Se crescono gli aspiranti all'atomica la responsabilità è anche di De Canile di Vittorio Gorresio

Se crescono gli aspiranti all'atomica la responsabilità è anche di De Canile La lunga conferenza del disarmo riprende a Ginevra Se crescono gli aspiranti all'atomica la responsabilità è anche di De Canile La massima preoccupazione per la sicurezza del mondo è che altri paesi, dopo la Cina, vogliano armi nucleari: Egitto, India, Pakistan, Giappone... - Si discute da tempo un accordo per la «non-proliferazione» atomica - Ma la Francia non vuol saperne; America e Russia non sono abbastanza concordi, per offrire agli Stati non nucleari una garanzia congiunta ; ed infine c'è, grave e insoluto, il problema delle due Germanie (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, giugno. Nella sala delle riunioni all'ottavo piano del palazzo che ospita la United States Mission al numero 80 di rue de Lausanne, i consiglieri americani presso la Conferenza del disarmo tengono circolo. Da un mese la Conferenza ha interrotto i suoi lavori, e la sospensione è stata utile per riconsiderarne le prospettive, anche perché i risultati deludenti che ha ottenuto a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli Esteri nella Nato mostrano l'urgenza di cercare per altre strade le possibili garanzie della sicurezza europea. A Bruxelles non si è avuto, come alcuni speravano, l'inizio di un dialogo distensivo tra le potenze atlantiche e i paesi del Patto di Varsavia: era pronta a questo fine una specifica proposta danese, ma vista l'aria che tirava, poco favorevole a iniziative del genere, i danesi preferirono ritirarla senza neppure metterla in discussione. Ora De Gaulle andrà a Mosca con le mani libere, nessuno potrà impedirgli di vantarsi di essere il solo occidentale che si batte per un superamento della politica dei blocchi, e c'è anche chi pensa che il generale si prepari a rilan ciare la sua vecchia propo sta del febbraio 1965 per un trattato di sicurezza europea, garantito dalle due potenze nucleari del continente, cioè la Francia e l'Unio ne Sovietica. Gli americani ne ammet tono l'eventualità, per quanto incredibile possa apparire. Sarebbe questa l'Europa gollista « dall'Atlantico agli Urali », con la Francia al cardine occidentale, la Russia a quello orientale, e in mezzo una Germania da riunificare, denuclearizzata; la Gran Bretagna esclusa, e tutti gli altri paesi destinati a gravitare attorno ai due poli di Parigi e di Mosca. E' il grande sogno politico di De Gaulle, ed è la condizione che egli porrebbe per sottoscrivere l'adesione della Francia ad un trattato generale per la non proliferazione delle armi nucleari e per la sua partecipazione alla conferenza ginevrina del disarmo, dove attualmente rimane vuota la sua poltrona, la diciottesima. E' stato un bene che i diciassette altri paesi abbiano interrotto i lavori dando il passo ai quattordici che dovevano incontrarsi con la Francia a Bruxelles. La riunione della Nato ha così avuto la sua funzione appropriata, che era quella di un preludio al necessario riesame di tutta la questione della difesa e del controllo degli armamenti, in Europa come nel resto del mondo. Lo stesso fallimento della proposta danese sta a dimostrare che il problema non si risolve nell'ambito della Nato, dato che investe tutti i continenti: « Una volta di più abbiamo avuto la prova — dice il consigliere americano ■ per gli affari del disarmo, William J. Gehron — che il punto chiave di tutto è un accordo per la non proliferazione delle armi nucleari. C'è almeno una dozzina di nazioni che nel giro di due anni possono procurarsi la bomba, anche nazioni non impegnate, fuori della Nato e. del Patto di Varsavia. Non sto a dirvi il pericolo ». Il 10 maggio scorso, quando i diciassette di Ginevra sospesero i loro lavori, il ministro degli Esteri indiano Swaran Singh si fece l'eco « dell'appassionato desiderio di tutti i popoli del mondo di vedere impedita la proliferazione nucleare ». Il giorno dopo, tuttavia, la signora Indirà Gandhi, primo ministro, alla presenza del suo stesso ministro degli Esteri, assicurava che l'India sarebbe diventata una potenza nucleare se le necessità della sua difesa l'avessero richiesto. Tre giorni prima era stato Nasser a dire la stessa cosa per l'Egitto, in una sua comparsa alla tv. Fra queste due dichiarazioni ne inserì una propria il governo giapponese, facendo sapere di essere in grado di prendere anch'esso le stra¬ de atomiche, quando fosse necessario. L'India e il Giappone così reagivano all'esplosione della terza bomba cinese, mentre per Nasser il pretesto era il solito: la minaccia che Israele impieghi il suo reattore da 24 megawatt di Dimona, nel deserto del Negev, per fabbricarsi una bomba al plutonio (si sa che dai fosfati del Mar Morto si ricava uranio). In India ed in Giappone le potenziali disponibilità di plutonio sono anche maggiori che in Israele, e quando l'India entrasse nella corsa nucleare, nessuno tratterrebbe il Pakistan dal parteciparvi a propria volta: esso ha, d'altra parte, già concluso di recente un accordo col Canada per la costruzione di un grande reattore nucleare. Di tutto ciò, l'ultimo giorno dei lavori della conferenza dei diciassette, gli americani diedero la colpa all'Urss: « Foste voi ad aiutare la Cina nei primi passi ». I russi tacquero sotto l'imputazione, tanto più giustificata quanto più amaro è il loro pentimento, e quanto più grande la loro diretta paura, probabilmente maggiore in Russia che in ogni altro paese del mondo. Ma poi, per ritorsione, accusarono gli americani di avere a loro volta un'altrettanto pericolosa propensione: cioè di favorire la Germania nelle sue innegabili aspirazioni — a dispetto di tutte le smentite — ad acI cedere anch'essa, direttamente od indirettamente, al rango di potenza nucleare. Seguì una rettifica americana, che poteva anche avere un significato preoccupante: « Confermiamo di essere contro la proliferazione, tuttavia sosteniamo che anche la discriminazione ha le sue difficoltà ». Non-proliferazione e non discriminazione sono termini non contraddittori, ma d'altra parte poteva sembrare grave e sintomatica una coincidenza: il giorno prima di queste polemiche a Ginevra, era diventato operativo il primo reattore nucleare della Germania Est, in una zona coperta dal segreto militare per un raggio di due miglia all'intorno. Poteva esserci motivo per gli americani di pensare che i sovietici riprendano con Ulbricht la stessa politica rischiosa a suo tempo iniziata — e poi precipitosamente abbandonata — con Mao. « In questo senso è del tutto assurdo che l'Urss accusi gli Stati Uniti di concedere a terzi, e specie alla Germania federale, accesso alle atomiche nel quadro della Nato », afferma il consigliere William Gehron. A dispetto delle polemiche, gli americani pensano ancora che la sola strada sia quella di un accordo fra le potenze nucleari da un lato e le potenze non nucleari dall'altro, che dovrebbe garantire gli inermi delle buone disposizioni degli armati, e quindi dissuaderli dal prender parte alla gara atomica. Quando gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica, la Gran Bretagna, la Francia, si impegnassero solennemente a non usare le loro atomiche, che ragione avrebbero i terzi, attuai- mente non membri del club privilegiato, il più esclusi- vo fra tutti i club che oggi llllllllllllllllllillllimillllllimiMlllllllllllllilMI esistono al mondo, a procurarsi i titoli per l'ammissione? Il fatto che la Cina non sembri destinata a sottoscrivere l'accordo, agli americani non pare rilevante : « Le potenze nucleari di oggi basteranno sempre a tenerla a bada, proteggendo tutti gli altri paesi ». Rimane il punto delle garanzie da concedere ai contraenti inermi. Uno dei giornalisti europei invitati nella sala delle riunioni della United States Mission per ascoltare il punto di vista americano sul disarmo e la non proliferazione nucleare, osserva che si tratterebbe sempre di un patto leonino : « E' come se io, debole e fragile come un bambino, mi accontentassi di una promessa di Cassius Clay, che non mi darà un pugno. Ma se poi me lo desse? ». In un certo senso è questa la posizione di De Gaulle, che appunto da una simile paura si dice spinto a procurarsi i propri personali mezzi di dissuasione, per non essere inerme tra i forti, vaso di coccio tra quelli di ferro. Gli americani obbiettano elogiando il cosiddetto « Comitato McNamara », perfettamente idoneo ad assicurare tutte le possibili e opportune consultazioni nucleari fra alleati : « Ci risulta del resto che anche i romeni stanno chiedendo alla Russia un impegno a consultarsi con i suoi alleati del Patto di Varsavia nel caso di un impiego di missili sovietici da basi di lancio extra territorio sovietico ». Il vero ostacolo, secondo gli americani, è sempre posto dai russi; sono i russi che osteggiano il funzionamento del « Comitato McNamara » con la pretesa che i tedeschi non ne facciano parte : « E questo è contro il nostro principio della non discriminazione », spiegano. Non si può dire, in ogni modo, che le prospettive della nuova sessione della conferenza dei Diciassette per il disarmo, che riprende domani i suoi lavori nel Palazzo delle Nazioni, appaiano complessivamente favorevoli. Una adesione della Francia all'accordo sul bando degli esperimenti nucleari non è da mettere nel conto delle previsioni possibili, così come non sembrano attenuate, dopo Bruxelles, le diffidenze sovietiche verso la Nato. Un trattato sulla non proliferazione nucleare si urta all'ostacolo rappresentato dalla partecipazione tedesca al « Comitato McNamara », e senza previo trattato di non proliferazione non è immaginabile un accordo successivo fra le potenze del club atomico e quelle escluse dal club atomico. In più, fra pochi giorni, si aggiunge il viaggio a Mosca di De Gaulle, che quanto meno può dar luogo a molto inopportune diversioni dalla presa in esame dei problemi centrali della sicurezza. Vittorio Gorresio