Il torinese Jaquerio maestro "europeo,, di Marziano Bernardi

Il torinese Jaquerio maestro "europeo,, AFFRESCO' S. ANTONIO DI RANVERSO Il torinese Jaquerio maestro "europeo,, La scoperta pittorica del più grande maestro piemontese del Quattrocento, creatore di una poetica che ispirerà ancora, dopo lo Spanzotti, il dolce patriarca Gaudenzio Ferrari, e artista di mente e statura europea in quel fervente crogiuolo culturale che fu il ducato di Amedeo Vili nel cuore dell'Europa civile tra Francia, Borgogna, Germania, Lombardia, Liguria, è relativamente recente. Il suo nome — Giacomo Jaquerio — era noto da tempo attraverso documenti. Noti i nomi dei suoi avi e discendenti, dei quali parecchi, dalla meta del Trecento ai primi del Cinquecento, erano stati pittori. Ma nessuna opera si sapeva agganciare a quelle aride indicazioni archivistiche, e la sua arte restava un mistero. Fu nel 1914 che, rimossi dal Bertea nel presbiterio della chiesuola dell'abbazia di Sant'Antonio di Ranverso presso Avigliana, sulla via da Torino a Susa, gli stalli settecenteschi e lo scialbo di calce dato alle pareti dopo una pestilenza, alla base del trono d'una mirabile Madonna apparve una rivelatrice scritta: « (Pietà) futi tsta capello p(er) manu(m) Jacobt ìaquen de Taurino ». Così, finalmente, a un'opera stupenda si sovrapponeva quel nome; e la ricostruzione critica del pittore che le antiche carte avevan detto attivo dal 1403 al 1429 con affreschi nel Castello di Porta Fibellona, ora Palazzo Madama, nella reggia degli Acaia a Pinerolo, in quella di Amedeo VIII a Thonon sul lago di Ginevra, e anche con dipinti forse su tavola destinati a Ripaglia e a Bon, diveniva, per indagini filologiche e raffronti stilistici con altre anonime pitture, possibile agli studiosi. Del torinese Giacomo Jaquerio, « provvido uomo » assai considerato nella sua città dove aveva case nella parrocchia di S. Agnese e S. Simone, si conosceva la data della morte, il 27 aprile 1453; e poiché nel 1946 una nuova scoperta lo indicava intento a dipingere a Ginevra nel 1401 nel convento domenicano, ecco che addirittura mezzo secolo di operosità proponeva agli storici le più ghiotte esplorazioni. * * Avventura entusiasmante, cui partecipò, si può dire, tutta la critica italiana e straniera, che dedicava studi all'arte antica piemontese e in genere alla cultura figurativa europea nel periodo del « gotico internazionale »; e nel 1937 l'insigne Valentiner non esitava a portare il pittore d'Amedeo Vili dalla Savoia e dal Lemano fino in Sicilia ad affrescare il Trionfo della Morte nel Palazzo Sclafani di Palermo, tosto contrad detto dall'Hennessy e dal Ragghiami: un episodio che si cita per sottolineare l'ampiezza e l'interesse del problema jaqueriano. Ovunque, direttamente od indirettamente, venne gettato lo scandaglio muovendo dalle restituzioni a maestri locali di capolavori ritenuti di mano forestiera suggerite dal Toesca, dal D'Ancona, dal Venturi; ed a partire dal 1914 i contributi del Bertea, dell'Olivero, del Cavallari-Murat, del Viale, della Gabrielli, della Brizio, del Carità, del Malie, del Laclotte, del Castelnuovo, della Griseri, dello Sterling, e in questi ultimi mesi del Gardet col folto volume De la petnture du Moyen Age en Savoie (Annecy, Gardet, 1965), furono decisivi per la proiezione critica — fonti e linguaggi, animo e stile, paradigmi immediati e divulgazioni future — di Jaquerio su un gruppo,d'opere in cerca d'autore. Né vi rimase estra¬ neo, in un paio di libri, chi scrive queste righe. Così si tracciò il suggestivo percorso d'un lavoro che in cinquant'anni (forse di più?) dalla Savoia al Piemonte non era stato soltanto d'un maestro sommo ma di un complesso geniale atelier, che intorno a lui ai suoi ordini agiva; talora spedito coi « cartoni » disegnati di sua mano a decorare, nell'ambito delle sue proprie invenzioni e dei suoi propri monelonchdefuRabavestr{ale t sarai sotomlegsi tola" tomdail li go« l'sedsutasiptudArai levsrnsllrSlMdl1dtbncdgpellarrrdo i i l n , i e i l l a ioe ui a e a a el oae a n o ad ga e ed o edi oa, d ti el elel e, ri, tito du eci— e, ulio ca ra¬ hi vo in ?) on ro so a ora nare, rie pri modi esecutivi, di figure e scene sacre e profane i muri di lontani castelli, e di lontane chiese. Con agile fantasia ci è stato descritto, nel luogo dove « pietà futi tsta capello », il cantiere di Ranverso « tra il cortile dell'abbazia e il portico, all'aperto, verso i campi ai margine della strada della Val di Susa ». LI {aquerio doveva aver collocato le tavole, « le grosse forme con t colori pestati; là carta pressata, spessa, dei " cartoni "; le raspe; una panca; una cesta per i mantelli, quelli che egli era solito copiare dal vero... E intorno ai tavolacci, i garzoni; ma c'era posto anche per i pellegrini; t contadini, quelli stessi ripresi con le offerte al San to di Ranverso e che, finito il lavoro dei campi, si scoprivano " modelli ". Jaquerio era attento a questa gente, viveva in mezzo a loro »... Già s'intuisce da questo cenno la risposta che il suo ricupero di « cose reali », di diretta provenienza borgognona, doveva dare all'arte « cortese », la sua polemica con l'ouvraige de Lombardie. * * E l'atelier viaggiante, con o senza il magister ma sempre del suo gusto impregnato e al suo talento obbediente sia pure talvolta con scarti individuali, si spostava da Ranverso (cappella dell'Annunciazione, pitture del presbiterio con la Madonna, i Profeti, le Storte di S. Antonio, tutti autografi jaqueriani verso e intorno al 1430) al Castello di Fénis (i Saggi e i Filosofi sulle pareti del cortile); tornava alla chiesa di Ran verso per affrescare nella sagre stia la famosa Salita al Calvario, l'Orazione nell'orto, l'An nunciazione e gli Evangelisti sulla volta; sostava presso Saluzzo per decorare coi Prodi e le Eroine dello Chevaiier Errant, con una Crocifissione, un S Giovanni, un Martire la sala baronale del Castello della Manta, « la più bella anticaglia di tutto il Piemonte » (come si legge in un manoscritto del 1587); lavorava nel San Pietro di Pianezza, di nuovo nel cortile e nella cappella — ora sala baronale — di Fénis; scriveva nella cappella di S. Biagio, ancora a Ranverso (1451), uno degli ultimi, capitoli della va gabonda operosità di laquerio. Queste le principali tappe produttive del maestro torinese e della sua scuola, ricreate dal la critica fra discussioni sulla loro' cronologia e ampliamenti attributivi che parvero giungere ad una specie di « panjaquerismo » relativo a troppe pittu re piemontesi anonime della metà del Quattrocento. Per il duplice accertamento occorreva ormai una padroneggiata revisione, che dalla minuta analisi dei testi rivisti e controllati nell'intrico delle correnti figurative internazionali diramate nel ducato di Amedeo Vili riuscisse ad una sintesi poetica, riflesso della misura umana di un artista eccezionale. A tale arduo compito nessuno meglio, e con maggiori probabilità di successo, poteva accingersi di Andreina Griseri, docente nell'Ateneo di Torino, per la garanzia che davano all'impresa i suoi tre fondamentali saggi jaqueriani pubblicati su « Paragone » fra il 1959 e il '63; e lo conferma il suo libro laquerio e il realismo gotico in Piemonte, ora uscito nelle torinesi Edizioni d'arte Fratelli Pozzo dirette da Ezio Gribaudo. * * Anche nel titolo l'accento batte, oltre che sul protagonista, sulla primaria qualità, insieme morale e artistica, che di lui pienamente le pagine rivelano: il realismo. Forte di un apparato filologico impressio nante, d'una spettacolosa, addi rittura virtuosistica conoscenza d'ogni fatto figurativo nella di mensione spaziale e temporale del tema, con splendida sicurezza che le deriva dalla sottile e appassionata intuizione critica dei valori etici ed estetici dell'artista esaminato, la Griseri illumina la grande rivoluzione formale, la grande «novi tà » espressiva promossa da Giacomo laquerio in quella dimensione; e dà la traccia per intendere la posizione del pit¬ togulomlaununravucotemansideticonearilu« e chcotalidta« tunmreael'pteddrpdJslvfctccjsducd e n a a i l o tore, cioè la « sua risposta al gusto amatissimo del gotico lombardo, giudicato ormai come un'arcadia anche troppo velata, involuta nelle pretese dì un modernismo affaticato ». E la risposta è nell'offerta di una realtà umana grave, severa, pietosa verso il popolo che vuole contemplare immagini concrete, vive anche nella morte, grondanti di verità senti mentali, oneste, domestiche che anticipano le trepide persua sioni dello Spanzotti e di Gau denzio sulla i linea mai smentita, neppure sul terreno prati co, della serietà piemontese; è nell'ardente carità dell'uomoariista che alle grazie e alle bel lurie della pittura e miniatura « di corte » oppone la sua rude e tuttavia dolcissima franchezza. Così, nei meandri di una congenita malinconia confessata da tante figure dolenti (malinconia delle Madonne come delle squisite Eroine della Manta e delle soavi Sante di Fénis), « scartate le suggestioni del na turalismo prigioniero di una nclinazione rivolta all'epidermide fenomenica delle cose, realismo lirico di laquerio è attenzione come presenza con eentrata; rottura aperta con l'arcadia del gotico ». Ed il rap porto intrigante fra lean Bap teur, « ce che] de file de fècole de Savoie > come scrive il Gar det, quel Bapteur cui la Griseri restituisce la Crocifissione da poco entrata nel Museo civico di Torino con l'attribuzione a Jaquerio, e il maestro torinese si scioglie col trasformarsi del le miniature del' primo ne vaste e « popolari » pareti affrescate del secondo. Impossibile ripercorrere qui con la guida della studiosa, tut ta l'area dei precedenti stilisti ci, delle interferenze linguisti che, delle influenze, degli ech jaqueriani da Avigliana a Pios sasco. da Pecetto a Briga e Ten da. Basti additare il libro come un alto esempio della critica che nel magistero artistico non dimentica la realtà dell'uomo Marziano Bernardi