I frati di Mazzarino da stamane in Assise per la terza volta

I frati di Mazzarino da stamane in Assise per la terza volta Comincia il processo a Perugia I frati di Mazzarino da stamane in Assise per la terza volta Padre Agrippino e padre Venanzio furono condannati a 13 anni ciascuno per estorsione e associazione a delinquere DAL NOSTRO INVIATO Perugia, lunedì mattina. O i frati del convento di Mazzarino sono dei banditi perché hanno indotto taluni possidenti siciliani a versare del denaro per avere una vita tranquilla o sono anche loro delle vittime che hanno agito in stato di necessità. Una volta, i giudici della Corte d'Assise di Messina li hanno ritenuti in perfetta buona fede e li hanno assolti; un'altra, i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Messina li hanno ritenuti colpevoli e li hanno condannati a 13 anni di reclusione. La Cassazione non è rimasta affatto convinta di quest'ultima sentenza, l'ha annullata, ha affidato l'esame del caso ad una terza Corte d'Assise scelta questa volta lontana dalla Sicilia. E stamane il processo ha inizio a Perugia. Da principio, i frati incriminati furono quattro. Uno di loro, padre Vittorio, guardiano del convento, riuscì a dimostrare con notevole facilità di essere rimasto coinvolto nella vicenda soltanto per un equivoco e fu assolto per non avere commesso il fatto; padre Carmelo, il più anziano il più autorevole per la sua eloquenza possente e per la sua saggezza profonda, è morto Io scorso anno ormai ottantaquattrenne ed avvocati e giudici a lui dovranno riferimento soltanto perché in questa storia ha avuto un ruolo importante, se non importantissimo: fu lui che si assunse il compito di convincere i ricattati a pagare il prezzo del ricatto e di farsi consegnare il denaro che poi egli versava ai banditi ovvero al giardiniere del convento. Sulla scena rimangono due frati: padre Venanzio, al secolo Liborio Marotta, e padre Agrippino, al secolo Antonio Jaluna. Padre Venanzio e padre Agrippino furono arrestati la notte del 16 febbraio 1960. I carabinieri andarono a prelevarli mentre dormivano nelle loro celle in convento. Rimasero In carcere per oltre un anno, sino a quando i giudici della Corte d'Assise li assolsero. Poi, furono condannati dalla Corte d'Assise d'Appello a 13 anni ma sempre liberi sono In attesa che si concluda questa vicenda. Anche se dovessero essere condannati a Perugia rimarrebbero in libertà perché l'eventuale sentenza verrà eseguita soltanto dopo l'esame della Cassazione. Questa storia ha inizio la sera del 5 novembre 1956 quando alle 7 di sera la pace del convento di Mazzarino venne rotta da alcuni colpi d'arma ria fuoco. Qualcuno aveva sparato contro padre Agrippino che stava pregando nella sua cella. Un mese dopo l'ortolano del convento. Carmelo Lo Bartolo, avvertì padre Agrippino che gli attentatori erano sul punto di distruggere il convento se non avessero avuto subito del danaro. Da quel momento padre Agrippino, un religioso nato a Mineo in Sicilia nel marzo 1923, diventò il succubo di questi malfattori che egli non vide mai ma dei quali sentì soltanto parlare da Lo Bartolo. L'ortolano trasmetteva le richieste dei banditi e padre Agrippino procurava il danaro. Il religioso s'era confidato con padre Venanzio e con pa dre Carmelo e tutti avevano trovato opportuno esaudire sempre i desideri dei malfattori. In questo modo i tre padri convinsero il farmacista Ernesto Colajanni a versare due milioni per non subire altre noie dopo che una notte qualcuno gli aveva incendiato la farmacia. Un possidente. Angelo Cannada, reagì, non subì le imposizioni del frati o, secondo la tesi difensiva, non accettò 1 consigli dei frati e fu aggredito ed ucciso Per quattro anni, però, tutto rimase avvolto nell'ombra. Poi, i carabinieri arrestarono l'ortolano Carmelo Lo Bartolo fuggito a Genova e 1 frati insieme con i tre « terrazzieri » Giuseppe Salenti, Antonio Anzolina e Filippo Nicoletti Processo in Corte d'Assise a Messina. Padre Carmelo sintetizzò la tesi degli altri 6UOi confratelli. Ammise di avere indotto le vittime a versargli i denari che poi aveva trasmesso ai «banditi»: ma lo aveva fatto a fin di bene. « Fra 1 due mali — disse — consigliai di scegliere quello minore: se non fosse stato versato quel denaro, i ricattati sarebbero stati uccisi e il nostro convento sarebbe stato distrutto ». Risultò pure che l'opera di convincimento a versare il denaro fu compiuta anche nei confronti di uno o due confratelli e persino del padre provinciale. Al dilemma se i frati avessero agito in buona o in malafede i giudici risposero con una sentenza di assoluzione. La sentènza suscitò vaste polemiche e i giudici della Corte d'Assise d'Appello, sempre a Messina, giunsero a conclusioni completamente opposte. I frati — dissero nella loro sentenza con la quale confermarono la condanna dei laici ma condannarono padre Carmelo, padre Agrippino e padre Venanzio a 13 anni ciascuno per estorsione e per associazione a delinquere — non hanno diritto di avere paura. g- g-