Il petrolio e l'eredità coloniale basi per il progresso dell'Algeria

Il petrolio e l'eredità coloniale basi per il progresso dell'Algeria IL REGIME SOCIALISTA E1 APPLICATO COIVI MOLTA CAUTELA Il petrolio e l'eredità coloniale basi per il progresso dell'Algeria Coesistono ancora, come sotto il dominio francese, due Algerie - C'è un paese moderno sulla sottile fascia costiera, con città d'impronta occidentale, qualche industria, aziende agricole razionali; ed un vasto paese, povero e depresso, all'interno - Due milioni di disoccupati, milioni di contadini su una terra che non basta per vivere, un diffuso analfabetismo, scarsità di tecnici creano difficili problemi - Per ora l'economia algerina è sostenuta soprattutto dalla Francia, ma il governo Bumedien cerca assistenza e investimenti in tutto l'Occidente (Dal nostro inviato speciale) Algeri, marzo Fra voche settimane gli algerini sapranno Analmente quanti sono, come sono Il If aprile, con il lavoro rli trer.tamila agenti preparati in corsi speciali, incominceranno le operazioni del primo censimento dopo l'indipendenza; per ora, anche sui problemi fondamentali del paese, si hanno delle valutazioni e non delle cifre esatte. E' dubbio persino il numero degli abitanti: forse io milioni e mezzo; né si può dire con sicurezza che la lotta di liberazione sia costata veramente un milione di morti. Tuttavia i prossimi dati, indispensabili anche iter una programmazione razionale, dovrebbero precisare senza alterarlo il quadro che già abbiamo dell'Algeria: una nazione fra le più giovani del mondo (oltre metà degli abitanti ha meno di vent'anni), con una compatta unità religiosa ma profondi contrasti di lingua e di costume, tremendi carichi sociali (mezzo milione di vedove hanno diritto alla pensione di guerra) e le caratteristiche dei paesi depressi. USO per cento degli algerini vive di agricoltura. l'analfabetismo ha proporzioni allarmanti (sotto il governo francese andava a scuola solo un ragazzo musulmano su cintine), il reddito medio è forse il più basso del Nordafrica. Malgrado i mendicanti, gruppi di giovani disoccupati, le biclonvilles, lo straniero che arrivi in aereo ad Orano o Algeri, faccia un giro nei dintorni e ne riparta, coglie un'immagine tutta diversa. Vede città europee, chiuse da una campagna ben coltivata, che conservano un tono di vita occidentale anche dopo la fuga dei pieds noirs. Avverte la scomparsa di una clientela di commercianti, coloni e militari francesi che dava lavoro ad un gran numero di agenzie di viaggio, ristoranti e locali notturni oggi malinconicamente vuoti o chiusi; scorge qualche segno d'abbandono. Ma il traffico automobilistico è intenso, le vetrine piene di costosi oggetti d'importazione, le brasseries gremite nell'ora di colazione. I salari degli operai, dei dipendenti delle aziende agricole autogestite, delle cameriere sono poco inferiori a quelli europei. I centri urbani ed i sereni villaggi della costa danno un'lmpres- sione di vitalità e persino d'un certo benessere. Ma esiste un'altra Algeria, che bisogna cercare nei quar- e e i i . fieri poveri, nelle campagne ad agricoltura tradizionale, oltre la sottile fascia mediterranea, e rappresenta la parte maggiore del paese: quella dei due milioni di disoccupati, dei sei milioni di contadini che traggono dalla terra appena (intinto basta per sopravvivere, dei settecentomila braccianti emigrati in Francia, dei pastori di montagna, dei piccoli bottegai al limite della denutrizione. Nell'Algeria indipendente e socialista co?tiit-ono due economie, quasi due mondi, come nell'età coloniale; ed infatti il settore moderno, nell'agricoltura e nell'industria, è quello che gli europei avevano costruito per sé, ed hanno quasi interamente abbandonato dopo il 1062. Ventiduemila colons francesi possedevano tre milioni di ettari, le terre più fertili e vicine al mare, meglio irrigate; fornivano i tre quarti della produzione algerina, tutto il vino e le culture pregiate. Seicentomila grandi e piccoli proprietari musulmani occupavano sette milioni di ettari, spesso campi aridi e magri pascoli, con un rendimento per ettaro cinque o sei volte inferiore a quello delle terre europee. Sono rimasti padroni dei loro poderi, perché né Ben Bella né Bumedien non hanno finora portato il socialismo nelle campagne, né attuato la riforma agraria; ma restano poveri come prima. Il reddito, le speranze e l'orgoglio del paese sono legati alle terre confiscate ai francesi e da quattro anni coltivate, fra molte difficoltà ma non senza successo, con il sistema dell'autogestione. Quest'esperimento socialista risponde al programma elaborato durante la guerra d'indipendenza ed alle direttive del regime; tuttavia, caso forse unico nelia storia, è incominciato per una spontanea e indispensabile iniziativa dal basso, non per una riforma ordinata dall'alto. Nell'estate e nell'autunno del 1962 i braccianti delle aziende francesi, alcune davvero esemplari, si trovarono a dover coltivare grandi estensioni di terra preziosa da cui erano partiti i padroni ed i tecnici. Coscienti che l'occupazione individuale (i tentativi non mancarono) avrebbe avuto conseguenze disastrose, si misero al lavoro con un impegno collettivo che più tardi il governo accolse e regolarizzò con un sistema di doppio comando: accanto al consiglio di gestione dei lavoratori, c'è un direttore di nomina statale. Lo stesso metodo è applicato alle imprese industriali e commerciali, abbandonate o confiscate; forse verrà esteso di mano in mano che si estenderanno le nazionalizzazioni. Ma con cautela: pur volendo il socialismo e cercando di « algerizzare » l'economia, il governo accetta e difende un settore privato, ed offre promesse e garanzie agli investitori stranieri. Lasciata alle sole sue forze, l'Algeria non potrebbe, né vivere, né industrializzarsi; e Bumedien, più ancora di Ben B'ila, non vuole dipendere escliisivumcnte da¬ gli aiuti del blocco sovietico. La Russia arma e rifornisce l'esercito, invia tecnici e finanzia la costruzione di qualch fabbrica; la Cecoslovacchia, la Polonia, in modesta misura anche la Cina hanno concesso prestiti e fornito impianti. Ma gli Stati Uniti coprono il grave disavanzo alimentare: per il patto ventennale firmato nei giorni scorsi, in parte doneranno e in parte venderanno a buone condizioni 300 mila tonnellate di grano all'anno, il pane quotidiano che allevia la tragedia dei disoccupati. Sono in corso trattative con vari paesi, tra cui l'Italia: gli scambi (esportazioni ed importazioni/, ora sui 30 miliardi di lire, potrebbero compiere un rapido progresso se si concluderà l'accordo per sfruttare il gas sahariano. E la Francia continua a sostenere l'economia algerina con un impegno senza confronti: assorbe l'SO per cento delle esportazioni, accoglie due volte più emigranti che nell'eia coloniale, in quattro anni ha versato anticipi e sussidi per un migliaio di miliardi, mantiene nel paese forse trentamila fra istruttori, tecnici, maestri (la cifra esatta è segreto di Stato). Il petrolio, massima ricchezza del paese, sarà il banco di prova non solo della cooperazione franco-algerina, ma della fruttuosa collaborazione tra l'Occidente e l'Algeria nazionalista e socialista. E' un problema complesso, che si sta ora discutendo a Parigi, perché la Francia vi partecipa con i più forti investimenti, acquista la maggior quantità di carburante a prezzi di favore, reinveste in Africa una parte degli utili; ma non in¬ teressa solo la Francia. Già ci sono larghe partecipazioni straniere, che il governo Bumedien cerca di estendere di mano in mano che gli impianti si allargano. Per ora il fiume di petrolio (26 milioni di tonnellate all'anno), i miliardi di metri cubi di metano che scendono dal Sahara verso la costa, forniscono al paese poco meno di cento miliardi di lire all'anno; ma l'Algeria pensa al giorno in cui parteciperà all'intero ciclo di sfruttamento, ed il carburante sosterrà la industrializzazione del paese. Non è una speranza impossibile: la natura del suolo, la scarsità di finanziamenti, il peso del settore arretrato non sono ostacoli insuperabili al « decollo». Ma la trasformazione in paese moderno esige un capitale umano, di competenze tecniche, di cultura, di dirigenti preparati al comando, di cui l'Algeria è ancora tragicamente povera e che non s'improvvisa in pochi anni. Carlo Casalegno L'Algeria ha 11 milioni di abitanti su una superfìcie di 2.275.000 kmq, circa otto volte l'Italia. Soltanto la fascia costiera è fertile. Quasi 2 milioni di kmq sono una distesa di deserto, ricco tuttavia di petrolio, minerali di ferro e manganese scoperti di recente

Persone citate: Algeri, Ben B'ila, Carlo Casalegno