Orson Welles

Orson Welles DA "QUARTO POTERE,, AL "FALSTAFF,, Orson Welles Valeva la pena, al di là pe-|ròdei motivi politici, di «sacri- vficare» La guerre est finte — dil film di Rcsnais da Scmprun dsulla lotta antifranchista — per poter esporre a Cannes l'ultimo\KOrson Welles, Falstaff? La ri- ssposta esige, elemento che a'vnoi manca, la conoscenza diretta delle due opere. Non c'è dubbio comunque che questo film susciti già in partenza, a « scatola chiusa », motivi di grande interesse: la personalità dell'autore è una delle più spiccate e al tempo stesso discusse del cinema attuale. Basti il rimando a un severo giudizio di Chaplin, che peraltro coinvolgeva più l'uomo che il regista Welles, da una parte; e, dall'altra, l'esplicito dichiararsi debitori nei suoi confronti di molti registi della « nouvelle vague ». Si dice che Welles pensasse da venticinque anni alla realizzazione di Falstaff. Ciò non meraviglia affatto, e per ragioni diverse e concomitanti. Al pari di Olivier egli ha diretto e interpretato sul palcoscenico Shakespeare; tra le sue produzioni teatrali vanno ricordate, oltre a Macbeth e Otello — di cui ha fatto le versioni cinematografiche —, Romeo e Giulietta, Giulio Cesare, in abiti moderni, Re Lear; e di Shakespeare ha curato un'edizione critica. Al pari di Olivier, è inoltre convinto che se nell'epoca elisabettiana fosse esistito il cinema, Shakespeare sarebbe stato il più grande scrittore di film: si può dire che costruisse sceneggiature quando spezzettava l'azione in una serie di piccoli quadri anticipando così la tecnica dello schermo, impaziente com'era, e come si dimostra in molti suoi drammi, delle limitazioni paralizzanti del palcoscenico. A queste dichiarazioni di Olivier rimanda, proprio a Cannes, Welles quando afferma che al teatro non si sente più portato, considerandolo un magnifico anacronismo. « Se Shakespeare vivesse oggi, sarebbe un uomo di cinema ». Dà venticinque anni," precisamente da quando uscì il capolavoro di Welles, appunto nel 1941, Citizen Kane, da noi apparso col titolo Quarto potere e in versione assai ridotta, la stessa che viene riproposta in questi mesi estivi. Fu un film anticipatore rispetto a tanta avanguardia, vera e presunta, che sarebbe venuta dopo. Ragazzo prodigio, « enfant terrible » nella sua molteplice attività di giornalista e autore drammatico e romanziere, critico letterario e politico (ha steso molti discorsi di Roosevelt, di cui fu anche consigliere), attore, produttore regista teatrale e cinematografico, Welles si serviva già allora, anzi allora più di oggi forse, di una tecnica tutt'altro che elementare, complessa, e, potremmo dire con Baudelaire, percorsa dal piacere di meravigliare e dalla soddisfazione orgogliosa di non essere mai sorpreso. Nel suo virtuosismo, nelle sue strutture complicatissime e ricercate, spesso « barocche », egli contribuì tuttavia a dare del concetto bergsoniano di tempo una nuova interpretazione, che costituisce insieme un « affinamento » e una « deviazione ». Questa nuova misura del tempo, come Hauser sottolinea, rompe gli argini in cui esso scorre veloce, dove l'ordine cronologico delle esperienze cede alla commutabilità dei contenuti della coscienza, alla corrente di ricordi e di associazioni, venendo a costituirsi quale caratteristica del film, dal film come dal romanzo moderno (Proust, Joyce, Kafka) risulta acuita. Spetta appunto a Welles il merito di aver riproposto, con evidenza, e nel 1941, l'origine e la struttura cinematografiche. Citizen Kane costituisce al riguardo un caso esemplare. Quel che il protagonista è, in questo film, direbbe Hauser, — uomo dalle molte facce, le cui decisioni hanno non una ma tutta una serie di motivi — lo diventa non soltanto nel tempo, ma grazie ad esso, percorso com'è senza una direzione fissa ma acronologica: Kane è la somma dei singoli momenti della propria vita, e insieme il prodotto di nuovi aspetti che acquista a ogni attimo attraverso il fluire dei pensieri. Pur nell'ambiguità voluta, nelle molte e diverse facce che del grande Kane il film offriva, non sfugge a un'acuta osseiva- prpptpdnedtsrgslrnfrsstvfvcpidrfifiseelpessnlgcpssg«acds1ccrmdtvpcsar trice quale Simone de Beau voir, una critica (diretta o in diretta) sulla condizione della donna nella nostra società, Wcllcs ha incarnato in Citizen Kanc, afferma, il razzismo na scosto nella falsa verso il «secondo gcnerostta sesso»: il protagonista decide di soffocare con i suoi doni un'oscura, piccola attrice e di imporla al pubblico come una grande cantante, solo per affermare la propria potenza di uomo: è evidente che, immaginandosi donatore, liberatore, redentore, egli, vale a dire l'uomo, vuoe ancora l'asservimento della donna. Persino la bella addormentata nel bosco, aggiunge, può svegliarsi di cattivo umore, non riconoscere in colui che la sveglia un principe azzurro e non sorridere; così accade a Kane, la cui protetta ha piuttosto l'aria di una oppressa, la cui generosità si manifesta come affermazione di potenza e di tirannia. La donna dell'eroe resta indifferente al racconto dcle sue imprese, la Musa che fa sognare il poeta sbadiglia alla ettura dei suoi versi (è quanto del resto è accaduto nella vita privata di Welles, nei confronti di Rita Hayworth, osserva ancora la de Beauvoir: anche la star, se priva di un appoggio maschile, vede svanire il suo prestigio; abbandonata da Welles, Rita ha girato l'Europa con un'aria da povera orfanella prima di incontrare Ali Khan — e anche dopo averlo incontrato, si può aggiungere). E' conseguente che Welles finisca col dirigere, nel contesto dei mezzi espressivi di estrazione bergsoniana, // proeesso, libero trasferimento dell'omonima opera di Kafka pubblicato nel 1962. Altro film esemplare in merito anche alla sua constatazione del progressivo annullamento della personalità umana in genere: Welles afferma, del resto con ragguardevole impegno stilistico che nel mondo d'oggi non c'è più posto per colui che protesta, come direbbe Adorno; sostiene che uscire dall'ingranaggio, dal conformismo, dalla «alienazione» — o ribellarsi ad essi — significa andare incontro a morte sicura, approdare al suicidio. Nell'ambito concettuale Falstaff rimanda forse e per l'ap¬ punto al Processo, nel senso che ne è una continuazione tematica, una variazione; e non tanto per l'amicizia tradita, per i sentimenti che il protagonista nutre e ai quali crede, quanto per l'anticonformismo e il destino che lo attende: l'esilio e la morte. E forse anche per Wcllcs il personaggio, paragonato da critici illustri come Andrew Cccil Bradlcy agli stupefacenti sottili geniali Amleto, Jago e Cleopatra, si rivela e assume consistenza tutt'altro che semplice, e da leggersi su una sola dimensione. Guido Aristarco ■ìiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiitiiiiiiiinniiiiii iMiiiii

Luoghi citati: Cannes, Europa