La Cina unico, inquietante amico dei militari che governano la Siria di Igor Man

La Cina unico, inquietante amico dei militari che governano la Siria IL PAESE CHE HA IL PRIMATO DELL'INSTABILITÀ' POLITICA La Cina unico, inquietante amico dei militari che governano la Siria I «giovani ufficiali arrabbiati» si sono impadroniti del potere mentre era imminente un nuovo accordo con l'Egitto - Isolati dall'opinione pubblica, impazienti e dottrinari, non possono che avanzare sulla strada dell'estremismo rivoluzionario - Sono in urto con tutti i vicini, minacciano Israele, annunciano drastiche riforme, dividono il governo con i comunisti - All'estero non trovano un risoluto appoggio nemmeno nella Russia - Soltanto i cinesi, che già acquistano un terzo del cotone siriano, hanno ogni interesse a sostenerli (Dal nostro inviato speciale) Damasco, marzo «Il cinquanta per cento del siriani si considerano leaders nazionali, il venticinque per cento pensano d'essere profeti, il dieci per cento si ritengono divinità », cosi disse l'ex presidente della Siria, Kuwatli, a Nasser il 22 febbraio 1958, giorno della proclamazione della Rau, Repubblica araba unita, sorta dalla affrettata fusione tra Siria e Egitto «E' un paese difficile da governare — aggiunse il vecchio presidente siriano ch'era stato insignito del titolo di "primo cittadino della Rau" —, anche perché il rimanente quindici per cento del siriani non hanno scelto tra leaders, profeti e dèi. inclinando pericolosamente a ritenersi tutte e tre le cose insieme... ». ' il sanguinoso colpo del 23 febbraio, consumato con brutale impazienza» da un gruppo di giovani ufficiali che si dicono socialisti, dimostra, ancora una volta, quanta verità contenesse la boutade del vecchio, cinico leader La Siria batte il record della instabilità politica nel Medio Oriente con nove cambiamenti di regime e tre colpi di Stato mancati in diciassette anni, dal 29 mar¬ zo '1,9 (quando sorge la stella del generale Scisciakly, che resiste al potere più di tutti, fino al 27 febbraio '51)1 al 23 febbraio '66. Il periodo più drammatico e convulso incomincia il 28 settembre 1961 (allorché un colpo militare "separatista" mette bruscamente fine all'unione con l'Egitto), poiché segna l'inizio della lotta a oltranza tra baathisti e nasserlani da una parte e, dall'altra, tra le varie correnti del Baath, il partito sooialista delta rinascita araba, fondato nel 191,0 dal cristiano Michel Aflak e dal musulmano Salah Bitar. Ed è stato proprio quando il Baath — ormai liberatosi, con ta forza e con l'intrigo, dei più accesi nasseriani — aveva deciso di riaprire il dialogo con Nasser per la riunificazione della Rau, sicuro di poter trattare questa volta dà una posizione di forza (senza dovere, appunto, subire le pressioni degli unionisti): è stato proprio nel momento in cui la vecchia guardia del partito pensava di avere liquidato la frangia estremista del Baath, in uno con i giovani ufficiali anttunionisti che vi aderivano, che i commandos del colonnello Hatoum e le autoblindo del ge¬ nerale Jedld hanno mandato in pezzi la costruzione messa in piedi da Salah Bitar e Michel Aflak, con il beneplacito del generale Hafez. Anche quest'ultimo si era convinto della necessità di rimandare i militari in caserma. La Siria stava avviandosi a uscire dal pericoloso isolamento in cui la nouvelle vague del partito e dell'esercito l'avevano costretta; Bitar e BJafez intendevano gettare molta acqua medicamentosa sul fuoco delle nazionalizzazioni empiriche volute dai precedenti governi, e stavano adoprandosi a riannodare i rapporti con l'Occidente senza peraltro trascurare quelli con il blocco sovietico: tutto questo, e la prospettiva di un riavuti clnamento con Nasser e con l'Irak, lasciavano sperare nell'avvento d'un proficuo periodo di stabilità nel Medio Oriente. Senonché, il colpo del 23 febbraio rimette tutto in discussione, con l'aggravante che nella vecchia « polveriera » s'è fatto inopinatamente posto per la Cina. Sabato scorso, giorno 5, il primo ministro Youssef Zouagen, giovane medico di 31) anni, ha tenuto negli studi televisivi di Damasco una conferenza stampa a un centinaio di giornalisti arabi e stranieri. Fumando nervosamente un numero incalcolabile di sigarette, sotto lo sguardo freddo del ministro delle Informazioni, il « prussiano » Jamil Chaya, il neo premier ha letto una incredibile dichiarazione programmatica. Essa infatti è conciliante, perfino più scolastica delle dichiarazioni di Aflak e più a destra del programma di Salah Bitar, sicché veniva fatto di chiedersi il perché del sanguinoso 23 febbraio. Ma, all'uscita, la presenza sinistra dei carri armati <T31)» di fabbricazione sovietica, i cannoni puntati verso la strada di Mezze, di Katana o di Kuteyfè, i bivacchi dei soldati, i continui posti di blocco sulla via per Beirut, convincevano anche i più ottimisti come le dichiarazioni di Zouayen altro non fossero che un goffo tentativo di alzare una cortina fumogena sulla realtà della Siria odierna. I «giovani ufficiali arrabbiati » che hanno voluto e condotto il colpo non possono tornare indietro: la dichiarazione programmatica ch'essi han fatto leggere al dottor Zouayen sarà presumibilmente da loro stessi rimproverata un giorno al malcapitato primo ministro: pel momento dovrebbe servire a calmare l'opinione pubblica scossa e sdegnata, consentendogli di rafforzarsi al potere e di liquidare avversari e compagni di viaggio. Impazienti e dottrinari come sono, scarsi di esperienza internazionale, i giovani ufficiali saranno costretti, per giustificare il colpo, a perseguire una politica di « at^tjMsmp- rivoluzionaria?» altinternò'e all'estero^ innanzitutto inaspriranno la tensione con Israele; dall'indomani del putsch t giornali di Damasco non fanno che scrivere: «E' venuto il momento di trasferire la questione palestinese dal tavolino al campo di battaglia». I € giovani ufficiali arrabbiati» han sempre rimproverato a Nasser la sua politica « difensiva » nei riguardi di Israele, esortando la tgrande nazione araba » a mobilitare tutte le proprie risorse in vista della « inevitabile prova di' forza con Israele». Forse non sono tanto pazzi da voler la guerra, il loro sarà solo un espediente per mettere in imbarazzo Nasser e gli altri paesi arabi; ma questi, comunque sia, sara7ino costretti a correre dei rischi, seppure calcolati, per non perdere la faccia. Non è una prospettiva allegra. So .o ostili a Nasser in (liinnto ufficiali dell'armata siriana e in quanto baathisti: furono proprio loro a far le spese dell'unione con l'Egitto: dimessi dai posti importanti, arrestati ovvero trasferiti in qualche piccolo comando in territorio egiziano. Si proclamano socialisti, autentica espressione del Baath, ma sembrano aver messo in soffitta il panarabismo nazionalista della vecchia guardia; più che la realizzazione, molto problematica, di una « grande nazione araba », li preoccupa consolidare il proprio potere in Siria, secondo il principio che in un «paese euoiufo e progressista la leadership tocca alle forze armate ». Han fatto dire ai primo ministro: « Non siamo né rossi né gialli, siamo siriani », ma sono stati loro a volere i comunisti nel governo e son loro a parlare di « rivoluzione permanente » da * esportare » per sottrarre la « nazione araba » e il terzo mondo alla «rinnovata ipoteca capitalista del neocolonialismo ». Certo non è possibile discutere la loro buona fede, ma il guaio è che appartengono — come tutto lascia capire — a quel rimanente quindici per cento di siriani i quali, secondo l'ex presidente Kuwatli, inclinano pericolosamente a considerarsi insieme leaders nazionali, profeti e dèi. C'è il caso che finiscano col diventare comunisti e dei più intransigenti, magari senza rendersene conto, solo in forza delle circostanze. Hanno liquidato il vecchio Baath socialdemocratico e nazionalista in nome del « socialismo marxista » per affermare la t rivoluzione permanente»; giudicano Nasser un « corporativista che gabella per socialismo il capitalismo di Stato », Burghiba un « piccolo borghese fascista », Boumedienne : t « deviazionista », Feisal d'Arabia e Hussein di Giordania « due re tirannici venduti al capitalismo anglo - americano ». (E' stato un cortese giovane colonnello a dettarmi le varie definizioni nel suo francese gutturale ma perfetto, nella hall dell'albergo Semiramis). In pratica han già voltato le spalle al mondo arabo e questo non potrà non condannarli all'isolamento, dimodoché solo dal blocco comunista potranno sperare di ricevere aiuti e solidarietà. Soprattutto dai cinesi che, al contrario dei russi, non hanno nessuna remora di carattere politico, nessuna coesistenza pacifica da salvaguardare. Pechino acquista già un terzo della produzione cotoniera della Siria rappresentando, come ha detto il ministro siriano dell'Economia, « il punto di forza della nostra economia, con ampie prospettive di sviluppo ». Trattative sono previste per la costruzione, da parte della Cina, di una cartiera, una industria di motori e trasformatori elettrici, un impianto petroZcrt/imico... Forse solo il dissidio tra Mosca e Pechino eviterà ai «giovani ufficiali arrabbiati» di diventare «cinesi». Igor Man La Siria ha una superfìcie di 185 mila kmq (circa due terzi dell'Italia) e 5 milioni di abitanti. Nel '61 si è staccata dall'Egitto, con cui aveva formato la Rau