Ci sono dei giudici a Milano di A. Galante Garrone

Ci sono dei giudici a Milano Voci sull'inchiesta ordinata dal Guardasigilli Ci sono dei giudici a Milano Due senatori hanno presentato una interrogazione al ministro della Giustizia per conoscere se 3ia vero che la commissione inviata a Milano per compiere un'inchiesta sui fatti occorsi in occasione dell'istruttoria penale a carico dei redattori della < Zanzara » ha avuto anche l'incarico di indagare sullo svolgimento del dibattimento e sulla sua direzione da parte del presidente del collegio giudicante. Il fatto sarebbe tanto grave, e sorprendente, che stentiamo a crederlo, e vogliamo piuttosto pensare che si tratti di un'informazione errata. Se c'è un dibattimento che ha avuto un corso esemplare, è proprio anello di Milano. Esso infatti — come ha rilevato un insigne docente di diritto processuale penale, Giovanni Censo — « pur in condizioni estremamente dif ficili, è riuscito a conciliare le esigenze della celerità con le esigenze di un'esauriente discussione ». Non è cosa che accada molto spesso nelle nostre aule giudiziarie. La giustizia italiana ha dato un'alta prova di dignità e di efficienza in un'occasione che aveva fatto convergere sul processo l'attenzione di tutti anche fuori dei nostri confini- Non possiamo che rallegrarcene, con legittimo orgoglio E tn particolare, a moltissimi è piaciuto il modo col quale il dibattimento è stato diretto dal presidente Luigi Bianchi d'Espinosa. La sua pacata e risoluta fermezza, prima di tutto. Di fronte alle rumorose intemperanze del pubblico (in prevalenza giovanile), egli è subito intervenuto. «Basta, ha d:iio. Voi che reclamate la libertà rispettate la libertà del Tribunale ». E gli applausi che poco dopo accoglievano la lettura dell'ordinanza collegiale sull'ispezione corporale erano da lui troncati con severità: «La giustizia non chiede consensi come non si lascia riprovare. La .riustizia è un bene eterno di lutti gli uomini liberi. Questo Tribunale non tollererà altre manifestazioni del genere ». E ancora, dopo l'incidente col P.M.: « Rivolgo un ammonimento al pubblico. Questo processo è stato troppo drammatizzato. Si è fatto troppo chiasso... Vorrei aramqnire il pubblico, e soprattutto i giovanissimi che si sono agitati, marinando anche la scuola e invocando libertà e giustìzia, che la prima norma della libertà è il rispetto delle istituzioni ». E infine, prima della lettura della sentenza: «Non tollererò alcuna manifestazione di consenso e di dissenso. I carabinieri fermino chiunque tenti di disturbare ». Inoltre, ci è parso molto felice quel suo tono a volte scherzoso, e a volte quasi ironico, di signorile e arguto distacco col quale il presidente è riuscito a sdrammatizzare il processo, a ricondurlo alle sue dimensioni effettive. In fondo, come tutti hanno poi riconosciuto — anche il ministro dell'Istruzione, anche L'Osservatore Romano — quel processo non sarebbe mai dovuto nascere. Se questo postumo riconoscimento ha potuto avere così ampio corso, è stato merito, in non piccola parte, della bonaria e demistificante saggezza del presidente. E da ultimo, ci ha quasi commosso il paterno fervorino, dopo la sentenza, ai tre ragazzi. < Su ruesto processo si è fatta una montatura esagerata. Voi non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate dì dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete». A tutti questi umanissimi accenti (come nel dispositivo e nella motivazione esauriente della sentenza, di cui varrà la pena di parlare altra volta) abbiamo riconosciuto, con gioia, la personalità spiccata del giudice Bianchi d'Espinosa. Un magistrato d'eccezione, tra 1 primissimi dei suo concorso; e un giurista agguerrito come pochi. Ma anche un carattere, una tempra adamantina. Ricordiamo il suo coraggioso impegno nella Resistenza toscana, a fianco di Calamandrei, quando non pochi dei suoi collochi si accomodavano negli stanchi e comodi ripieghi. E subito dopo, ancora accanto a Calamandrei, aveva collaborato, con un mirabile saggio sul Parlamento, al Commentario sistematico alla Coztituzione italiana. Chiusa la parentesi politica, aveva ricominciato il suo mestiere di giudice. E le sue sentenze, prima di consigliere d'Appello a Firenze, poi di Cassazione a Roma, dotte e limpide, hanno stampato un'orma nella nostra giurisprudenza, come sanno i lettori di riviste giuridiche. Da ultimo, quale presidente del tribunale di Milano, ha saputo imprimere un raro vigore a quell'importantissimo centro della vita giudiziaria lombarda. Potremmo aggiungere che, come magistrato, non ha mai dimenticato, a differenza d'altri, che esiste una Costituzione repubblicana, e che hoc iure utimur. Sappiamo bene che il giudice, in quanto individuo, si realizza per intero e quasi si annulla nelle sentenze che pronuncia, nelle istruttorie e nei dibattimenti che dirige, nell'abnegazione oscura del lavoro quotidiano. E per questo, forse, il magistrato Bianchi d'Espinosa ce ne vorrà un poco, se abbiamo parlato della sua persona. Ma quando si vedono all'opera magistrati come lui. colti e dignitosi e umani, quando si constata l'immenso sollievo con cui la sentenza di qualche giorno fa è stata accolta in Italia e all'estero, vien fatto di pensare alla celebre frase del mugnaio di Sans-Souci, e di dire: «Ci sono ancora de: giudici a Milano». A. Galante Garrone

Persone citate: Bianchi D'espinosa, Calamandrei, Espinosa, Giovanni Censo, Luigi Bianchi

Luoghi citati: Firenze, Italia, Milano, Roma