Unità e Regioni

Unità e Regioni LE SPERANZE DELUSE DEL 1945 Unità e Regioni In quella che Einaudi chiamò « la grande speranza », la speranza formatasi negli anni della Resistenza, di una Italia rinnovata, dove tutti i cittadini partecipassero alla vita collettiva, si sentissero organi dello Stato, desiderassero un paese pulito, retto da una legge severa, che non lasciasse adito ad arbitrii, le Regioni avevano posto non secondario. Basta con il centralismo, basta con le striminzite strutture provinciali che dalla unificazione non hanno potuto pesare sugl'indirizzi generali dello Stato; vengano avanti le Regioni, unità naturali, poste in luce anche da quel dialetto, combattuto dal fascismo, ma che ha dato vita ad opere d'arte di primo piano — Porta e Belli, un gradino più sotto Pascarella, — che attraverso Trilussa ha aiutato la resistenza al regime, con la cui voce si è espresso il teatro più popolare. Nella prima seduta della commissione per la riforma dello Stalo che aveva insediato il presidente Bonomi, con l'on. Bogianchino ci chiedevamo se non si potesse definire l'Italia come Stato federale. Non che pensassimo a scindere l'unità; non volevamo neppure qualcosa come i Cantoni svizzeri, che hanno magistrature a sé; meno che mai pensavamo agli ardimenti che furono poi dello statuto siciliano, la polizia alle dipendenze del presidente regionale, una corte paritaria a dirimere i conflitti con lo Stato; guardavamo piuttosto ai vecchi Laender austriaci, con piccoli Parlamenti, che dettassero leggi in materia agraria, mineraria, di opere pubbliche, d'igiene e sanità, d'istruzione primaria e magari anche secondaria. Vedevamo chiaro come si sarebbero formate le Regioni. Una legge avrebbe stabilito quali potessero essere le loro incombenze, lasciando ad ognuna di assumersele tutte od alcune soltanto. E naturalmente la prima attuazione sarebbe stata nelle Regioni settentrionali, che avrebbero costruito il modello. Qui c'era già l'embrione con i Comitati di Liberazione Nazionale disposti scalarmente in cerchie di territorio sempre più larghe, ed al vertice quel Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia, così ricco di competenze. Qui c'era ab antiquo l'avversione a Roma ed alla burocrazia romana ed il desiderio di fare da se; qui c'erano le migliori tradizioni, bilanci in pareggio, fiducia dei cittadini nell'amministrazione, non pletora d'impiegati. Queste regioni — Piemonte, Lombardia, Liguria — dovevano essere la guida. Pensavamo anche che attraverso le Regioni i giovani dell'Italia settentrionale avrebbero ripreso ad entrare nell'amministrazione, che da tempo disertavano, e si sarebbe così ripristinata una sana tradizione. Immaginavamo che essere maestro in una di queste Regioni sarebbe stato titolo di cui ci si sarebbe fregiati più assai di quello di « statale ». La prima delusione venne proprio da queste Regioni, nessuna delle quali mostrò di aspirare affatto a formare il nuovo organismo. Le aspirazioni re gionali, Valle d'Aosta e Tren tino a parte, furono delle zone dove la tradizione amministrativa era meno brillante, dov'era ad attendersi che subito si sarebbe formata la pletora degli impiegati. Un duro colpo le speranze ricevettero alla Costituente, quando si decretò il mantenimento delle Province. Nella nostra visione non c'era l'idea di un accentramento, che i vecchi capoluoghi di provincia non avessero più uffici a disposizione del pubblico (se pure tutti noi, regionalisti del 1945, ricordassimo che le comunicazioni erano alquanto mutale dalla unificazione); ma avremmo voluto la Regione unica persona giuridica con unico patrimonio e bilancio, unica, poco numerosa, burocrazia: decentrata magari anche nei vecchi capoluoghi di circondario, quando fosse opportuno. La Provincia con quelle poche attribuzioni — brefotrofi e manicomi, laboratori d'igiene, strade provinciali, norme sulla caccia — non ci sembrava dovesse continuare, e soprattutto non vedevamo: Province più Regioni. depocradesi taldepudalo padiederee zicosisnenedoredesttutustcocrnoprmntavachRbddutuRprordrlaaaiscgnfirTttcchpstfnapiptdlamdan , , e i . o o e e l n n ù e o a i e, emo alo irie. Delusione ancora più grande: il constatare che gli italiani possono dire male della burocrazia statale, che gl'impiegati dello Stato possono considerarsi vittime, ma che nessuno statale è disposto a divenire dipendente di un ente locale, fosse pure il più ricco, quello circondato dalla migliore fama, quello più generoso. Uomini politici di qualsiasi partito possono anche tenere discorsi a favore dell'autonomia ei Comuni, del diritto che si debba loro riconoscere d'imporre tributi fuori dei quadri dcle leggi statali, di assumere ini ziative in ogni campo; ma occorre tacciano intorno alla grossissima menomazione che venne portata a quell'autonomia nel periodo fascista, e che credo non abbia riscontro in alcun regime libero, di porre a capo dei loro uffici un funzionario statale; debbono tacere, perché tutti i segretari comunali, come tutti i maestri, desiderano restare statali. Ed i giovani dell'Alta Italia continuano a disertare la burocrazia; senza spiegazioni economiche; conosco moltissimi professionisti che guadagnano meno dei loro coetanei entrati nei ranghi governativi; ma tante, quella diserzione si dà. Ultima delusione. Immaginavamo che nei rami di attività che sarebbero stati affidati alle Regioni i Ministeri non sarebbero rimasti che come organi di coordinamento, che dessero direttive, risolvessero conflitti; un piccolo stato maggiore. L'attuale burocrazia passata alle Regioni; dove c'erano venti capidivisione, diciannove sarebbero passati alle Regioni, ed uno rimasto al Ministero. Ci rendemmo conto che la burocrazia romana non avrebbe accettato la riduzione di un sol posto, he nessun ministro avrebbe avuto la forza occorrente per allontanare da Roma un solo impiegato. Da quelle speranze sono passati oltre venti anni. Dobbiamo constatare varie cose. Dove si sono costituite le Regioni, malgrado gli inconvenienti che possono essersi verificati, nessuno vorrebbe tornare indietro e rinunciarvi. Il Trentino-Alto Adige, tormentato dalla questione tedesca, dà tuttavia le ottime istituzioni locali (ad cs. casse di malattia) ch'era ad attendersi. La Sicilia ha dato una grande prova di patriottismo italiano e di buon senso accettando un tacito adattamento del suo statuto, sì che fosse intatta la sovranità nazio naie: con alcune rinunce ed alcuni compensi (le azioni al portatore) rispetto a quel ch'era ivi previsto. Alcune Province, pure restando le loro competenze nel limitato vecchio quadro legislativo, danno, grazie ai loro amministratori, prova di attività, costituiscono coordinamento di energie, collegamento d'iniziative; penso a Torino ed a Cuneo, a Bologna ed in genere alle Province emiliane, che si tengono in costante rapporto tgpsgpRtepmvbbezslnrpeccs tra loro per utili studi e progetti. Si costituiranno le Regioni previste dalla Costituzione? Non lo sappiamo. Se sì, non saranno cerio quelle che vagheggiavamo nel '45, non rappresenteranno quel distacco da Roma, quella reazione al centralismo, quel vivo appello alle energie locali, quel chiamare i popolo a partecipare direttamente ad una politica che si vivificasse applicando ai prò blcmi locali le direttive generali, che avevamo sperato nel 45, allorché le Regioni sarebbero potute apparire le dirette eredi dei Comitati di Liberazione. Reagiamo come allora alla stolida accusa di chi pensa che le Regioni minerebbero l'unità nazionale; ma se non si creeranno, non saremo amareggiati per una nuova delusione. Certo, della « grande speranza » pochissimo si è realizzato; però si è salvata la conquista essenziale, quella della libertà. E non si deve per le speranze che non si realizzarono, essere ingiusti. Le vecchiaie serene constatano le proprie sconfitte, ma non per questo disconoscono quel che possa esservi di positivo nel presente; e non dimenticano che la storia la costruiscono, sì, gli uomini, ma la realizzazione dei loro piani è sempre approssimativa, quel che vien fuori non è solo il risultato di componenti diverse, ma avverte anche il tòcco del l'imprevedibile, diciamo pure del caso. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Bonomi, Einaudi, Pascarella