II nuovo «Piano verde» 900 miliardi in 5 anni di Giuseppe Medici

II nuovo «Piano verde» 900 miliardi in 5 anni II nuovo «Piano verde» 900 miliardi in 5 anni H secondo «Piano verde», che comporta per il prosai mo quinquennio uno stanziamento complessivo di 900 miliardi di lire, di poco inferiore ai 200 miliardi di lire all'anno, servirà a finan ziare investimenti produtti vi di singole aziende, a completare opere di bonifica e di irrigazione, a costruire impianti cooperativi per la trasformazione industriale dei prodotti agricoli e per il loro collocamento sul mercato; ed a colmare alcune gravi tradizionali carenze della ricerca, della sperimentazione, dell' assistenza tecnica e della lotta contro i parassiti delle piante coltivate. Non credo interessi mol to alla nostra opinione pub blica la polemica ideologi ca che pone in contrasto al cune correnti politiche ita liane, le quali, parmi, si attardano più sullo studio dei grandi testi del pensiero po litico ottocentesco che sul 10 studio della realtà della nostra agricoltura. Perciò se questo disegno di legge può essere criticato sul piano tecnico ed amministrativo, difficilmente lo può es sere come indirizzo politico, nel momento in cui la no stra agricoltura si accinge ad entrare a vele spiegate nel Mercato comune ; e quindi ha bisogno di aumentare la sua produttività, proprio per combattere gli squilibri che derivane dalla diversa efficienza delle aziende agrarie dei Paesi della Comunità. Aumentare l'efficienza, e quindi la produttività, è la strada maestra per ridurre le sperequazioni nella distribuzione del reddito agricolo europeo. A ciò tende il «Piano verde », il quale consiste essenzialmente in un provvedimento finanziario — 150 miliardi di lire i pri mi due anni e 200 miliardi i successivi tre anni per il quinquennio 1966-1970 — 11 cui scopo è quello di stimolare e favorire il rinnovamento della nostra agricoltura, in gran parte ancora pre-capitalistica. Si dirà — ed è stato abbondantemente detto — che le somme stanziate sono del tutto insufficienti, anche se determineranno investimenti assai maggiori, dato che esse rappresentano soltanto un parziale contributo alla spesa delle opere progettate. Si dirà che le erogazioni di questi contributi hanno un alto costo di amministrazione e, soprattutto, un lungo tempo di erogazione, che talvolta scoraggia le più generose iniziative. Si dirà che sarebbe stato più saggio togliere dalle spalle dell'agricoltore il grave fardello tributario. Ma a queste ed altre osservazioni è agevole rispondere che l'azione politica non può tradurre subito nella realtà un modello ideale che vive felicemente soltanto nell'empireo delle astrazioni logiche. Ecco perché il « Paiano verde » se può essere criticato, ed anche ragionevolmente in sede accademica, non lo può essere sul piano della realtà di un Paese che si trova nel mezzo della più grande rivoluzione agraria che abbia conosciuto la sua storia. Ecco perché bisogna cercare di uscire al più presto da questo troppo lungo periodo di snervante attesa; e approfittare di questi mesi per prepararsi a spendere subito e bene le'rilevanti somme messe a disposizione del disegno di legge. Tanto più che in un Paese come il nostro, dalle lente procedure amministrative, può essere addirittura provvidenziale questo lungo indugio legislativo che consente una più accurata progettazione esecutiva. Si aggiunga che, in un Paese sostanzialmente povero come è ancora l'Italia, 900 miliardi di lire in 5 anni, e cioè forse duemila miliardi di investimenti, possono rappresentare il colpo di rottura non più dei monopoli terrieri (infranti quin¬ dici anni or sono al tempo della riforma agraria) ma dei pericolosi monopoli di mercato e delle pesanti schiavitù derivanti all'agricoltura dalle sue insufficienze tecniche ed amministrative. ' * * Ho l'impressione che anche in Italia, come avviene in altri Paesi d'Europa, la politica agraria si attardi con eccessivo compiacimento su temi che furono cari ai nostri padri e che, pur essendo ancora attuali, hanno perduto gran parte della loro importanza produttiva. Ricordo fra tutti il quasi insolubile problema della ricomposizione fondiaria, tentata da chi scrive con successo in condizioni del tutto eccezionali, e in una limitata zona (alveo del Fucino), ma non ripetibili. L'ostilità profonda dei piccoli proprietari, più o meno coltivatori, e delle loro organizzazioni, là tenace tradizione in un culto esasperato della proprietà terriera, la non suprema prontezza dei nostri servizi catastali, tributari e notarili, e molte altre cause ancora mi fanno considerare questo problema, che sempre ritorna in discussione, come un labirinto dal quale è certamente difficile uscire e quando si riesce il costo sembra sproporzionato con l'impresa. Ora, per concludere, dirò che i profondi e decisivi problemi attuali dell'agricoltura italiana non sono di questa natura: essi sono analoghi a quelli posti e risolti con la costruzione della stupenda rete di autostrade che, nel 1970, darà al nostro Paese, in questo settore, una posizione di primato. E mi domando: perché non si può fare al trettanto per dotare la nostra agricoltura di un'analoga efficiente rete nazionale di mercati e di centrali orto-frutticole, di enopoli, di caseifici sociali, di oleifici cooperativi, in grado di mettere in valore la pregiatissima produzione agrico la, spesso sciupata proprio perché mancano gli impianti per conservarla o trasformarla in prodotti che il mercato europeo chiede in crescente copia ed è pronto a pagare a prezzi largamente remunerativi? Perché, come Tiri ci ha dato la rete autostradale, gli enti di sviluppo, i consorzi agrari, le cooperative, fra di loro federate, dando ban do a meschine rivalità, non si accingono ad affrontare il precisato problema stori co con l'entusiasmo che così grande impresa merita? Di questa natura sono : ^eri problemi che l'agricoltura italiana deve oggi affrontare e che il « Piano verde» in qualche modo asseconda. Giuseppe Medici

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