Paolo VI continua il difficile dialogo aperto con i russi da Papa Roncalli di Vittorio Gorresio

Paolo VI continua il difficile dialogo aperto con i russi da Papa Roncalli NON TUTTI I CATTOLICI CAPISCONO LA MISSIONE UNIVERSALE DELLA CHIESA Appena sei anni fa si escludeva severamente qualsiasi contatto fra Vaticano e Cremlino; il card. Ottaviani condannò con dure parole il viaggio di Gronchi a Mosca - Il primo segno di disgelo si ebbe nel '61, quando Kruscev inviò gli auguri a Giovanni XXIII, che ringraziò (ma la stampa cattolica non ne fece cenno) - Grande fu Io scandalo dei «benpensanti», quando il vecchio Pontefice ricevette Aghibej e gli consegnò un messaggio per il capo sovietico - Ma la nuova politica ha dato frutti: Gromyko fu il primo a rendere omaggio all'opera per la pace, svolta da Paolo VI all'Onu (Nostro servizio particolare) Romn, aprile. Ricevendo Gromyko, il Papa vuole dimostrare che la Chiesa non parteggia e, al disopra dei blocchi che dividono il mondo, non è patrona e tanto meno ancella di nessuno. C'è un santo orgoglio in Questa degna concezione cristiana di Paolo VI, uno dei Papi pia gelosi della propria indipendenza, e ne è ispirata la sua azione politica che intende dare o restituire alla Chiesa cattolica un volto veramente universale. La presenza a Roma di Gromyko offriva l'occasione di una prova in Questo senso, dato che quando ci sono stati ministri americani, per esempio, il Papa sempre li ha ricevuti, onde sarebbe stato sconveniente riservare un trattamento diverso a un ministro sovietico, rappresentante di un'altra faccia del mondo. Se questa posizione è ineccepibile sul piano diplomatico, lo sforzo necessario a conquistarla non è stato da poco, contro le resistenze della Curia, della segreteria di' Stato, e contro tutte le consuetudini che parevano radicate con la stessa forza delle tradizioni intoccabili. Tutte le volte che i sovietici tentavano un approccio col Vaticano, ne avevano difatti risposte scoraggianti, fino a non molto tempo fa. Si rivolgevano, generalmente, al Nunzio apostolico presso ti Quirinale, che in qualità di decano del corpo diplomatico è tenuto a mantenere relazioni di cortesia con tutti i suoi colleghi, anche se accreditati da paesi, come l'Urss, con cui la Santa Sede non ha rapporti ufficiali. Il Nunzio mai veniva meno alla formale cortesia, ma metteva di regola i sovietici alla porta. Dieci anni fa, il 21 agosto 1956, l'incaricato d'Affari sovietico a Roma, Dimitri Pojidaev, si faceva ricevere dal Nunzio, monsignor Giuseppe Fletta, e si provava a consegnargli un memorandum del Soviet Supremo sul tema del disarmo, con preghiera di inoltro nelle mani del Papa, Pio XII. Gelidamente, monsignor Fletta disse a Dimitri Pojldaev che l'udienza gli era stata concessa a mero titolo di cortesia, non per metterlo in grado di presentare documenti irricevibilt dal Papa. Quattro anni dopo, nel gennaio del '60, nuova richiesta dei sovietici alla Nunziatura in Italia: si pregava di inoltrare al Papa, Giovanni XXIII, il testo -di un discorso di Kruscev che annunciava una grossa riduzione negli armamenti convenzionali dell'Urss. La risposta fu data daU'Osservatore Romano, che in tono diffidente ed insieme beffardo scrisse che l'Urss, comunque, avrebbe continuato a essere armata fino ai denti. Nonostante l'avvento di Papa Giovanni, l'atmosfera vaticana non era ancora molto cambiata rispetto ai tempi di Pio XII. In quello stesso mese di gennaio 1960, dovendo Gronchi partire per Mosca, il cardinale Ottaviani lo condannò pubblicamente in un discorso pronunciato nella basilica di Santa Maria Maggiore, deprecando che un capo di Stato oristiano pensasse di poter stringere la mano all'antiCristo Kruscev, «capo di coloro che tutti i giorni tornano ad uccidere e a crocifiggere Cristo ». Bisogna d'altra parte riconoscere che i sovietici si mostrarono sempre eccellenti incassatori, in occasione di onesti scontri. Respinto un giorno sdegnosamente dal Vaticano un appello dei partigiani della pace C«La Santa Sede non si assoderà mai a campagne equivoche ed a movimenti paracomunisti >), il ministro degli Esteri sovietico — che era già Gromyko — candidamente finse d'avere capito tutto a rovescio. «Nonostante le diverse concezioni ideologiche e politiche — disse in un'intervista — 11 governo sovietico si può mettere d'accordo col Vaticano sui problemi della pace ». « Ritiene possibili contatti ufficiali? ». «Sicuramente — rispose — perché molti discorsi del Papa sul bando delle armi atomiche e sull'impiego pacifico della energia nucleare coincidono perfettamente con le tesi dei dirigenti sovietici ». Nel settembre 1961 Papa Giovanni lanciò un appello per il disarmo, ammonendo gli eventuali responsabili di guerre che avrebbero dovuto rendere conto a Dio del loro operato; e questa volta fu lo stesso Kruscev che sull'argomento si fece intervistare dalle Izvestia: « Io sono ateo — disse — e perciò non temo il giudizio divino di cui parla Giovanni XXIII, ma debbo riconoscere che il capo della Chiesa cattolica ascolta la voce della ragione quando mette in guardia i governi contro una possibile catastrofe generale e li pone di fronte alle gravi responsabilità di un conflitto mondiale ». Fu allora che dal Vaticano, per la prima volta, e come di sorpresa, venne una reazione perzlalmente favorevole ai sovietici. L'Osservatore Romano scrisse che Kruscev certamente speculava per propaganda, ma che ■comunque era buon segno 'che egli avesse riconósciuto «la funzione di pace della Chiesa cattolica ». Il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, arrivò a dire che si era davanti a « un fatto nuovo, un fatto significativo, un mutato atteggiamento che sembra assunto dal Cremlino nei confronti della Chiesa di Roma ». Piacque altresì la cortesia, il rispetto verso il Papa: « Dopo tanta ostentata indifferenza del Cremlino, ciò dà motivo di soddisfazione in un mondo che sembrava avere instaurato solo la prepotenza, anche nelle forme, e l'arroganza del proprio potere ». Incoraggiato sulla via della buona educazione, due mesi dopo Kruscev mandava al Papa gli auguri per il suo 80° compleanno. La domenica 26 novembre 1961, il primo segretario dell'ambasciata sovietica a Roma, Gurgoen Agaiame, chiedeva udienza al Nunzio apostolico, monsignor Carlo Grano, e gli consegnava un messaggio di Kruscev. Diversamente da come si era comportato cinque anni prima monsignor Fietta con Dimitri Pojidaev, monsignor Grano fece buona accoglienza a Gurgoen Agaiame. Trattenne il documento, e dovendo recarsi in Vaticano la sera stessa, per gli esercizi spirituali, si portò nella borsa il messaggio « che poi finì alla Segreteria di Stato e quindi sul tavolo del Papa », come ebbe a riferire un ingegnoso portavoce, ancora incerto sull'opportunità di ammettere un rapporto diretto fra Santa Sede ed Unione Sovietica. Il Papa invece per suo conto non ebbe esitazioni, fece rispondere immediatamente, e il giorno dopo, lunedì 21. il consigliere della Nunziatura Apostolica in Italia, monsignor Mario Cagna, andava in via Gaeta all'ambasciata sovietica a consegnare la risposta pontificia. Non tutti ancora, in Vaticano, approvarono tanta sollecitudine. Né L'Osservatore Romano, né la Radio Vaticana, né II Quotidiano, organo dell'Azione Cattolica, diedero notizia degli auguri di Kru- i scev. alcuni mesi dopo, .quando Papa Giovanni credette a propria volta di formulare auguri e benedizioni per i due astronauti sovietici Nikolaiev e Popovic, la rivolta della stampa benpensante fu più aspra e più larga: « Cera proprio bisogno di una benedizione ai cosi poco degni aasca astronauti? », fu scritto con accento di rimprovero, e forse più d'angoscia, nel timore che il peggio dovesse ancora attendersi, E il peggio venne, infatti, per gli avversari della politica di apertura. Il 7 marzo 1963, essendo stato deliberato dalla fondazione Balzan di assegnare a Giovanni XXIII il Premio per la Pace, il Papa ricevette un caloroso messaggio da Mosca f « Il governo sovietico e il suo primo ministro Nikita Kruscev apprezzano in sommo grado gli sforzi del Pontefice a favore della causa della pace fra tutti i popoli »J e in pari tempo una ricuiei '.a di udienza da parte della figlia e del genero di Kruscev, Rada ed Alexej Agiubej. Concesse l'udienza, e nonostante che il servizio cerimoniale cercasse di registrare la presenza di Agiubej in Vaticano al solo titolo della sua partecipazione ad un'udienza di ben quarantotto giornalisti italiani e stranieri, la visita privata ci fu, durò diciotto minuti, e si venne a sapere che il Papa aveva fatto sedere i congiunti di Kruscev su due poltroncine in un angolo della biblioteca, e Rada aveva il capo convenientemente coperto da un velo nero tutto bordato di lustrini d'oro. Ad Agiubej Papa Giovanni consegnò un messaggio personale per Kruscev, tradotto in lingua russa, con la firma autografa « Johannes PP. XXTII » scritta in caratteri cirillici, il tutto decorato di sigilli con le chiavi del Paradiso incrociate, legate, sormontate dal triregno che simboleggia la triplice potestà pontificale di padre dei principi e re, di rettore dell'orbe e di vicario di Cristo. Senza ritegno allora il Papa fu deplorato dalla « buona stampa» che gli faceva colpa di una grave ingenuità, pronta sempre a vedere « segni della Provvidenza » là dove solo c'era una ricerca di propaganda e speculazione favorevole ai nemici. «Agiubej qui tollis peccata mundi », salmodiavano irriverenti gli antiaperturisti facendosi il segno della croce per gli annunci che circolavano con insistenza di una visita che Kruscev avrebbe fatto a Giovanni in estate, nel palazzo pontificio di Castel Gandolfo. Poi Giovanni morì, alle soglie dell'estate; Kruscev più tardi venne esonerato dal potere, ma la politica che avevano iniziato continua ora e fruttifica per merito dei loro successori. Paolo VI la vuole, nella sua concezione della funzione twiversale della Chiesa, e l'Unione Sovietica riscontra nell'azione del Papa per la pace un dato che è impossibile ignorare o misconoscere. Il k ottobre, all'Onu, il primo a battere le mani al discorso di Paolo fu Andrej Gromyko, appunto, e a chi gli domandava un suo giudizio disse: < E' un discorso molto equilibrato e molto utile ». Insistette la Tass: « E' un contributo positivo per il rafforzamento della pace mondiale, un impegno solenne, ad impiegare il peso morale della Chiesa, nel paesi in cui essa ha grande Influenza, per conquistare l'obbiettivo della pace ». In questo spirito e con onesti propositi Paolo VI e Gromyko si incontrano domani. Vittorio Gorresio Paolo VI continua il difficile dialogo aperto con i russi da Papa Roncalli