La spietata caccia di una beila ebrea al marito nazista che la lece deportare

La spietata caccia di una beila ebrea al marito nazista che la lece deportare Due nuovi film sugli schermi torinesi La spietata caccia di una beila ebrea al marito nazista che la lece deportare Sophia Loren nella parte di «Judith »; la vicenda si svolge nel 1947-'48 agli albori del nuovo Stato di Israele - «Io, io, io... e gli altri» di Alessandro Blasetti: amaro film sull'egoismo degli uomini ! e a a n e a a a o . a , o O e i i e e 0 i (Vittoria) — Siamo negli anni 19lf)-'lf8, ai sanguinosi albori del nuovo Stato d'Israele. Mentre gl'inglesi si apprestano a lasciare il Mandato palestinese, divenuto il rifugio di milioni di ebrei sfuggiti alla persecuzione nazista, in una zona selvaggia e incolta, vicino ai confini con la Siria, è sorto un kibbutz (comunità agricola), che non solo serve di rifugio ai profughi suddetti, ma costituisce una prima linea di difesa contro gli attacchi che gli arabi non mancheranno di sferrare non appena il Paese sarà lasciato a se stesso. Con la complicità dell'ex ufficiale israeliano Aaron, che l'ha imballata in una cassa di utensili, Judith, una bella ebrea, s'introduce clandestinamente in cotesto kibbutz e vi si mette a lavorare come donna di fatica eludendo la vigilanza degl'inglesi. Non la spinge però ardore patriottico, ma un interesse privato: ella smania di mettere le unghie sul suo ex marito, il generale nazista Schiller, cui è debitrice dell'inferno di Dachau e della perdita del figlioletto. Vedi caso, anche Aaron e i suoi uomini s'interessano a Quel criminale di guerra, che a un cumulo di nefandezze già commesse in Africa e in Europa (specialmente nel ghetto di Varsavia) aggiunge ora quella di istruire gli arabi sull'uso dei carri armati nell'im minenza del loro attacco contro Israele. Ma a differenza di Judith che ha sete di sangue, se ne interessano per averlo vivo nelle mani, affln che spifferi loro i piani di battaglia. Per un buon tratto i due in teressi coincidono, trattandosi di sapere dove si nasconda la belva. Ci arriva per prima Judith, che debellata la riserva tezza d'un ufficiale britannico, riesce a sapere che Schiller è a Damasco. Giù allora a Da masco, tutti quanti truccati da turisti: lei, Aaron e i suoi fidati. Tocca a Judith, con qualche buon colpetto di vamp, at tirare nell'agguato il tedescacciò, il quale non l'ha prima riconosciuta che si busca da lei una revolverata. Qui scoppia l'attrito fra le ragioni della politica e le ragioni del cuore, ma è di poca durata, giac che Aaron si rende ben conto di quanta ira dovesse essere carica quella madre infelice. Trasportato ferito al kib butz, Schiller difende con frasario nazista il proprio ope rato e nega di dare le informazioni richieste. Prende poi a ° parte Judith, e da quella e, i sa l nni il di lao. rtn ee, o ia oa ti na a E- canaglia che è, le fa capire che suo figlio è vivo e che lui solo sa dove si trovi. Cosicché la donna, rivoltata come una frittata sulle braci dell'amore materno, ha ora interesse che egli viva. Ma intanto Israele ha ottenuto l'indipendenza immediatamente si sono sca tenete le orde arali. E' giù sto che l'infame Schiller muoia sotto il fuoco da lui stesso aizzato, mentre l'avamposto organizzato da Aaron funziona benissimo e, pur con molte perdite, l'attacco è respinto. Piange Judith la perduta occasione di avere notizie del suo bambino, ma secondo noi non c'era da fidarsi di Schiller, e dello stesso parere è Aaron, che con generiche promesse acquieta la generosa donna. Tale la trama del panavision a colori che il regista Daniel Mann ha realizzato in Israele sulla falsariga di un racconto di Lawrence Durrell. Un film che, come si sarà notato, punta espressamente sullo spetta¬ l-iooto mescolato di motivi sto¬ rici recenti e di spunti romantici stabiliti ab eterno. Da principio, il drammatico delinearsi del nuovo Stato d'Israele leva un tremito corale che fa pensare a « Exodus », mi ben tosto la cronaca (non diciamo la storia) cede il posto al romanzo, che quasi senza più ostacoli nella seconda parte, inturgidisce addirittura a melodramma. Non se ne lagnerà quel vasto pubblico che chiede grosse emozioni sopra un nobile fondo ideologico, qui servitegli con la più tradizionale e tutta ortodossa ricetta del film spettacoloso. Sophia Loren, tutta americanizzata e commercializzata, risolve il personaggio di Judith con bella souplesse, e dalla corda della maternità offesa, trae le vibrazioni più convincenti. L'affiancano de guarnente Peter Finch, Jack Hawkins e tutti gli altri. * * CLux) — La sociologia si può dire abbia ridotto a uno i sette vizi capitali, all'egoismo; sul quale vizio, che inaridisce tutte le fonti del consorzio civile, Alessandro Blasetti ci ha dato un film (suo anche nel soggetto) giovanilmente polemico, riboccante d'una irriducibile vitalità di cineasta, lo, io, io... e gli altri (dove il pronome va letto in tutte maiuscole) flagella dunque l'eccessivo amor di sé in ogni età, sesso, e condizione. Lo spunto lo dà un giornalista-scrittore che va raccogliendo messe di appunti per una sua inchiestadal vero, sull'egoismo umanoAppunti che sono altrettante conferme dello strapotere del l'egoismo e che crescono tanto di numero, ovunque lo scrittore giri l'occhio, da fargli perdere la bussola. Anche perché, siamo giusti, non si potrebbe dire ch'egli stesso, lo scrittore, sia immune di quel peccato, anzi egli scopre di possederlo in tale misura che da soggetto diventa oggetto del film, da accusatore accusato. Dalla lebbra egoistica che contamina il mondo, parrebbe che uno solo sia escluso, un certo Peppino, l'amico di tanti anni, il cui altruismo, la cui fiducia nel genere umano rasentano l'idiozia. Ma anche da quest'unico punto di luce esce sconforto per il nostro protagonista, il quale, dovendo poi scrivere il necrologio dell'amico scomparso, scopre come l'egoismo non arretri neppure di fronte alla morte, l'egoismo degli altri e il suo di lui, che pur sinceramente afflitto della perdita di Pep pino, si coglie in fragranti pensieri di distrazione verso le belle figliuole dell'estinto. Non c'è dunque redenzione per nessunot Non vorrà dir nulla il messaggio di bontà che il caro morto ha lasciato dietro di sé: la visione d'una coppia di vecchi che se ne vanno a braccetto per il bosco, paghi della loro propria felicità, cui nulla aggiungerebbe l'appropriarsi di quella degli altrit Questo scorcio simbolico è per lasciare la bocca buona, ma il film ha un sapore amaro, ancorché nell'andatura, nel cumulo degli inciden fi, nella galleria delle sue figure e macchiette Iparticolarmente felici quelle dei « politici » durante una crisi ministeriale), risulti assai vivace e divertente. Accanto a Walter Chiari, che col suo estro cerca di diminuire il disapio di dover rappresentare un intellettuale» (l'osso più duro della tipologia cinematografi- ca), sono da ricordare Manfredi, erotomane di vagone letto, la Lollobrigida, nella parte della moglie, l'ottima Silvana Mangano in quella d'una diva frustrata, e via via, in parti minori e talvolta minuscole, Mastroianni, De Sica, Rondone, Sylva Koscina, Franca Valeri e Vittorio Caprioli, i quali tutti hanno voluto attestare simpatia all'illustre regista mettendosi a disposizione della sua bacchetta. 1. p. Sophia Loren in una scena del film «Judith» che è stato girato in Israele