Il Tintoretto «ripulito» di Marziano Bernardi

Il Tintoretto «ripulito» I secoli hanno alteralo il colore dei quadri antichi Il Tintoretto «ripulito» Dopo il restauro, il «Miracolo di San Marco» ha riacquistato la splendente vivezza cromatica che meravigliò i contemporanei • Colpa del tempo o degli uomini, non riusciamo quasi mai a vedere nel loro volto genuino le opere del passato (Dal nostro inviato speciale) Venezia, luglio. Nella decima sala delle Gallerie dell'Accademia, una immensa tela dipinta quattrocentovent'anni fa sfavilla dei suoi più accesi colori, in singolare contrasto coi toni attutiti o incupiti dal tempo degli altri capolavori dell'avanzato Cinquecento veneziano che le stanno intorno; e in questi giorni d'intenso movimento turistico non v'è intelligente forestiero a Venezia che non rubi un'ora ai programmati itinerari (Biennale compresa) per contemplare stupito il quadro che la recente cura di ringiovanimento — sùbito seguita da un'aspra polemica — fa sembrare uscito ieri dalle mani del suo autore. E' il celebre « telerò > di metri 4,15 per 5,41 che rappresenta il Miracolo dello schiavo, o più precisamente San Marco libera uno schiavo, eseguito dal Tintoretto trentenne per la Scuola Grande di S. Marco e là collocato nell'aprile 1548, come testimonia una lettera scritta in quella data all'artista dall'Aretino. Diceva il più famoso pam phlétaire del suo secolo al giovane pittore che già l'ambien te artistico veneziano, dopo aver visto il Cristo e l'adultera, la Lavanda dei piedi e la Cena di S. Marcuola, considerava un rivoluzionario della tradizione tonale GiambellinòGiorgione-Tiziano: «A/o» huomo sì poco istrutto nella virtù del dissegno, che non si stupisca nel rilievo della figura, che tutta ignuda, giuso in terra è offerta alla crudeltà del martiro, i suoi colon son carne, il suo lineamento ritondo, et il suo corpo vivo, tal che vi giuro per il bene, che io vi voglio, che le cere, l'arie, et le viste delle turbe, che la circondano, sono tanto simili agli effetti, ch'esse fanno in tal opra, che lo spettacolo pare più io-' sto[ vero, che finto ». ) Per la grande autorità dell'Aretino-, era un giudizio molto importante: cui faceva eco la meraviglia, e quasi lo sconcerto degli spettatori (non tutti, del resto, persuasi, si che in un primo tempo il Tintoretto, sdegnato, si riportò a casa l'opera) per quella che nell'imperante clima tizianesco appariva ai conformisti una urtante novità. Quale la novità che perentoriamente il Miracolo imponeva agli astanti ? Non più al modo di Giovanni- Bellini, del Giorgione, di Tiziano, la fusione « tonale » della luce e del colore nell'atmosfera, bensì una « sintesi' cromatico-plastica » che presenta il fatto luminoso nei due aspetti di qualità e di quantità, di « luminismo » e di « plasticismo > (Coletti). In altre parole, la novità è l'uso di un colore che, in questo quadro, « ha la sua ragion d'essere in quanto è variato in rapporti di chiaroscuro da quella luminosità che investe le forme frangi... Josi nelle pieghe, nelle cordonature delle vesti, nelle maglie dei giachi, nelle sprezzature dei capelli, nelle rudi e marcate caratterizzazioni fisionomiche » (Pallucchini). Orbene, con l'andar dei secoli la splendente vivezza cromatica che tanto aveva sorpreso alcuni confratelli della Scuola s'era, se non spenta, almeno fortemente offuscata soprattutto per l'ingiallimento delle vernici. Quanto profonda ne risultasse l'alterazione dell'effetto coloristico lo si vede dal < campione » lasciato dal restauratore sul corpo dello schiavo. Questo campione color giallo zafferano indica che la descrizione dell'Aretino ( « i suoi colori son' carne ») non aveva più senso prima della ripulitura del dipinto, eseguita in questi mesi da Antonio Lazzarin. Infatti, come si legge nella relazione del lavoro compiuto, « il velo gialloarancione che svisava completamente t valori cromatici e grafici del capolavoro tmtorettesco » dipendeva unicamente — a quarto afferma il restauratore — <da un denso strato di vernici alterate e in parte decomposte », steso sull'intera tela probabil mente nell'Ottocento. Anche il Pallucchin-, plau dendo al restauro, concorda con questa tesi. Viceversa l'cspcr ripMblndtvmdbscsrtMtldd rissimo decano dei restauratori italiani, Mauro Pellicioli, deplora che nella ripulitura del Miracolo siano state « irreparabilmente distrutte tutte le velature amiche autentiche di finitura, rosate, tipiche della luce del tramonto », volute dal Tintoretto, che « viveva e respirava l'aria di- Venezia » e largamente usava le « trasparenze delle velature ». Anche se, in verità, ci sembra che la ripulitura abbia forse un po' troppo incrudito i colori, non entreremo in questa polemica di tecnici. A parer nostro il sorprendènte contrasto cromatico del ripulito Miracolo con gli altri dipinti tintoretteschi delle Gallerie dell'Accademia pur prossimi di data, come- il Caino che uccide Abele, VAdamo ed Eva, la Creazione degli animali, risolleva un problema filologico e critico il cui interesse supera quello dell'esito, comunque giudicabile, di questo e d'altri restauri. Ed il problema è questo: che noi quasi mai vediamo i quadri antichi nella realtà coloristica della loro esecuzione. Quasi sempre li vediamo alterati, svaniti, qua cresciuti là diminuiti di valori cromatici e tonali, incupiti, o addirittura anneriti. Metà della storia dell'arte è stata letta su testi sbagliati. Forse persino La tempesta di Giorgione, che tanti interrogativi critici ha posto, quando la vide Marcantonio Michiel in casa di Gabriele Vcndramin, nel 1530, era molto diversa da come appare oggi. Marziano Bernardi

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