Tito in un drammatico discorso nega d'essere diventato «liberale» di Giovanni Giovannini

Tito in un drammatico discorso nega d'essere diventato «liberale» A cinque giorni dal siluramento di Rankovic Tito in un drammatico discorso nega d'essere diventato «liberale» Con foga concitata, il Maresciallo ha lanciato un furioso attacco contro quanti ritengono che il « dirigista » Rankovic sia stato sacrificato alle «nuove direttive economiche» - «In Jugoslavia non avverrà mai quello che pensano in Occidente; noi costruiamo una democrazia socialista » - Patetiche parole per il « vecchio compagno Rankovic che ha sbagliato: ma il partito, il Paese e il popolo sono più importanti degli uomini» (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 5 luglio. A cinque giorni dall'improvvisa e clamorosa estromissione di Alessandro Rankovic da tutte le cariche del partito e dello Stato, Tito ha ritenuto opportuno rivolgersi al popolo jugoslavo con una drammatica denuncia dell'esistenza di una potenziale opposizione regionalistica nel Paese, con un drastico ripudio della accusa di «liberale », con un appello dagli accenti eroici a, proseguire sulla via nazionale al socialismo. Del discorso, tenuto nel pomeriggio a Brioni ad una delegazione di ex combat tenti, è in particolare sorprendente l'esordio : « Qui dove di anno in anno tutti i responsabili negano sempre più nettamente che sia rimasta qualsiasi traccia delle rivalità del passato nelle sei Repubbliche federa te di Slovenia e Montenegro, Bosnia e Macedonia, Croazia e Serbia, elementi nazionalisti, come ho denunciato già nel '62 al Politburo, hanno rialzato la testa in Serbia ci sono i residui dei cetnici, in Croazia degli ustascia, in Slovenia della guardia bianca; sono tutti ancora vivi, pronti ad alzare la testa alla prima oc casione ». E' questa la parte che lascia stasera perplessi e attoniti sia i cittadini jugoslavi sia gli osservatori stranieri. Il resto rientra nella po lemica di occasione : « Sempre nel '62 avevo comincia to a denunciare la mancan za di buoni rapporti fra gli alti dirigenti jugoslavi e so prattutto il fatto che alcuni nostri compagni si erano chiusi in se stessi e non erano più attivi quanto avreb bero dovuto essere. Mi è di spiaciuto ora rompere la lun ga collaborazione con Rankovic; devo dire di essere assai triste per quello che è successo al compagno Marko (nome partigiano dell'ex vice-presidente), per molti anni mio più vicino collaboratore, cresciuto sotto le mie mani: ma il partito, il popolo, il Paese sono più importanti degli uomini ». E qui, un furioso attacco contro coloro — stampa occidentale soprattutto — che hanno visto negli eventi di questi giorni la vittoria del « liberale » Tito sul dirigista Rankovic : « Non avverrà mai in Jugoslavia quello che credeva Gilas, quello che adesso in Occidente pensano che stia accadendo. Ritengo negativo il liberalismo, negativo un atteggiamento liberale verso i dogmatici e gli sciovinisti nei cui confronti saremo più duri che mai, nei confronti dei separatisti e dei nazionalisti che vorrebbero influenzare le nostre file con le ideologie occidentali ». La traduzione è letterale per far sentire con quanta foga concitata il Maresciallo si sta difendendo dall'accusa di liberalismo. « Noi stiamo creando una vera democrazia e non possiamo permettere che i nostri buoni concittadini comunisti vivano nella paura: ci vivano i nostri nemici, quelli che pensano che faremo marcia indietro, che tentano di recare danno alla nostra edificazione socialista. Non l'Ubda (la polizia segreta che Rankovic dirigeva), ma gli operai devono informare il Comitato centrale della situazione nelle loro imprese: noi vogliamo dati veri, non quelli elaborati dalla polizia ». E con un ultimo monito ai nemici e un incitamento agli amici si chiude questo discorso, al quale non è facile far seguire un commen to. La foga della polemica appare in pieno contrasto con la calma assoluta nella quale il Paese ha accolto la defenestrazione di Rankovic: di ustascia, cetnici guardie bianche in agguato, nessuno in particolare è a conoscenza. Forse era nell'intenzione del Mare sciallo impiegare questi termini soprattutto come sanguinose offese verso dirigi sti di stretta osservanza (i dogmatici) o i fautori di una sempre maggiore liberalizzazione (gli sciovinisti) solo per far gravare mdsobpl'bteginl'upi maggiormente la minaccia del pugno duro contro qualsiasi opposizione di destra o di sinistra. Che poi il Presidente abbia sentito il bisogno di ripudiare con tanta violenza l'incredibile etichetta di liberale, dimostra come l'intero discorso possa essere giudicato di « copertura » : inteso cioè a reagire contro l'impressione, e la realtà, di un relativo liberismo della più 'recente linea politico- economica di Belgrado. E tutto il discorso dimostra, mi sembra, di quanta importanza sia stata la decisione di estromettere il n. 2 del regime, al quale nessuno può contestare la tendenza a difendere il vecchio dirigismo, a osteggiare la nuova linea. Per un vecchio militante come Rankovic, la vita di un Paese che continua a proclamarsi comunista non poteva non essere condizio¬ nata da un piano imperati- vo, da un partito in posi- zione di predominio, da una polizia in grado di fare in- tendere ragione ai rilut-i tanti. Già nel '62, quando sotto l'impulso di Kardelj si era cominciato a dare maggiore libertà alle aziende autogestite, Rankovic aveva dato battaglia e, con la polizia in mano, aveva avuto buon gioco a denunciare infiniti abusi, irregolarità, sperperi, illeciti arricchimenti, diffuso imborghesimento. Tito stesso era intervenuto con il discorso di Spalato, molta gente si era ritrovata in prigione, la liberalizzazione aveva subito un colpo d'arresto apparentemente definitivo. Le autorità cercavano di tenere duro, ma la situazione non migliorava: aumentava sì la produzione di anno in anno con percentuali notevoli, ma nella maniera più confusa e anti-economica: alla fine del '63, 2661 aziende denunciavano un passivo di 45 miliardi di dinari; al principio del '64 il 28 per cento delle nuove fabbriche risultavano costruite senza alcuna garanzia di finanziamento; sotto pressioni politiche sorgevano fabbriche nei posti più illogici. E dovunque, maestranze in soprannumero, produttività minima, costi massimi, utili nulli, costanti invocazioni all'aiuto statale. Una necessità economica più che una scelta politica imponeva di cambiare nuovamente rotta e, esattamente un anno addietro, Tito intervenne alla sua maniera, clamorosamente, varando la grande riforma. Oltre a svalutare il dinaro (oggi uguale a mezza lira ufficialmente ed un po' meno praticamente) per incoraggiare le esportazioni ed il turismo, si contengono gli investimenti affidando la scelta alle banche in base a criteri più economici; si consentono licenziamenti per aumentare la produttività e si preannuncia la chiusura di intere fabbriche « politiche » ; si decide di liberalizzare i prezzi con un processo progressivo ancor oggi in corso. Anche questa nuova strada è dura ma la gente sembra affrontare la prova con speranza e fiducia : « liberalizzazione » è parola che non perde tutto il suo fascino nemmeno all'Est di Trieste. Ora il discorso di Tito non apporta certo qualche luce sul difficile cammino che attende il popolo jugoslavo (e non teniamo conto dei misteriosi accenni ad ustascia, cetnici e guardie bianche). Rankovic, che quanto meno non era entusiasta della nuova linea economica, è estromesso dalla scena; mentre il Maresciallo respinge con disdegno la qualifica di liberaleggiante, sono intenti all'opera di riforma gli uomini meno dirigisti del Paese. In questa situazione così poco chiara non sarà forse incoerente ricordare l'unica cosa certa che riguarda non le ideologie ma le persone: dal 1° luglio non esiste più un delfino del Maresciallo il gioco è aperto per tutti, sarà una oligarchia al momento buono a dividersi (o a contendersi) il potere. Per il momento ha ragione il Viesnik di Zagabria che sta mane, sopra una grande fotografia del Maresciallo, intitola a piena pagina: «Di Tito ce n'è uno solo ». . Giovanni Giovannini f - , «Si* mmtSrbuttntnnpcapnifszpni Il presidente jugoslavo maresciallo Tito (Telefoto)

Persone citate: Alessandro Rankovic, Brioni, Gilas