Perché i giudici d'appello hanno ridotto la pena a Ippolito di Ippolito

Perché i giudici d'appello hanno ridotto la pena a Ippolito I motivi della sentenza depositati in Cancelleria Perché i giudici d'appello hanno ridotto la pena a Ippolito « L'attività criminosa del segretario del Cnen — secondo la sentenza — si riduce ad una serie di manifestazioni di favoritismi e clientelismi talvolta determinate dalle particolari condizioni di disordine amministrativo » - Nel processo di primo grado fu condannato all anni - In appello la pena fu ridotta a 5 anni e 3 mesi - Beneficiando del condono nel maggio scorso, è stato scarcerato - Ha ricorso in Cassazione (Nostro servizio particolare) Roma, 15 giugno. I motivi per i quali i giudici della Corte d'Appello, nei febbraio scorso, hanno notevolmente ridimensionato il caso di cui è stato protagonista Felice Ippolito con la conseguente riduzione a 5 anni e 3 mesi di reclusione della precedente condanna pronunciata dal Tribunale a 11 anni di reclusione per peculato, falso ed interesse privato sono stati indicati e spiegati in una sentenza depositata oggi in Cancelleria e raccolti in 196 pagine dattiloscritte. Perché, dunque, questo ridimensionamento e questa riduzione di pena che con l'intervento di due anni di condono ha consentito a Felice Ippolito di ottenere alla fine dello scorso mese di maggio la libertà provvisoria'.' Perché — questa in sintesi l'opinione della Corte d'Appello presieduta dal dott. Lenti, in contrasto ed in polemica con quanto aveva, invece, affermato in precedenza il Tribunale — l'ex segretario generale del Cnen ha unito coii'assumere iniziative e funzioni che non gli spettavano soltanto perché questo gli venne consentito dalla interpretazione errata data alla legge dagli organi direttivi e di controllo dell'Ente nucleare; perché si deve fare una netta distinzione ira illeciti amministrativi ed illeciti penali; perche non hanno alcuna consistenza le imputazioni di peculato « ecunoniicamtnte più gravi » che gli sono state contestate; perché non risulta che egli abbia ideato un piano < per esautorare gli organi direttivi del Cnen e diventare cosi il padrone assoluto dell'Ente nucleare > e per costituire delle società attraverso le quali « sfruttare ii Cnen >. « Tutta l'attività criminosa di t'elice Ippolito — hanno sottolineato i giudici nella loro sentenza — si riduce ad una serie di manifestazioni di favoritismi e di clientelismi e di leggerezze facilitate, per altro, e talvolta determinate ■ dalle particolari condizioni di disordine amministrativo ed organizzativo di un ente in vorticosa crescita. In definitiva, ove si eccettuino gli episodi relativi all'anticipo della liquidazione e la riscossione della indennità di preavviso, l'azione criminosa di Ippolito non dimostra un preordinato disegno di trarre un profitto economico dalla carriera ». « D'altro canto — hanno anche osservato i giudici per giù. stiheare la concessione delle attenuanti generiche in precedenza negate dal Tribunale con una severità apparsa eccessiva — debbono essere valutate positivamente le realizzazioni dovute all'attività di Felice Ippolito e l'impulso derivatone all'Ente, né possono essere ignorati i suoi meriti scientifici e professionali ». II primo problema che la Corte d'Appello ha affrontato è stato quello relativo alla legittimità delle iniziative assunte da Ippolito come segretario generale del Cnen. I giudici hanno osservato come indubbiamente l'ente nucleare non possa essere regolato dalle norme che disciplinano l'attività dello Stato perché «se così fosse verrebbe meno la ragione che Ita portato alla creazione di un ente separato ». ma hanno escluso anche che possa essere considerato una grande industria e che di conseguenza, come invece è stato sostenuto dai difensori avvocato Adolfo Gatti e prof. Giuseppe Sabatini, Felice Ippolito abbia agito come un qualsiasi dirigente di industria. Ed allora? Allora, hanno affermato i giudici della Corte d'Appello seppure nei confronti del Cnen non possono applicarsi le noime che regolano la contabi lità dello Stato è vero che avrebbero dovuto essere predisposti degli schemi che la legge prevede « per evitare eventuali arbitrii e per assicurare gli opportuni controlli » Sennonché questi schemi non sono stati predisposti dagli organi direttivi del Cnen ed è stata data una interpreta zione alla legge tale, che consentì in pratica a Felice Ippolito di assumere poteri deliberanti anziché essere, come segretario generale, soltanto un esecutore di disposizioni « Questa interpretazione — hanno osservato i giudici — sostenuta anche dall'ufficio legislativo del ministero dell'Industria aveva ottenuto il crisma dell'ufficialità né si pub dir che sia stato Ippolito a suggerirla o a determinarla poiché essa si era già imposta prima che Ippolito venisse nominato segretario generale. Si deve concludere che Felice Ippolito operò ir. un regime di immanente illegalità, ma ciò avvenne per una errata interpretazione della legge». Tutto questo però. non esclude una responsabilità pe- e d e o — — r a i i ò naie di Felice Ippolito: semmai, per la Corte d'Appello, la ridimensiona entro limiti più circoscritti per cui l'ex segretario generale del Cnen è colpevole per tutto ciò che di illecito può avere fatto indipendentemente dall'attribuzione di funzioni che secondo la legge non avrebbe potuto avere. Fra le numerose accuse contestate a Felice Ippolito vi era quella — peculato per appropriazione — relativa alla mancata iscrizione nel bilancio di un fondo costituito con la somma di 28 milioni di lire versati dalla Banca Nazionale del Lavoro al Cnen come una erogazione speciale. Poiché risulta che Felice Ippolito non abbia fatto alcun prelevamento per uso proprio da questo fondo, nel quale anzi versò 1 milione e 219 mila lire di sua pertinenza; poiché risulta che la non iscrizione nel bilancio dell'ente nucleare ebbe soltanto lo scopo di consentire l'uso di questo fondo senza alcun sindacato, i giudici sono giunti alla conclusione che l'ex segretario generale del Cnen deve essere chiamato a rispondere soltanto di quelle erogazioni prelevate da questo fondo per raggiungere fini che non erano previsti dalle norme statutarie dell'ente: ad esempio, sovvenzioni a giornali, abbonamenti a settimanali o a riviste estranee alla attività nucleare, ecc. Poi, la Corte è passata ad esaminare le altre imputazioni per giungere quasi sempre a conclusioni in contrasto con quelle prese lo scorso anno dal Tribunale Liquidazione di !,0 milioni: secondo l'accusa. Felice Ippolito, pur essendo stato nominato consigliere dell'Enel mantenne di fatto la carica di segretario generale del Cnen per cui non avrebbe avuto alcun diritto ad avere la liquidazione. « La trasformazione del rapporto di lavoro — ha osservato la Corte d'Appello — fu decisa in sede politico. Ippolito avrebbe avuto diritto soltanto a percepire l'indennità di preavviso che, anziché per intero, avrebbe dovuto essere liquidata al SO per cento perché Ippolito era dimissionario ». In sostanza, l'ex segretario generale del Cnen avrebbe incassato 809 mila e 99-1 lire in più di quello che gli spettava Viaggi: secondo l'accusa, ma anche secondo la Corte d'Appello, Ippolito non avrebbe dovuto addebitare al Cnen le somme ;.>ese per i viaggi compiuti dalla moglie a Palma de Majorca e Palma Beach ad Oslo quando accompagnava il marito in missioni ufficiali Per queste spese. Ippolito percepiva già una congrua indennità. E per il medesimo motivo, Ippolito deve essere ritenuto responsabile per le spese sostenute nel revocare i viaggi in vagone letto per Cortina, revoca sia pur dovuta ad impegni di lavoro sopravvenuti, così come per avere usato du macchine del Cnen durante la sua permanenza a Cortina durante le vacanze inver nalì. « Si tratta di episodi che hanno scarsa rilevanza obietti va — hanno osservato i giudici — ma che costituiscono -[una significativa dimostrazione dFvspsIcrpitd■ della singolare mentalità di Felice Ippolito che considerava tutta l'organizzazione costosa del Cnen a sua disposizione per soddisfare le proprie personali comodità». Società: secondo l'accusa, Ippolito ha costituito delle società per affidare loro del lavoro del Cnen. Per la Corte d'Appello si tratta dì una accusa inconsistente perché tra l'altro, Girolamo Ippolito, titolare di una di queste società e padre dell'ex segretario generale, rifiutò un progetto offertogli dalla Cassa del Mezzogiorno perché sovraccarico di lavoro, senza tenere conto che il comportamento di Girolamo Ippolito « pioniere e maestro in Italia di idraulica sanitaria » non è riconducibile al piano criminoso ipotizzato dall'accusa». E che, dopo il luglio 1961, quando cioè vennero costituite le società collegate con quella del padre di Felice Ippolito, la impresa di Girolamo Ippolito] non ebbe più incarichi dall'Ente nucleare. Questa argomentazione ha indotto i giudici ad assolvere gli altri imputati, come Girolamo Ippolito ed Emilio Rampolla Del Tindaro, i quali hanno fornito la prova che avevano costituito quelle società soltanto per poter consentire ai tecnici italiani di affrontare all'estero la concorrenza di poderosi complessi stranieri. Rapporti con VEuratom: secondo l'accusa, Ippolito « per acquistare prestigio nel mondo nucleare » versò all'Euratomuna somma di 870 milioni nonostante il parere contrario del ministero delle Finanze per il pagamento delle tasse sulle costruzioni fatte ad Ispra dal Cnen e cedute secondo un accordo internazionale all'Ente nucleare europeo. La Corte ha osservato che ii parere negativo del ministro delle Finanze era stato in pratica superato. Per quanto il suo caso sia stato ridimensionato (il pubblico ministero al Tribunale chiese la condanna a 20 anni di reclusione), Felice Ippolito non si è arreso alla decisione della Corte d'Appello. Ha presentato ricorso in Cassazione perché sostiene di essere innocente. Guido 'Guidi Il prof. Ippolito ieri con la figlia a Roma (Tel. A.P.)

Luoghi citati: Cortina, Ispra, Italia, Oslo, Roma