Quaranta alpini in Russia

Quaranta alpini in Russia SCONVOLGENTI TESTIMONIANZE IN «LA STRADA DEL DAVA!» Quaranta alpini in Russia Nuto Revelli ha raccolto le storie dei suoi compagni: nell'orrore, una vittoria dell'umanità Nuto Revelli ci aveva già raccontato, in un bellissimo libro di qualche anno fa (La. guerra dei poverU, la tragica epopea della ritirata italiana sul fronte russo. Col libro ora apparso da Einaudi, La strada del clavai, egli ha fatto qualcosa d'altro: ha interrogato una riuarantina di alpini, andandoli a cercare nelle vallate del Cuneese, e stenografandone le testimonianze con rigore assoluto, e come se stesse raccogliendo tanti testamenti ». Senza di lui. quelle voci sarebbero state per sempre ignorate; quel « groviglio di gente senza speranza », ridotto a pochi sopravvissuti, avrebbe portato con sé nella tomba il proprio segreto, che oggi Invece, grazie a Revelli, fi consegnato alla storia. Ci troviamo cosi di fronte a un documento di valore eccezionale; una pagina di verità, e a tratti anche di poesia. E. al di là. delle intenzioni dei quaranta testimoni, un tremendo atto di accusa, emergente nudo dai fatti, senza rampogne e senza polemiche Non ci sono neanche giudizi, sulle labbra di questi alpini (mentre li troviamo nelle poche testimonianze degli ufficiali). Ma proprio per questo, il libro riesce di una iffica e io sco n vo l geni e. Non c'era nessuno preconcetta avversione alla guerra fascista, in questi solidi mantunari piemontesi: se. mai, un certo disgusto per la guerretta d'I l'Mfi contro la Francia, 'na balusada, una bricconata. Erano partiti, senza convinzioni e senza entusiasmi, per l'Albania e la Oreeia: e qui avevano cominciato ad aprire gli occhi. La vera tragedia doveva cominciare con la partenza per il fronte russo. Quasi tutti ebbero subito l'amara intuizione di ciò a cui si andava incontro. E già durante il viaggio, in Polonia, lo spettacolo degli ebrei affamati lungo i binari, e la brutalità dei tedeschi suscitava nei nostri i r n a sette-dlclotto che non sono tornati ». Ci voleva Nuto Revelli per farli parlare. Possa la loro voce non cadere nella nostra distratta, colpevole indifferenza; e ci serva di monito. A. Galante Garrone Un alpino durante la ritirata delle divisioni italiane in Russia, nell'inverno 1943 dulo stupore, indignazione, e i primi semplici gesti di solidarietà umana. Il martirio degli ebrei cominciava a svelare il volto odioso della guerra nazista. «Non riusciamo a capire, slamo sbalorditi, confusi ». L'ultimo di questi bi¬ contri, due anni dopo, sareh-] he stato, nel porto di Amburgo, con una maestrina ebrea di Torino, giovane e bella. «A vista d'occhio, giorno per giorno, la vedo morire... Un giorno le sono vicino. La vedo morta in piedi, in coma, che non sente più quello che le dico. Io le dico: "Forza, che1 dobbiamo toriuire a Torino ", ma lei non ha più la forza di parlare, è già come una morta. E dovrehbe portare munizioni alla gru ». L'alpino Dutto conclude: «Nessuno è martire come gli ebrei » Nel gennaio del 191,3, è la improvvisa rottura del fronte, la ritirata, la catastrofe. Una anabasi allucinante, a quaranta gradi sotto zero, « uno sterminio di morti», le colonne di prigionieri incalzate dal russi, dal loro grido ossessionante dava;, che li sospinge verso chi sa quale destino; (la «strada del danai», ap-i punto, una disperata fugai dalla morie: «ognuno di noij è spinto avanti, la vita ej avanti»), l'orrore dei vagoni! piombati, che sono un lugu-\ bre convoglio di uomini esnn-1 sti e di salme irrigidite, lai fame c la sete, la cancrena,! il (i/o petecchiale, i lazzaretti,\ il sinistro aleggiare dei corvi, ghiotti degli occhi dei cadaveri, i pidocchi che scappano non appena l carpi sono ili-' vasi dal gelo della morte, la follia. E il tragico addio dei. morenti: come l'alpino Fusta,\ che muore abbracciato a Bo.«lo, dicendogli: «Scaldami, scaldami »; o l'alpino che grida per due ore: « Dite ai miei che non torno a casa, sono Einaudi di Valgrana ». Eppure, lungo questa atroce « strada del (favai », c'e come un brillare di luce. E l'umanità del nostri soldati, e \ I ] : | . ] ] i \ | ] \ quella del popolo russo. Non mancano, certo, le abiezioni e le violenze, gli schiaffi e gli sputi e gli scherni, da una ìiarte e dall'altra. Ma uno dei temi dominanti in questo libro fi l'istintivo affratellarsi di gente semplice, il reciproco aiuto, la solidarietà generosa. Nel caos di un paese sconvolto e immiserito dall'occupazione tedesca, vediamo le donne russe buttare ai nostri soldati pan secco e patate, offrire uova e bottiglie di latte, nascondere angurie e pomodori nei cespugli f«mia madre non avrebbe fatto tanto per me », dice un alpino), le infermiere prodigarsi negli ospedali; e vediamo i nostri solitati entrare nelle isbe e nei bunker a soccorrere, e lavorare nelle officine e nei campi, e perfino insegnare il modo migliore di coltivar le patate, e farsi amare e proteggere dalla gente del posto Nasce cosi, spontanea, l'amicizia fra italiani e russi, più forte della guerra, dell'odio della propaganda: uno scoprirsi eguali. Una delle qualità più sorprendenti di Questi alpini sbelliciti nelle lontane terre russe è il loro prodigioso cavarsi d'impiccio, e arrangiarsi in mille mestieri ed espedienti, e imparare con disinvoltura la lingua del posto, e Inserirsi con naturalezza in usi e costumi tanto diversi: un vero miracolo di inventivita alacre e fantasiosa, di intelligenza, e. diciamolo pure, di coraggiosa fede nella vita. Valga, per tutte, la stupenda testimonianza di Re Marcellino. Per tre lunghi anni questi ulliini. prigionieri dei sovietici, sono vissuti nella speronici del riforno. Quando, dopo Inenarrabili sofferenze, giungono al Brennero, quasi tutti baciano la terra Ma cominciano subito i disinganni. Nessuno li capisce, ed essi stessi stentano a capire il mondo che li circonda, così diverso da quello che avevano lasciato. Intorno a loro, mm c'è soltanto la disperata ansia dei parenti, che vorrebbero notizie dei loro cari: ma, subito, lo zelo di opposte liartt politiche, che cercano la conferma o la smentita di idee e propagande precostituite. Da più di vent'anni, si soci') calasi nel silenzio; mentre i toro padri amavano discorrere della guerra del '1S-'1S. Sono rlmastt sepolti nelle loro povere balte, quasi tutti malati, e in miseria, con pensioncine grame, (quando ar- rivano) dopo cinque, otto perfino dieci anni di «naja». Uno di loro dice con amarezza: «Oggi tutti hanno dimenticato, tutto è finito. E noi completamente siamo dimenticati. C'è nemmeno una lapide a Passatore per i dlclas- NUTO REVELLI: La strada del davai - Ed. Einaudi. 19R6: pagine 538, lire 3500.

Luoghi citati: Albania, Amburgo, Francia, Polonia, Russia, Torino, Valgrana