La sorella di Hans e di Sophie Scholl a Torino rievoca gli studenti tedeschi della Rosa Bianca

La sorella di Hans e di Sophie Scholl a Torino rievoca gli studenti tedeschi della Rosa Bianca Nei giorni più oscuri dei terrore, sudarono Hitier La sorella di Hans e di Sophie Scholl a Torino rievoca gli studenti tedeschi della Rosa Bianca Erano sei giovani universitari di Monaco - Poco dopo Stalingrado, con una rudimentale macchina al ciclostile, cominciarono a diffondere manifesti contro il nazismo - Furono decapitati per ordine della Gestapo, con spietata crudeltà Ora Inge Scholl è una signora dai capelli grigi, madre di cinque figli - Ricorda quegli anni terribili: tutta la famiglia fu arrestata - Dei tedeschi della sua età dice: « E' difficile rieducare gente abituata a non discutere gli ordini» L'ultimo volantino della « Ro3a Bianca » venne diffuso all'Università di Monaco di Baviera subito dopo la caduta di Stalingrado, il 18 febbraio 1943. Diceva: « Il nostro popolo è scosso da questa ecatombe. La geniale strategia di chi nella prima guerra mondiale rivestiva il grado di caporale ha mandato inutilmente e irresponsabilmente alla morte e alla rovina 380 mila tedeschi. Fuhrer, ti ringraziamo ». E concludeva : « Il nome della Germania resterà macchiato per sempre se la gioventù tedesca non si solleverà finalmente e non vendicherà ed espierà al tempo stesso, distruggendo i suoi torturatori e facendo sorgere una nuova Europa spirituale ». Il 22 febbraio i responsabili, arrestati e condannati a morte dal tribunale speciale nazista per alto tradimento, vennero decapitati nel cortile delle carceri di Monaco-Stadelheim, presso la foresta di Perlach. La prima ad andare al supplizio fu, come vuole l'uso, la più debole, una donna: Sophie Scholl, 22 anni. Camminava libera e senza batter ciglio, diritta sulla persona, « perché non v'è posto al mondo dove s'impari a camminare così eretti co me in carcere ». E il boia disse che non aveva mai vi sto nessuno morire così. Il secondo fu suo fratel lo, Hans Scholl, 25 anni. Prima di appoggiare il capo sul ceppo, gridò a voce alta, tanto che ne rimbom bò tutto il vasto, silenzioso cortile attorniato di alte mura grige : « Evviva la li berta ». Il terzo fu Chri stoph Probst, 24 anni. Sua moglie aveva appena avuto il terzo figlio. Disse: « Non sapevo che potesse essere così facile morire ». E poi : « Fra pochi istanti ci incontreremo nell'eternità ». Con un secondo processo, vennero condannati a morte e giustiziati altri due stu denti universitari, Willi Graf e Alexander Schmorell e il professor Kurt Huber, che aveva concluso la prò pria difesa dicendo: «Ho agito come una voce interna mi suggeriva, secondo le pa rote di Fichte "Devi agire come se solo da te e dalle tue azioni dipendesse la sorte di tutto ciò che è tede sco e come se tu ne fossi il responsabile " ». Inge Scholl, sorella di Hans e di Sophie, aveva allora 26 anni. Dopo la guerra, raccolse in un libro, « La Rosa Bianca », le testimo nianze sull'attività dell'associazione studentesca che, all'Università di Monaco, si era opposta senza speranza al potere di Hitler. Il volu me ebbe una tiratura di 200 mila copie, alcuni « Laender » tedeschi lo hanno a dottato come testo per le scuole. Ora, Inge Scholl è una donna di mezza età, con molti fili grigi tra i capelli castani tagliati cortissimi Un volto rotondo, forse non bello, ma addolcito dai prò fondi occhi e illuminato da un dolce e aperto sorriso Ha fondato ad Ulm una uni versità popolare, che ancora dirige, e creato, con la fondazione intitolata ai fratelli una scuola superiore di arte applicata. Si trova a Torino perché vuole stabilire dei contatti con le organizzazioni della Resistenza europea. Ieri mattina, al Campo della Gloria, ha deposto un maz zo di rose bianche ai piedi della lapide che ricorda gli ebrei deportati e uccisi e al sacrario dei partigiani caduti. La attorniavano, in silenzio, un gruppo di ex deportate torinesi, nella tunica a righe che hanno indossato nei « Lager ». Inge Scholl è rimasta qualche istante immobile, silenziosa, poi ha detto una frase soltanto : « In uno dei manifesti de " La Rosa Bianca " è scritto: strappate l'abitudine dell'indifferenza, prima che sia troppo tardi ». Nel pomeriggio, al Centro intitolato a Piero Gobetti, si è incontrata con gli esponenti torinesi delle associazioni antifasciste e della Resistenza. Il primo a darle il benvenuto, dicendosi orgoglioso di incontrarla, è stato il comandante partigiano Nuto Revelli, insieme con il vice sindaco prof. Jona. In- gtvscmvfsvdssdrcrc ge Scholl è stata presentata dal prof. Berto Perotti, veronese, studioso della Resistenza, che ha ricordato come, dopo il processo e la morte dei fratelli, anche lei venne arrestata con tutta la famiglia : « Fu il primo caso — ha detto ■— in cui venne applicato il principio del Sippenhaft, dell'arresto esteso ai familiari che, secondo le aberrazioni della dottrina nazista, dovevano rispondere anch' essi della colpa dei " traditori " ». « C'è una specie di pudore — ha aggiunto — che circonda gli uomini e le vicende della Resistenza tedesca: sta in noi toglierla da questo oblio. Un aspetto importante, che la qualifica, è quello della solitudine del combattente tedesco, che lottava senza l'appoggio di un' organizzazione, senza il consenso della popolazione, inerme contro il più crudele e spietato regime che abbia mai oppres so un popolo ». Anche il prof. Norberto Bobbio ha sottolineato questo aspetto della lotta contro il nazismo : « / fratelli Scholl e i loro compagni erano soli, senza legami con una tradizione politica, né con la più vasta cospirazione che doveva culminare con l'attentato a Hitler del luglio 191f!f. Avevano un'organizzazione rudimentale: un ciclostile in una cantina abbandonata. Eppure osarono sfidare una delle macchine poliziesche più potenti che mai siano esistite. Non li guidava un'idea di utilità: come potevano concepire di abbattere con quei mezzi il regime di Hitler? Non il risultato contava, ma l'imperativo della coscienza, il senso del dovere. Il loro sacrificio illumina uno dei più tenebrosi e desolatì periodi della storia non soltanto tedesca ». Inge Scholl ha risposto alle domande dei presenti. Parla con voce piana, sommessa, uguale, che talvolta rende dolce anche la lingua tedesca, come risuona in certi versi di Goethe, che si rammaricava di doversi esprimere con così aspri accenti. Le chiedono che cosa insegnano nelle scuole tedesche. Racconta dell'insegnante che presentava Hitler come realizzatore di autostrade, e del padre che ha imposto alla sua bimba di rispondere a voce alta, in classe: «Tutte le autostrade del mondo non valgono una vita umana ». Uno dei pochi che possono fare così, perché — dice Inge Scholl — i genitori di oggi sono stati quasi tutti nella Hitlerjugend. E quando i figli tornano a casa da scuola, dopo aver appreso gli orrori del nazismo, e chiedono: «E tu dov'eri? Come hai potuto tollerare simili cose?», non sanno che cosa rispondere. O dicono: «Non so, non voglio sapere nulla di politica». Il novanta per cento — il giudizio è di Inge Scholl — non sono nazisti. Sono degli analfabeti politici: «E' difficile rieducare questa gente, abituata a portare imiformi, a non discutere gli ordini, a obbedire ciecamente ». Ora le chiedono di parlare di sé, della sua famiglia. La voce si fa ancora più sommessa, un po' roca. Dice : « Eravamo cinque fratelli. Hans e Sophie, sapete come sono morti. Werner, il più giovane, è disperso in Russia. Siamo rimasti io e una sorella, Elisabeth, che è sposata con u:» giudice: quando era studente, fu molto vicino alla Rosa Bianca». Anche Inge è sposata, con un insegnante, e ha 5 figli. Del passato, rievoca pochi momenti : le irruzioni della Gestapo, cominciate nel 1937, gli arresti, l'incubo dei passi pesanti e delle grida nella quieta intimità della casa. «Nel 19^3, dopo la morte dei miei fratelli, tutta la famiglia venne arrestata, tranne Werner. L'esercito aveva bisogno di lui. Poco dopo, ci venne comunicato che era disperso». La voce si spegne, in un sussurro : « Basta que sto? ». Le risponde un caldo applauso affettuoso, Giorgio Martinat Inge Scholl, sorella dei due giovani antinazisti uccisi a Monaco, ieri in visita al Sacrario dei Caduti partigiani al cimitero di Torino. L'accompagnavano alcune torinesi reduci dai Lager tedeschi, vestite con la tunica dei deportati (F. Moisio)