L'enigma del palazzo di Ugo Buzzolan

L'enigma del palazzo L'enigma del palazzo Una mattina Antonio dulia sua finestra guardava il palazzo. Era un palazzo che sorgeva • piedi della collina., al di là del fiume: una costruzione perfida, massiccia, con grandi colonne sulla facciata c una miriade di piccole finestre. Lo vedeva sin da quando era bambino, una volta aveva chiesto a suo padre cosa fosse e il padre gli aveva detto: « Bello, eh? Roba dello Stato»; ed egli era rimasto soddisfatto della risposta. Ma gli anni erano passati e ora Antonio era diventato un giovane battagliero c ficcanaso. Perciò quella mattina rifece al padre la domanda: « Cos'è? ». « Bello, eh — rispose il padre — roba dello Stato ». « Sì, vn bene, questo lo so — disse Antonio — ma cosa ospita? ». Il padre corrugò la fronte. « Adesso che ci penso... che strano, non ne ho la più pallida idea... uffici statali, suppongo... sicuro: ospita degli uffici statali ». « Bella scoperta, papà: ma uffici statali ce ne sono treccntomila... Di che tipo? Di che grado? Con quali funzioni? ». 11 padre lo guardò al di sopra degli occhiali e allargò le braccia. « Ho capito — disse Antonio — vado a dare un'occhiata ». Il padre gli gridò dietro: « Ragazzo mio, prudenza. E' roba dello Stato, non metterti nei guai...». Visto da vicino il palazzo era ancor più gigantesco e la facciata era adorna di aquile, di stemmi e di uomini nudi con la barba e con un libro in mano. Antonio sali la scalinata e con passo deciso entrò nell'atrio che pareva quello di una stazione. In fondo all'atrio c'erano alcuni tavoli e nugoli di uscieri in divisa col berretto filettato d'oro. Ne abbordò uno e gli chiese quale ministero o ente o istituto avesse sede nell'edificio. L'usciere lo guardò con sospetto. « Ma lei con chi vuol parlare? ». « Con nessuno. Desidero soltanto sapere quello che ho domandato. Lei stesso mi può rispondere ». « Io sono un avventizio e non sono autorizzato a ifrtl'atteìiermi col pubblico. C'è l'ufficio centrale informazioni per questo: secondo piano, reparto F, corridoio g, terza porta ». Tutto era mastodontico; l'ascensore pareva un salotto; lo manovravano due fattorini e tanto per dire qualcosa Antonio esclamò: « Molto lavoro, eh? »; uno non aprì bocca, l'altro mormorò:. « E' la prima volta in tanti anni che questo ascensore si muove ». L'ufficio centrale informazioni era pieno di impiegati dal viso annoiato e impassibile inquadra to nel vano degli sportelli. An tonio ripete la solita domanda e l'impiegato cui si era rivolto trasalì, si guardò attorno smarrito poi borbottò: « Un momento » alzò il telefono e sussurrò alcune parole; quindi disse: « Il sovrainrendente agli uilici d'informazione l'aspetta. Per di là ». Antonio lece un'anticamera di quasi un'ora. Quattro uscieri in divisa — una divisa altrettanto imponente ma diversa da quella dei colleghi del vestibolo — oziavano in un angolo. « Ha molto lavoro, il sovraintendente » disse il giovane. Uno dei quattro crollò la testa « Mica tanto, mica tanto... l'ultimo visitatore risale al 1949. Ed era uno sbaglio ». Finalmente la porta del sovraintendente si dischiuse. Lo studio era vasto e lussuoso, il soffitto aveva degli affreschi, alle pareti erano appesi quadri antichi d'alto pregio; Antonio studiava appunto storia dell'arte e riconobbe subito un Pittoni, un Furini e una scuola di Pietro da Cortona. Il sovraintendente era un uomo piccolo e tozzo con i baffetti e sedeva ad una scrivania smisurata: la scrivania era ingombra di lampade e di telefoni ma non vi si vedeva un solo foglio. Ai lati c'erano due dattilografe con i loro tavolinetti e le loro macchine per scrivere: una, bruna c occhialuta, un po' si guardava le unghie e un po' leggeva un libro; l'altra, bionda e carina, con le lunghe gambe accavallate, esaminava Antonio con un dolce sorriso d'interesse « Desidera? » fece il sovraintendente. « Sono un cittadino » rispose Antonio schiarendosi la voce « e desidero sapere quale organismo statale ha sede in questo palazzo ». Il sovraintendente emise un sospiro. « Noi siamo quj per dare informazioni di carattere interno, vale a dire siamo qui per indirizzare il pubblico nei varii uffici oitde risparmiare a tutti tempo e fatica... ma non siamo allatto tenuti a dare informazioni di carattere generale... Lei per caso ha una pratica da sottoporre al nostro esame? ». « Come posso avere una pratica — replicò il giovane — se non so nemmeno che razza di ente sia il vostro? ». « Allora — gridò l'altro diventando rosso e battendo il pugno sul tavolo — non si viene qui ad arrecare disturbo e confusione! La sua presenza, qui, è ingiustificata! ». « Ma io voglio sapere... » gridò a sua volta Anto¬ nio. Il sovraintendente aveva già suonato un campanello e i quattro uscieri erano comparsi. « Mettete alla porta questo seccatore! » ordinò il sovraintendente. Antonio ebbe ancora il tempo di cogliere uno sguardo di simpatia della biondina e subito venne afferrato, trascinato via e mentre elevava una vibrante protesta si trovò in un attimo al pianterreno e poi fuori in strada. Ma non era tipo da scoraggiarsi. Cominciò a camminare attorno al palazzo: non aveva né piani ne idee, ma era ben deciso a risolvere l'enigma. Proprio nel retro dell'edificio, in una rientranza che formava una specie di cortile, vide una porta minuscola. Saggiò la maniglia, niente da fare, la porta era solidamente chiusa. Stava allontanandosi quando si sentì chiamare da una voce misteriosa e gentile simile a quella che di solito, nelle fiabe, viene fatta scendere dal ciclo. Benché scettico circa fenomeni soprannaturali, guardò istintivamente in alto; c scorse dietro l'inferriata di una finestra la bionda e bella dattilografa del sovraintendente. « Vuole entrare? — chiese sottovoce la ragazza — svelto, le apro io ». Il piccolo uscio si spalancò e Antonio s'infilò in un lungo corridoio in penombra. La biondina lo attirò nel vano di una finestra, abbracciandolo. « Mi dispiace — sussurrò — mi dispiace tanto che le abbiano fatto male... ». Antonio stava per rispondere ma la ragazza serrandogli forte le mani dietro il collo lo baciò sulla bocca. « Va meglio, adesso? » gli mormorò. Antonio, inebriato, la baciò a sua volta e la spinse nel punto più buio del corridoio. « Oh, ma adesso stia bravo — disse poi la biondina riaggiustandosi — se non sbaglio lei è venuto per avere notizie precise sul palazzo... Mi segua, la farò parlare con una persona che è in grado di svelarle ogni segreto ». Presero un ascensore di servizio e la dattilografa premette il bottone dell'undicesimo piano, cioè dell'ultimo. Prima di uscire Antonio cercò di abbracciarla ancora. <s Ah no, basta — disse lei — la prego.;, sono fidanzata, mi sposo il mese prossimo ». L'ultimo piano era suddiviso in centinaia di stanze e di in terminabili corridoi grandi co me gallerie. In ognuna delle stanze c'erano anziani impiega ti i quali leggevano il giornale o sbadigliavano guardando le mosche sul soffitto o si mette vano le dita nel naso o nelle orecchie: i tavoli erano vuoti gli scaffali erano vuoti. « Ecco — disse la ragazza e ancheggiando lo precedette in un ufficio dove sedeva un vec chictto con i capelli bianchi tagliati a spazzola — questo è mio nonno... fra qualche settimana, per limiti d'età, se ne va anche lui... lui sa tutto ». Il vecchietto si pose un dito sulle labbra, indi chiuse l'uscio si risedette e cominciò: « Caro giovane, tu desideri sapere quale ente abbia sede in questo palazzo... Nessuno ti può rispon dcre per il semplice fatto che da molti anni nessuno lo sa. Io fui assunto nel 1913 in seguito alla raccomandazione di uno zio che era stato compagno d'armi del fratello del segretario di un ministro. Già allora non si sapeva esattamente cosa ci fosse qua dentro: chi diceva che era una dipendenza del ministero dell'Agricoltura, chi un istituto per l'assistenza al Meridione, chi addirittura un ente in liquidazione dell'antico regno delle Due Sicilie... La verità è che io in più di cinquant'anni di servizio non ho mai avuto la possibilità di fare nulla, non ho mai visto una pratica, dico una, passare sul mio tavolo, non ho mai spedito né ricevuto una lettera. Ti rendessi conto, caro giovane quant'è faticoso npn far nulla!... Nelle mie stesse condizioni, naturalmente, si trovano rutti gli altri, dagli uscieri agli impiegati, dai capi divisione sino al direttore generale: più di ducutila ga lantuomini che, letti i giornali del mattino, aspettano invano un lavoro che non arriva mai, chiacchierano, contano le mattonelle del pavimento o le crepe del muro o le nuvole di pas saggio o le foglie degli alberi giù nel viale ». « Lei non ha mai protestato? ». « E come! Chiesi schiarimenti nel '17 ma poiché eravamo in guerra mi [acciaro no d'essere una spia al soldo del l'austriaco e per poco non finii al muro. Riavutomi dallo spa vento, riprotestai con cautela nel '33 ma poiché eravamo sotto il fascismo fui accusato di scarsa fede patriottica, di sovversivismo e di disfattismo, mi tolsero la tessera, mi bastonarono e mi sbatterono al confino nelle isole Cremiti Protestai un'ultima volta nel 194S ma mi dissero che era in corso l'urgente ricostruzione materiale e morale del paese e che problemi del genere dovevano essere affrontati con calma e prudenza in un secondo tempo. Conclusione: mi sono stufato e da vcnr'anni mi limito ad aspettare il momento di essere collocato a riposo ». Antono rincasò eccitatissimo Parlò al padre e il padre allibì « Non t'impicciare! lascia perdere, fa' tìnta di niente... ». « Papà — rispose Antonio — tu con queste teorie ci sei sempre farro mettere i piedi sul collo da chiunque, mamma compresa lo sono un giovane cittadino, devo avere fiducia nello Stato Segnalerò lo sconcio alle massime autorità ». Scrisse una lettera di otto pagine, la firmò e la spedì. Il padre girava per la casa tenendosi la testa fra le mani e gemendo: «Siamo rovinati, ci processeranno, finiremo tutti in galera ». Ma un giorno, parecchi mesi dopo, tornando Antonio dalla Università, fu accolto con entusiasmo dai genitori. La madre aveva le lacrime agli occhi, il padre era gonfio d'orgoglio. « Hanno telefonato da molto, molto in alto — esclamò la madre — e ci hanno comunicato che la tua protesta è stata riconosciuta valida». iE non cre¬ dere che siano parole a vuoto rincalzò il padre trascinandolo alla finestra — guarda, sono già passati all'azione... Vedi quella villa ottocentesca di quattro piani, circondata da un parco, che è a meno di cento metri dal palazzo? Bene, nei giorni scorsi lo Stato l'ha comperata, ora la farà demolire e al suo posto costruirà un grandioso edificio destinato negli anni futuri ad accogliere la commissione penna nentc d'inchiesta che dovrà in daga re sul nome, sulla natura e sulle funzioni dell'ente ospitato nel palazzo... ». Ugo Buzzolan L'attore Glenn Ford al Festival con la moglie (Telef.)

Persone citate: Furini, Glenn Ford, Pittoni

Luoghi citati: Cortona