Le elezioni inglesi di Alberto Ronchey

Le elezioni inglesi Le elezioni inglesi (L'economia al centro delle discussioni - I laburisti probabili vincitori nel voto di giovedì prossimo) (Dal nostro inviato speciale) Londra, 26 marzo. L'Inghilterra è a pochi giorni ormai dalle elezioni. I sondaggi indicano tuttora un deciso vantaggio laburista sui conservatori. « Il nostro successo — spiega il premier Wilson — è che da diciotto mesi i posti di lavoro disponibili superano il numero dei disoccupati, sebbene allo stesso tempo sia stato ridotto di due terzi il deficit commerciale con l'estero». Una crisi finanziaria è stata curata senza colpire il livello d'occupa zione, e anzi oggi il pieno impiego si esprime in due cifre record: offerte di la voro 405 mila, richieste 314 mila. Heath, il leader dell'opposizione, ricorda tutta via che la Gran Bretagna è in debito con le banche straniere per 900 milioni di sterline. I sondaggi elettorali non scoraggiano i conservatori, poiché « in politica una settimana è un'eternità ». La competizione è ancora tesa. Ma il Sun, giornale laburista, ha pubblicato un'inter vista con Heath e ha criticato Wilson per la sua freddezza verso il Mec. Il Daily Telegraph, giornale conservatore, non ha mancato di pubblicare come notizie im portanti i risultati dei sondaggi favorevoli a Wilson UEconomist, all'ultima ora, manifesta il suo favore per Heath, ma con l'avvertenza che Wilson « è un primo ministro capace, accorto, al di sopra della media ». Dovunque gli elettori, ascoltando i leaders, prendono a loro volta la parola, e niente vale a farli tacere. « Oh, sta' zitta », è stato detto a una donna che non cessava di muovere obbiezioni a George Brown, ministro dell'Economia. « E perché dovrei? — ha risposto' — Non parla di cose che mi riguardano? ». Il diritto allo « hecMina ». ossia alla contestazione a viva voce, onorato da lungo tempo, oggi viene esercitato più che nel passato : spesso la contestazione è veemente, e gl'incidenti sono scarsi a paragone col gran numero dei comizi contrastati. II tema di fondo della discussione è l'economia. La società britannica, così matura nelle istituzioni civili e nel costume, così viva oggi nella cultura, è alla ricerca d'un boom economico. Da vent'anni la velocità di sviluppo inglese è inferiore alla media del 3 per cento. Eppure l'isola ha risorse tecnologiche, manodopera qualificata, il più alto volume pro-capite di ricchezza che sia stata investita nell'industria e nelle infrastrutture da un paese fuori del Nord America. Finora l'inflazione ha stroncato ogni boom nascente. L'economia di trasformazione pura ( scarse materie prime, scarsa agricoltura) non esporta più in proporzione ai suoi bisogni, sebbene l'industria sia eccellente in alcuni rami. U fenomeno viene imputato, secondo i punti di vista, ad una « malattia » di passaggio dall'economia imperiale a quella insulare, all'angustia del mercato, al severo sistema fiscale, alle pressioni inflazionistiche del pieno impiego, alle spese di liquidazione del sistema coloniale. Inoltre le crisi della sterlina sono inasprite dalla circostanza che essa è tuttora la più importante valuta di riserva dopo il dollaro: la Gran Bretagna non ha cessato d'essere banchiere internazionale, ma non ha più risorse sufficienti e la sua moneta è vulnerabile. Si può riassumere tutto in un dato di fatto: nel '50 l'Inghilterra era il quarto paese del mondo per il reddito procapite, oggi è il settimo. I conservatori hanno governato per tredici anni, senza ottenere un vero boom. Ora i laburisti hanno governato per diciotto mesi, con tre soli voti di maggioranza, limitandosi a fronteggiare l'ultima crisi valutaria: l'hanno fatto mante¬ nzmcrsicnsbdmnpmstcvatillWdipddtlgT nendo un livello d'occupazione senza esempio dal '56, ma il problema della velocità di sviluppo resta invariato. Heath promette l'ingresso nel Mec a tutti i costi: il « grande mercato » può comunicare una scossa benefica al management industriale e ai sindacati. I laburisti promettono anch'essi di tentare la via del Mec, ma non a tutti i costi: essi negano che il mercato europeo, Eldorado o « castigamatti », possa risolvere in sé il problema inglese. Inoltre il veto francese non è caduto, ma — come osserva VEconomist — è stato appena « alleviato » per motivi subordinati ai tortuosi itinerari di De Gaulle, che lady Gaitskell definisce «l'elefante selvaggio d'Europa». Wilson argomenta che, al di là delle dispute sul Mec, il boom senza inflazione comporta una « politica dei redditi » col contributo dei sindacati: questa via chiede tempo, ma è obbligata, e i laburisti assumono d'essere gli interlocutori validi delle Trade Unions. Al fondo della campagna elettorale, vi è pure un secondo problema legato al primo. Deve la Gran Breta¬ gna convertirsi allo status di « piccola Inghilterra » ? Oppure deve conservare un costoso apparato di prestigio nel mondo? I laburisti risparmiano sul prestigio: annunciano l'abbandono di Aden, riducono le spese per la marina, comprano un aereo efficiente ma a buon mercato dagli americani. I Tories, che accusano Wilson d'una « dipendenza » dall'America, oggi parlano con accenti quasi gollisti di « bilancia » del potere occi dentale. La disputa rispecchia un intreccio complesso di motivi. La scelta del governo che giungerà al '70 conclu de anche un ciclo: essa avviene a vent'anni da quan do l'impero cominciò a di sintegrarsi. Nel '46 i colori britannici coprivano un quarto del planisfero, con 600 milioni di uomini. Oggi, mentre anche le Indie Occidentali sono alle soglie dell'indipendenza, non restano che rocche isolate o minute isole britanniche sparse qua e là nei mari, dalle Solomons alle Seichelles, dalle Falklands alle Tonga: i frammenti, la polvere del grande impero sul mare. Alberto Ronchey

Persone citate: De Gaulle, George Brown, Wilson Ueconomist