetario simile a quello solare, e solo un miliardo si troverebbe in condizioni idonee allo sviluppo della vita. Ma di questo miliardo di sistemi piane tan alcuni possono aver conosciuto forme di vita in un lontano passato, altre le potranno conoscere in un ancor più lontano futuro. Oggi come oggi, « solo » un milione di sistemi planetari sarebbero in grado di ospitare essere viventi. L'uomo fra qualche anno andrà sulla Luna, fra un centinaio di anni potrà arrivare su Marte (la famosa « scatola nera » di Palomares conteneva tanta energia da permettere a un astronomo il viaggio andata e ritorno Terra-Marte), ma per i viaggi interstellari i problemi si fanno spaventosi. Per risolverli occorreranno sistemi che per ora non si possono neppure intuire. E la vita, lassù, se pur ci sarà, quali forma potrà assumere? Le ipotesi si accavallano: vita e antivita, intelligenza in forma di gas, immagini in cui la somma di intelligenze inferiori potrebbe dare luogo a una intelligenza superiore. Solò l'americano Harry Harrison ha arrischiato una immagine precisa: la forma più semplice di vita extra-terrestre potrebbe essere, a suo avviso, un cervello collocato in un corpo tozzo, un piede «a bocca » per brucare l'erba e un movimento simile allo schioccare delle labbra come mezzo di locomozione. Una descrizione che si ricollegava perfettamente con i protagonisti dei film, su a San Giusto. Ma Harrison non è uno scienziato, è un romanziere. Gaetano Tumiati