Una giornata tutta di sole nella Napoli che tanto amò di Nicola Adelfi

Una giornata tutta di sole nella Napoli che tanto amò La solenne cerimonia al teatro San Carlo Una giornata tutta di sole nella Napoli che tanto amò Insieme alle massime autorità dello Stalo vi erano nella sala i vecchi amici del filosofo e i più giovani rappresentanti del mondo intellettuale - Presenti le quattro figlie: Elena, Alda, Lidia e Silvia DAL NOSTRO INVIATO Napoli, lunedì mattina. Una giornata tutta di sole, e una città, un mare, un golfo, che vi aggredivano e stordivano da ogni parte con la varietà e intensità dei colori, con un'aria lieve che vi allargava i polmoni ad ogni passo, e tutto in giro un senso di allegria, anche di tenerezza, quasi di felicità. E' primavera a Napoli e vi viene incontro sorridendo da ogni canto, vorrei dire da ogni volto incontrato. Una Napoli, in breve, quella di oggi, alla quale non si può non voler bene e della quale ci si può innamorare fortemente. Un'altra Napoli Il filosofo Benedetto Croce, che amò il bello fino all'ultima ora della sua lunga vita, amava e celebrava sovente la Napoli che ride nel sole. Tuttavia egli aveva cara anche un'altra Napoli, quella che si tiene appartata, quasi nascosta, nei rioni più antichi della città, tra chiese e palazzi vecchi di due o trecento anni, tra vicoli e strade strette dove arriva poco sole. Di questa Napoli antica una volta il filosofo scrisse: « Quando, levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza da studio, l'occhio scorre sulle vetuste fabbriche che sorgono all'incrocio della via della Trinità Maggiore con .quella di San Sebastiano e Santa Chiara... E' dolce sentirsi chiusi nel grembo di queste vecchie fabbriche, vigilati e tutelati dai loro sembianti familiari: quasi come il ritrovarsi nella casa dove vivemmo la nostra infanzia... ». Stamane è avvenuto anche a noi ài passare all'improvviso dall'una all'altra Napo¬ li; da quella delle sue strade inondate di sole e di colori, di risate e di canti, alla Napoli adunata tra gli ori, gli stucchi e i broccati del teatro San Carlo. Qui. nell'attesa che arrivasse il Presidente della Repubblica, c'era penombra, la gente camminava attenta, gli amici bisbigliavano tra di loro. Gente per lo più anziana e vestita bene nella platea e nile prime file dei palchi; j invece una gran folla di ragazzi, probabilmente tutti studenti universitari, nel Irggione e nelle ultime file di palchi. Tre generazioni di italiani: (iitelle nate prima, durante e dopo il fascismo. Tre generazioni, vegliardi di novanta anni e ragazzi di venti, ma tutte accomunate dal pensiero di Croce, dal suo insegnamento morale, dall'esempio della sua esistenza che fu sempre rigorosa, non conobbe mai cedimenti, e tuttavia seppe sempre conservarsi umana. Troppo lungo sarebbe fare l'elenco di tutte le personalità della cultura che erano arrivate a Napoli per l'occasione, e per non fare torto ad alcuno, non citeremo nessuno. I due rami del Parlamento erano rappresentati dal presidente Merzagora e dal vice-presidente Sandro Pertini; il governo da Moro e da cinque Ministri; la Corte Costituzionale dal suo Presidente Ambrosini; Napoli dal sindaco e la terra natia di Benedetto Croce, l'Abruzzo, dal senatore Spettoro; i partiti socialista, socialdemocratico e liberale dai rispettivi segretari nazionali De M irtino, Tanassi e Malagodi. E poi tante altre autorità civili e militari, tanti altri rappresentanti di enti culturali e un grande stuolo di vecchi rimici di «Don Benedetto ». Costoro errano i più tore- quieti. Non stavano nella pelle. Amici che non si incontravano da venti unni, di colpo si riconoscevano e si abbracciavano con gli occhi lustri. E dappertutto un parlare fitto fitto, quasi a gara, chi per ricordare un aneddoto di Croce, chi un suo detto, chi una sua piccola mania. Cosi, voi vedevate bensì l'Italia ufficiale, rappresentata dai suoi più alti espo¬ nenti dclla poiitica e deUa nello stesso cultura; ma tempo c'era stamane in San Carlo un'aria di famiglia, una comune disposizione a commuoversi, la cordiate intesa che si stabilisce ir. un ambiente quando tutti si sentono partecipi di uno stesso sentimento e figli di uno stesso patrimonio ideale: « Qua3i come il ritrovarsi nella casa dove vivemmo la nostra infanzia », avrebbe detto Croce. Aria di salotto Questo era il clima costante: l'ufficialità da una parte, dall'altra un'aria benigna di salotto casalingo. Così per esempio, sul palcoscenico vedevate tenersi rigidamente sull'attenti due ultissimi corazzieri nella loro splendida uniforme, ma gli occhi del pubblico si concentravano più volentieri sui volti di Elena, Alda, Lidia e Silvia, le quattro figlie di Croce. Cominciate le cerimonie, per primo il sindaco di Napoli ha rivolto un indirizzo di saluto al presidente Saragat; e invero non avrebbe potuto essere più discreto Aneli* l'oratore successivo. Von. Leone, Presidente del Comitato per le onoranze nazionali a Benedetto Croce, si è tenuto lontano da ogni tentazione rettorica. Egli ha così concluso: «La. nostra. generazione elesse Croce a | maestro di pensiero e di co- : stume morale e tra quanti a nti si ispirarono e da lui trassero insegnamento di vi- ta nella lotta per i valori più | alti e duraturi della nostra ! storia, vi è il Presidente della Repubblica Saragat ». Potete leggere qui accanto un ampio resoconto del discorso del Presidente Saragat. Spesso era il loggione affollato di giovani a dare inizio agli applausi e di lì il battimani si diffondeva poi in tutto il teatro. Forse gli applausi più insistenti, certamente i più commossi, sono stati quando Saragat ha ricordato queste parole di Croce: « La. storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto deve essere difeso ». Quando Croce scriveva così, infuriavano gli anni del brutale fanatismo mussolìniano. Tra coloro che erano giovani al tempo del fascismo e. che ora Iranno il capo grigio o bianco, quanti ricordi e commozioni, anche brividi, ha saputo suscitare il Presidente Saragat quando, via via infervorandosi, ha detto che Croce « fu la fermezza, fu la coscienza dell'Italia, fu la voce, il sentimento e il tormento di questa coscienza; la pietra di paragone su cui potè saggiarsi e misurarsi ciò che era con ciò che doveva essere, l'irrazionalità con la ragione, il delirio con la saggezza, la tristizia dei fatti e degli uomini con la più nobile e irriducìbile rivendicazione dell'Italia morale ». Più avanti Saragat ha detto: « Dove erano le borie e le declamazioni rettoriche, egli fu la sostanza della dot- trina, la serietà dello studio, la coscienziosa ricerca del l'approfondimento della ve rita. Dove l'iniqua opera — specie nei confronti della gioventù - di diseducazione, delle coscienze, egli fu il di ..assedio, e di corruzione^ maestro delle coscienze, la guida, la presenza ammonitrice. Ricchezza da custodire «Dove le aberrazioni ideologiche degenerarono nel crimine, nella follia, nella sopraffazione dei diritti dei singoli e dei popoli e infine nello sterminio di massa e nel genocidio, egli fu colui che oppose a quest'offesa della umanità l'intima professione e la difesa ben ferma di quella che egli stesso chiamò la "religione della libertà"». A proposito dei venti anni fra il 19ZS e U 191,5, quando Croce scrisse le sue maggiori opere storielle, Saragat ha detto: «Ogni libro è una battaglia e una battaglia vittoriosa. Croce è stato in quel ventennio la coscienza dell'Italia civile, umana, dell'Italia vera». Si citano questi brani del discorso di Saragat anche per indicarne il tono: ch'è stato di un uomo che ha letto e rilegge Croce, ne medita le idee nel campo della filosofia e della letteratura, tuttora ricorda con devota vivezza gli inco7itri che ebbe con Croce quando lui era esule e povero a Parigi; ma che sopra ogni altra cosa — come cittadino e come Presidente della Repubblico — vede nell'insegnamento di Croce una ricchezza che deve essere custodita con spirito vigilante, in modo che continui a dare i suoi frutti « in noi e Intorno & noi ». Nicola Adelfi