L'ultima delusione di Romain Rolland mentre il mondo correva verso l'abisso di Vittorio Gorresio

L'ultima delusione di Romain Rolland mentre il mondo correva verso l'abisso A CENTO ANNI DALLA NASCITA, RICORDO D'UN GRANDE SPIRITO L'ultima delusione di Romain Rolland mentre il mondo correva verso l'abisso Nel periodo fra le due guerre mondiali, l'autore di «Au dessus de la melée », il pacifista innamorato della verità e della giustizia, vide a poco a poco crollare tutte le sue speranze - Ma non desistè mai dal lottare, dal denunciare una civiltà che esaltava la violenza e le macchine Come giudicava il comunismo - Respingeva l'ideale d'un alveare laborioso, dove gli insetti non si rendono nemmeno più conto d'essere schiavi (Dal nostro Inviato speciale) Villeneuve, febbraio E' qui a. Villeneuve, tra Losanna e Montreux, che Romain Rollanti visse i suoi anni più impegnati, durante e dopo la prima guerra mondiale, mentre si preparava la seconda. In suo onore, Villeneuve veniva allora definita la nuova Jasnaia Poliana, per far pensare a Tolstoj, o la nuova Ferney, per un richiamo a Voltaire. Ha detto infatti Jean Guéhenno, l'altra sera alla televisione di Ginevra celebrando il centenario della nascita di Romain Rolland. che grazie a lui Villeneuve « era diventata ciò che in altri tempi era stata Ferney: un punto del mondo In cui l'umanità prendeva coscienza di se stessa, Di là partivano ogni giorno le innumerevoli sue lettere a illuminare il mondo, e come già nel caso di Voltaire — concludeva Gué¬ henno — è nelle lettere l'ope- i ra maggiore di Rolland >. Maggiore anche quantitativamente, perché il suo epistolario è sterminato. La casa che egli abitava — villa Olga, oggi ribattezzata villa Romain Rolland — è. di modesta apparenza, n due piani, in un breve giardino che confina con il parco dell'Hotel Byron, sul margine della campagna, in posizione dominante il lago Poco più. in alto è un'altra casa, villa Lionnette, dove abitava sua sorella Madeleine, e dove Gandhi fu ospitato nell'inverno del 1931. Robindranath Tagore, che viaggiava con un seguito largo di parenti, amici e servitori, fu alloggiato invece all'Hotel Byron; ne occupava tutto il pianterreno, e Romain Rolland vi faceva gli onori di casa con solennità cerimoniale: « Quando si rivolge a Tagore — notò con qualche impertinenza Georges Dvha mei nel suo Diario — parla in terza persona Ma se altrove si usa l'appellativo di Vostra Eccellenza, o simili, Rolland dice piuttosto: "Vuole il poeta prendere adesso in considerazione una mia domanda?" Io, che non sono abituato allo stile, cado talvolta in vivacità meno rispettose, ed allora Rolland mi stringe il braccio con la sua lunga mano magra, per dirmi piano con labbra frementi: " Duhamel, non dimenticate che Tagore è mio ospite ">. Uomo di tanto garbo signorile, Romain Rolland sapeva anche essere durissimo quando erano in causa i principi, le questioni morali, i fatti dello spirito, e allora non faceva concessioni alle convenienze, od al rispetto umano, od agli opportunismi. Nemmeno il Papa, futuro San Pio X, trovava gra- zia presso di lui; quando morì, allo scoppio della guerra del '14, Romain Rolland ne scrisse infatti: «Questo buon prete che fece tanto male alle anime religiose più elevate, che riservò i suoi fulmini ai cristiani più schietti, fu intransigente solo con i deboli, politico con i forti. La guerra europea gli ha strappato un belato di inutile dolore, e la sua morte ». Come elogio funebre, è inconsueto. Tanto meno Rolland risparmiava gli amici. A Stefan Zweig, che pure gli era carissimo, rimproverò aspramente di avere scritto un articolo in cui diceva addio agli amici stranieri per seguire la patria in guerra: «Io non dico addio a nessuno dei miei amici, caro Stefan Zweig, perché sono più fedele di voi alla nostra Europa ». Si urtò con André Gide, che giudicava impossibile conservarsi neutrali e in pari tempo francesi; ebbe parole dÀ fuoco contro Thomas Mann, autore di certi € Pensieri sulla guerra* (Gedanken im Krieg>l, che gli sembrarono mostruosi: « E' la cosa più terribile che io abbia letto di un intellettuale tedesco. Mostra l'identità fra la Kultur e il militarismo. Descrive l'estasi che la guerra ha procurato agli artisti tedeschi, e la loro rinascita morale. Definisce la pace l'elemento della corruzione civile ». Disprezzava Marinetti per le sue farneticazioni estetizzanti sulla guerra, vista alla stregua di « una immensa esposizione futurista di quadri dinamici ed aggressivi », ma soprattutto gli ripugnava la retorica di D'Annunzio: « Quest'uomo, che è la menzogna letteraria fatta persona, osa atteggiarsi a Gesù. Recita Gesù, e rifa il Sermone della Montagna per eccitare l'Italia: "Beati i misericordiosi perché essi avranno da asciugare un sangue risplendente e da fasciare un dolore raggiante... Questa infame commedia solleva naturalmente d'entusiasmo i due terzi dell'Europa. Gli uomini non sanno che cosa sia la verità, vivono nell'equivoco perpetuo. Per loro, le parole prendono il posto dei sentimenti veri ». La guerra fu un'orrenda rivelazione per Rolland, vissuto fino al '14 in quel suo clima di robusto ottimismo che aveva cosi bene espresso nel romanzo-fiume JeanChristophe. Quando, in settembre, inviò da Bierre il famoso appello all' intelligenza europea, < Au dessus de la mélée », ancora si illudeva che fosse possibile salvare i diritti della ragione pure adempiendo al dovere drammatico di cittadini di paesi belligeranti: « Credevo — scrisse più tardi in una delle lettere da Villeneuve a Charles Baudouin —. credevo come tanti altri nella mia patria, nella giustizia della sua causa, nel suo leale amore per la verità, nella sua profonda a viva umanità. Ho dovuto disilludermi, e so bene che è da quei giorni che ho cominciato ad avanzare. E dopo non ho cessato mai, mai. Ma non immaginavo, quando i miei occhi cominciarono ad aprirsi, che cosa avrebbero veduto, e dove sarei arrivato nel mio cammino ». / sedicenti patrioti, le cosiddette « teste forti », lo definivano pacifista umanitario con un certo dispregio, e la Qualifica gli parve sciocca o tendenziosa: < Lo so benissimo che l'umanità riuscirà a cavarsela. Non è per l'umanità che ho paura, è per i nostri paesi, e per il mio paese ». Anche la pace gli sembrò malfatta, ed essa lo induceva a condannare tutti i politici, e lo stesso Wilson, anche se visto come un minor male rispetto, per esempio, a un Clemenceau.gli parve un uomo equivoco: «In lui l'idealista illuminato si accompagna stranamente al volpone, all'uomo abilissimo nel maneggiare gli uomini ». scriveva da Villeneuve ad Enrico Bianami. Anche gli itnlicni, che aveva molto amato ed apprezzato per la loro «profonda e viva umanità », gli si rivelarono nazionalisti, ed all'Italia scoprì un volto diverso ria Quello che sempre aveva creduto di vederle: c Ora. fra tutte le potenze dell'Intesa, essa m: sembra la più infetta dall'imperialismo arido e vorace », notò nel suo ammirevole, monumentale Journal des Années de Guerre. La sua più grave delusione era però che fossero gli intellettuali a non avere imparato nulla, dalla guerra: « La libertà dello spìrito! Davvero costa poco. Dato come la intendono, gli intellettuali non corrono il rischio che i loro padroni se ne inquietino. Essi sono come quei fulmini di intelligenza dei secoli classici dei Re e delle Bastiglie che si atteggiavano a liberi verseggiando in latino. Quando i più audaci fra di loro hanno messo una firma sotto una protesta anodina, tornano ai loro piccoli giochi e hanno la coscienza tranquilla e soddisfatta»: cosi in un'altra lettera a Baudouin. Quelle migliaia di lettere diffuse da Villeneuve per il mondo erano sempre per frustare i pavidi, e nonostante il loro pessimismo incoraggiavana, erano spinte all'energia: «Nei momenti di crisi — ha scritto Jean Cassou — volgevamo lo sguardo a villa Olga per domandarci: che cosa ne dirà Romain Rolland? ». Ha confessato Stefan Zweig, avendo sperimentato la severità del grande amico: « Io non mi vergogno di essere stato, per anni, fra coloro che per giudicarsi invocavano il suo nome come specchio della loro coscienza; sono anzi orgoglioso di essere di coloro che dopo avere detto o scritto una certa cosa si domandavano: che cosa ne penserà Romain Rolland? ». In quel tempo Rolland lucidamente pensava che neppure la resistenza attiva — o passiva, alla maniera indiana — di tutto un popolo sarebbe stata capace di impedire la guerra, e disse infatti a Gandhi, rispettosamente, che tanto meno conta l'uomo quanto più conta la macchina, nel ventesimo secolo. Di qui la necessità di opporsi alla macchina, vale a dire agli Stati fautori di guerra, e per questo Rolland promosse il movimento pacifista di Amsterdam, più, noto come movimento mondiale contro la guerra e il fascismo. L'antifascismo gli fece ami provare qualche entusiasmo per l'Unione Sovietica: t Per circostanze storiche, l'Urss ha una grande superiorità sul nostro Occidente, perché offre alla gioventù vastissimi orizzonti di lavoro e di entusiasmo. Me ne rallegro e ne godo, come se si trattasse del mio popolo. Ma è il mio popolo, perché ogni popolo è il mio, e dove più forte batte il cuore del mondo, io sento battere più forte il mio ». Così scriveva a Jean Guéhenno nel 1935, con qualche ingenuità; a quel tempo, del resto, il peggiore stalinismo era ancora mal noto all'Occidente. Resta comunque intatta e inattaccabile la sua professione intellettuale consegnata nelle pagine del Journal: «La libertà cui ho votato il mio amore e le mie energie è libertà morale. Essa non mi è garantita dal socialismo e dal bolscevismo più che dal capitalismo. Socialismo e bolscevismo compiono sul terreno materiale un'opera necessaria, che tuttavia rimane insufficiente sul terreno dello spirito. La mia aspirazione non si soddisfa con l'ideale di un alveare laborioso e bene organizzato, dove ogni insetto avrebbe perduto perfino la coscienza del proprio asservimento. E' bello credere in una fede nuova. Ma lo non sono un credente. Io sono un uomo che sa quel poco che sa, e rifiuta di chiudersi in un credo». Si può cogliere un accento di superbia in questa specie di messaggio estremo, ma è da citare, se non per altro, per dimostrare che i tentativi per annettersi la gloria civile di Rolland fatti più volte (dai comunisti) e naturalmente ripetuti in questo anno del centenario, sono assurdi e impossibili. Vittorio Gorresio