Morto uno degli speleologi rimasti bloccati Salvati altri 4; nella grotta c'è ancora un ferito

Morto uno degli speleologi rimasti bloccati Salvati altri 4; nella grotta c'è ancora un ferito Tragico bilancio dell'avventura nella voragine di Bergamo Morto uno degli speleologi rimasti bloccati Salvati altri 4; nella grotta c'è ancora un ferito La vittima è uno studente in medicina, bolognese, di 22 anni - Era precipitato martedì nel tentativo di soccorrere i suoi compagni Il ferito (gamba, spalla e polso rotti) è slato trasportato al campo base sotterraneo dal torinese Ribaldone - Il drammatico racconto degli scampati - «I viveri sono scomparsi in un giorno, poi c'è stata la fame. Quando è arrivato Ribaldone siamo scoppiati a piangere» - Si ricorrerà alla dinamite per allargare i «passaggi» e riportare in superfìcie l'infortunato (Dal nostro inviato speciole) Roncobello, 29 aprile. Uno dei sei speleologi bolognesi rimasti bloccati nel Buco del Castello è morto; quattro sono stati liberati; il sesto è ferito ed è ancora nella caverna. Ha parecchie fratture ed è in stato di choc: per portarlo fuori bisognerà allargare alcuni passaggi con l'esplosivo. Salvi sono Giorgio Canducci, Giancarlo Zuffa, Aurelio Pavanello e Nino Lenzi : sono rimasti cinque giorni prigionieri della grotta. Il ferito è Gigi Donini, precipitato martedì nel tentativo di soccorrere i colleghi. Donini si è spezzato una gamba, un polso e una spalla. La vittima è Carlo Pelagalli: si è fratturato il capo, la colonna vertebrale e le gambe: ha agonizzato quattro giorni nell'umida fessura di una caverna a 320 metri sotto terra. E' morto stamane. Aveva 22 anni e studiava medicina. Il cadavere è ancora laggiù. Anche il Pelagalli era sceso con il Donini per aiutare i suoi compagni. Nino Lenzi, 19 anni, il più giovane degli scampati, ci dice: « C'è solo Ribaldone, l'unico che poteva salvarci è lui ». Gianni Ribaldone li aveva raggiunti ieri calandosi in un pozzo di ot tanta metri nel quale precipita una cascata. Aveva por. tato viveri, sacchipelo e spe> ranza. Ma aveva anche teso una fune tra l'apertura il fondo del pozzo, e questa è stata la via per i succeS' sivi soccorsi. Verso mezzanotte (il volume della cascata era dimi nuito) il triestino Gerbaz ha raggiunto i sei e ha stabilito un contatto telefonico. Sopra c'era nervosismo: il bollettino meteorologico dell'Aeronautica aveva annunciato un temporale per questa notte. La pioggia avreb- be gonfiato il torrente sot terraneo che finisce nel pozzo, il quale sarebbe diventa to impraticabile. Non c'è stato temporale, ma il tor rente è gonfiato per il disge 10 dei nevai. Alle 2 Ribaldone è al campo base (m. 220 sotto terra), vede l'acqua cresce re e telefona all'esterno: « Fate presto, chiamate tut ti gli nomini. O li tiriamo fuori adesso o mai più ». Poi si cala nel pozzo e nella di scesa cambia posizione delle scalette di ferro fissandole alla parete meno esposta al flagello della cascata. Un lavoro di chiodi e di martello in un diluvio d'acqua. Alle 4 è al fondo del pozzo. Dal campo base il dott Renzo Gozzi, del Cai di To rino, gli dice per telefono come medicare (novocaina stecche e bendaggio stretto) 11 Donini, affinché soffra meno durante il trasporto. Alle 5 Ribaldone inizia a salire gli ottanta metri strapiombanti del Grande Pozzo con sulle spalle il ferito, imbragato nel « sacco Graminger ». Entrambi fradici per gli spruzzi della cascata. Attorno all'orlo del pozzo, gli uomini di una squadra vedono la luce dell'elmetto di Ribaldone avvici- ilfdcRavpg narsi lenta, ogni tanto velata o nascosta da uno scroscio d'acqua. « Ecco, è fatta » dice Ribaldone quando gli scendono il ferito dalle spalle. Donini ha gli occhi pieni di terrore, trema. Lo trasportano al campo base, dal dott. Gozzi. Ora tocca agli altri. Vengono tirati su con le corde, per ognuno occorrono dodici minuti. Lenzi è il primo: sta per afferrarsi alla corda, esita, si volta verso il fondo della caverna dove Pelagalli è morto poco fa, nel Pmtocsla spaccatura di una parete.'vNon si sa l'ora precisa. Pri-1 tma di incominciare a salire j leragazzi sono andati a quel-j dla fenditura, l'hanno illumi-ivnata con la pila e si sono i uaccorti che Pelagalli era I smorto. aEscono dalla grotta alle!n11. E' quasi una settimana (sono entrati qui dentro sabato sera) che non vedono il cielo o altra luce che quella dell'acetilene e delle torce elettriche. Tutto attorno è verde, il sole è caldo. I ragazzi si passano una mano|esugli occhi come se avesse-1 mro visto un prodigio, un'in gannevole illusione, ma su bito tornano a guardare avi damente, qualcuno incomin- è r al o e : t o oi i e e al ao zt o o a ) e a azo, aci azali- « bplo« nfrgfarcslanganlptveia a piangere. Sui volti, ijssegni di una attesa durata cinque giorni. Barba lunga sotto la crosta di fango, occhi rossi, labbra secche, spaccate. Pavanello si trascina con i piedi paurosamente gonfi. Corrono tra le braccia dei familiari. « Papà —• dice Lenzi — non ho cambiato idea per questo, ritornerò là sotto». Ma altri: «Non fatemi dire che cosa penso delle grotte. Basta ». Poi cercano Ribaldone : « Dov'è Ribaldone, da ringraziare e abbracciare? ». E' già in viaggio verso Torino, conta di essere al Politecnico per la lezione del pomeriggio. Ora gli scampati raccontano le loro cinque terribili giornate. Sono rimasti al riparo dell'acqua che precipitava dal pozzo in una fessura larga un metro e lunga quattro. Dovevano stare rannicchiati o in ginocchio, perché era alta poco più di un metro. Gli abiti bagnati. La prima cosa di cui hanno sentito la mancanza sono state le sigarette. Poi sono venuti il freddo e il sonno. Quando sono rimasti intrappolati avevano un po' di latte conden sato, qualche scatoletta di carne e frutta secca. Tutto ciò è durato un giorno, poi c'è stata la fame «Sete mai — dicono, acqua ce n'era troppa». Ma mercoledì, quando hanno bevuto quella della cascata, sono stati colti tutti da for ti dolori al ventre. Domandiamo : « Scoraggiati, paura ? ». Si vergognano di di ttlvnRre si, ma Lenzi confessa: Pelagalli. Ci rispondono che martedì hanno sentito due tonfi nella caverna. Hanno creduto che di sopra avessero lanciato sacchi con viveri e sono accorsi. Hanno 1 trovato i due colleghi tra j le rocce e la ghiaia del fonj do, feriti. Pelagalli rantolaiva. Lo hanno trasportato in i una stretta fessura, poco di I stante da quella dove loro avevano trovato rifugio. Do-(l!nini ha detto che stavano!—|erano precipitati: lui da sei 1 metri, Pelagalli da diciotto. « Ieri, quando è arrivato Ribaldone, tutti siamo scoppiati a piangere». Fino allora si erano fatti coraggio: « Prima o poi verrà qualcuno ». Si gridavano questa frase nelle orecchie: bisognava fare così, urlare per farsi sentire oltre il frago-jsre incessante della vicina Idcascata. | pDomandiamo di Donini e j ptileabcsfOlsQsczsstdtscendendo per portare del- j dla morfina, perché credeva-1 lno che Zuffa avesse una ngamba rotta, ma — quasi pal fondo del pozzo — era-[sno stati storditi, vinti dal-]ela violenza della cascata ed Carlo Pelagalli non ha più ripreso conoscenza. Ogni tanto qualcuno andava a vederlo, alzava la lampada jsu un volto bianco, immop°-li tastava il Dolso e!httile, gli tastava " Polso e|elo sentiva battere. Ritorna-j,va dai compagni e urlava j lnelle orecchie: «E' vivo ».| tRestavano tutti rannicchia-in lettere » e «Il salvadanaio» — sono &'à stati allargati sa quando andranno a prenderlo. Le condizioni del pozzo sono ancora difficili, paurose. Il rischio è forte. ti, pigiati, con il capo tra j rile mani, ognuno pensando all'amico che agonizzava al buio, nella fenditura di roccia umida, viscida. Lo hanno lasciato là. Bisognava prima pensare al ferito e agli altri. Non si Ora si cerca di portare all'aperto Gigi Donini, che da stasera è assistito dal dott. Quarengo. Gli hanno fatto superare il tratto più pericoloso (dal fondo del pozzo al campo base), ma resta quello più difficile. Vi sono cunicoli che un ferito non può attraversare né da solo né aiutato dagli altri. Due — « La buca delle taloBfadgFdtene di venti centimetri scalpel landò la roccia. Ne resta no sei. Per ampliare questi passaggi sono arrivati sta[sera minatori con dinamite ]e plastico Luciano Curino se■isleCtpat Carlo Pelagalli lo stu Carlo Pelagalli, lo studente morto nella Grotta di Roncobello (Tel.) Ilàno Lenzi, uno degli speleologi salvati, mentre esce sfinito dalla Grotta di Roncobello (Telefoto A. P.) Angelo Pavanello, a sinistra, e Giordano Canditeci fo! tografati subito dopo essere stati salvati (Tel. A. P.)

Luoghi citati: Bergamo, Roncobello, Torino