II Ruzante conosceva la miseria contadina ma come padrone e amministratore di terre

II Ruzante conosceva la miseria contadina ma come padrone e amministratore di terre MI più «sociale» Ira i commediografi italiani dei 9300 II Ruzante conosceva la miseria contadina ma come padrone e amministratore di terre La sua biografia autentica smentisce tutti i luoghi comuni sulla sua esperienza di povero, di vittima Le commedie di Angelo Beolco, detto Ruzante, investono con la loro straordinaria efficacia, oltre che la storia del teatro o quella dell'uso letterario dei dialetti (nel nostro caso il padovano), quella della società, in particolare veneta, del primo Cinquecento. I contadini padovani che Ruzante porta sulla scena non sono più solo pretesto di riso per la loro volgarità o avidità o storditaggine, come voleva una diffusa tradizione comica, ma vengono circondati da uno sforzo di comprensione umana che mette in luce la durezza della loro vita (fra lo sfruttamento dei signori, le guerre, le carestie e le epidemie), il loro coraggio, la loro saggezza, il loro pessimismo. Non è dunque solo travestendosi sul palcoscenico da Ruzante che il Beolco s'è fatto contadino; ma riuiuendo dei contadini le condizioni e le sofferenze, sino a svelare sotto la maschera comica quella tragica, sotto la rassegnazione la disperazione e la esasperazione. E vien la curiosità di sapere se qualcosa, nelle sue personali vicende, l'abbia avviato a questa simpatia per gli umIJi. Anche per questo riescono preziose le ricerche biografiche dedicategli da Paolo Sambin ed Emilio Menegazzo in tre articoli d'imminente pubblicazione nella rivista Italia Medioevale e Umanistica. * * Il ritratto sinora canonico del Ruzante faceva perno sulla sua nascita illegittima e sulla protezione accordatagli dal gentiluomo Alvise Cornaro, che nel suo teatro privato gli faceva rappresentare le commedie, espressamente composte. Si sapeva pure che i Beolco, milanesi, si erano trasfe- riti nel Veneto da qualche generazione, facendo affari d'oro col commercio delle telerie e con attività fondiarie. Già su questo sfondo familiare le ricerche di Sambin e Menegazzo portano precisazioni interessantissime: risulta per esempio che Lazzaro, nonno del ' commediografo, uveva esteso la sua attività finanziaria al campo tipografico ed editoriale. I libri e la cultura, anche se in una prospettiva utilitaristica, erano perciò all'ordine del giorno in casa Beolco; s'aggiungano i rapporti matrimoniati o d'interessi con professori dell'Università di Padova. L'ambiente del Ruzante viene insomma definito in particolari minimi o curiosi: come la frequenza di figli illegittimi. Il nonno Lazzaro ebbe un illegittimo, Melchiorre, e questi a sua volta un figlio e una nipote pure illegittimi. Così l'oscura nascita del Ruzante tolte si deve anticipare di qualche anno rispetto al tradizionale 1502; ciò che spiega la maturità dei suoi primi scritti: non opera d'un diciottenne) era nella sua famiglia tutt'altro che eccezionale: un pretesto di meno per il pathos dei biografi. Ma anche un altro pretesto è da accantonare, quello della povertà: enunciato dapprima, per motivi che ora Menegazzo mette in chiaro, da un illustre contemporaneo e amico del Ruzante, Sperone Speroni. Attraverso l'impassibile linguaggio dei testamenti, vien fuori che il Ruzante fu oggetto della affettuosa benevolenza (espressa in un lascito in denari) della nonna Paola, e fu aiutato più volte dai familiari: fratelli e suocero. Si, perché s'è scoperto che Angelo Beolco — come nessuno aveva sinora sospettato — era regolarmente coniugato con una signorina, come si dice, di buona famiglia. Non basta: Angelo Beolco pare aver continuato su scala minore le attività fondiarie fruttuosamente esercitate dai suoi progenitori. Egli gestiva numerosi fondi rustici, incassandone i modesti ma non spregevoli affitti. Se il Ruzante si trovò spesso nel bisogno, dev'essere stato effetto delle sue mani bucate e del suo debole per i cavalli. Magnifici destrieri, purosangue e morelli, che gli servivano per le cacce, per le sue peregrinazioni di diletto o di lavoro; e che misero a soqquadro le sue finanze. * * A colpi di documenti d'archivio, crolla la leggenda e si impone la verità di Ruzante. Soprattutto per ciò che riguarda la data (si risale al 1525) e il tipo di rapporti col protettore Alvise Cornaro. Non solo commediografo privato e\ attore, non solo compagno di caccia e di villeggiature, il Ruzante fu per Cornaro amministratore attivo e capace. Così i suoi contatti con la realtà quotidiana della povera gente si prospettano, invece che come patetica fraternità d'un reietto, d'un declassato, come esperienza diretta attraverso le precise e documentate annotazioni raccolte nell'attività dell'amministrazione. Sambin propone anzi una rivelatrice lettura parallela del Dialogo facetissimo e rldiculosissimo (in verità amaro e accusatore) e dei contratti d'affìtto che Angelo Beolco doveva riscuotere dai contadini. Ancora una volta la pro¬ spettiva sociologica risulta molto più sfaccettata e complessa di quanto non prevedano certe embrionali impostazioni; e mescolata alla prospettiva politica. Tra il Cornaro e i personaggi di cui egli si circondava doveva esser comune il risentimento della « terraferma » padovana contro Venezia, la simpatia verso l'imperatore Massimiliano che sembrava offrire un contrappeso al giogo della Serenissima. L'occhio e l'animo del Ruzante hanno colto questa difficile situazione e l'hanno animata per sempre nelle commedie: opera d'arte e insieme documento di realtà. Cesare Segre

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